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Dio da vendere

Ci voleva un pubblicitario ateo per ribadire l'incompatibilità del Vangelo con qualsivoglia competizione. "Bisogna ripartire dal prodotto", ovvero dal messaggio originale di Cristo. Non dimenticarsi mai il marchio: la croce. I cattolici non sanno vendere ma dispongono sempre del prodotto migliore, devono soltanto ricordarselo.


Dio da vendere

da Teologo Borèl

del 10 maggio 2011

 

 

          Ci vuole un pubblicitario ateo per dire alla chiesa che il suo prodotto è meglio di un piano pastorale           C’è un esperto di marketing ateo che si è messo in testa di riformare la chiesa. Vastissimo programma. Non so se è più pazzo Bruno Ballardini oppure io che mi sono letto da cima a fondo il suo “Gesù e i saldi di fine stagione” (Piemme). Con quel titolo, poi. Così come gli antiberlusconiani stimano un Gianfranco Fini che non voteranno mai, gli atei di mezza cultura come Ballardini stimano un Hans Küng (o un Tettamanzi, un Ravasi, un Martini…) alla cui religione mai si convertiranno. Ma sotto il primo strato respingente (l’ostentata, compiaciuta inettitudine a Dio) e il secondo strato non attraente (la superficialità finto pragmatica dei professionisti della comunicazione) ho trovato della polpa da masticare con profitto.           È un’analisi complessiva dell’offerta religiosa: uno sguardo impietoso, senza carità, ma anche senza veli sentimentali, dei vari movimenti cattolici, e questo me l’aspettavo, dei filoni spirituali concorrenti, e questo me l’aspettavo meno, infine dello stesso ateismo, e questo, viste le premesse, non me l’aspettavo proprio. “L’ateismo non propone nessun prodotto, nessun beneficio. Non offre nulla”. Da pubblicitario quale in fondo è, Ballardini parla continuamente di prodotto e non è un male, per quanto il concetto sembri grossolano può aiutare a capire come i vari Augias e Odifreddi siano peggio che ciarlatani: nei loro libri non si sforzano di nemmeno di mettere un placebo, dentro non c’è assolutamente niente. Parassiti incapaci di vita propria. “Si direbbe che l’unico obiettivo dell’ateismo sia la chiesa cattolica. Non si sono mai visti degli atei attaccare la chiesa valdese, quella ortodossa, e nemmeno gli ebrei, i musulmani, i confuciani o i buddisti”.          Il nostro esperto ha studiato perfino i taoisti, giusto per spiegarci che nemmeno loro faranno breccia, e le varie sette buddiste che poi proprio buddiste non sono ma tanto Sabina Guzzanti mica se ne accorge, e i protestanti americani delle megachiese che aprono e chiudono come fossero temporary stores: religione liquida e quindi non religione. C’è un’analisi tagliente degli Atei di Cristo, quei calciatori che ringraziano Dio dopo aver fatto goal, come se il portiere avversario fosse un figlio delle tenebre: “Trasferiscono parte dell’universo valoriale del cristianesimo nella disciplina sportiva ma nello stesso tempo trasferiscono anche parte dell’universo valoriale dello sport dentro la religione, a tutto discapito dei suoi valori”.          Ci voleva un ateo per ribadire l’incompatibilità del Vangelo con qualsivoglia competizione, evidenza che sfugge a tanti preti e prelati per i quali il Nuovo Testamento è una vecchia filastrocca, compreso Bertone che dichiarandosi juventino senza pensare ai torinisti si dimette etimologicamente da cattolico, non considerando più il tutto. Dopo tante diagnosi, Ballardini che terapie propone?            “Ripartire dal prodotto”, ovvero dal messaggio originale di Cristo (e queste sono davvero sante parole). Non dimenticarsi mai il marchio: “La croce non è un segno grafico qualsiasi: è il più potente strumento di comunicazione strategica della storia” (bisognerebbe spiegarlo ai vescovi iconoclasti della Cei che continuano a commissionare chiese senza croci o con croci invisibili). Infine lo scioglimento dei movimenti nel mare magnum delle parrocchie, per compattare lo schieramento, presidiare il territorio e offrire all’esterno un’immagine più coerente. Qui si vede che Ballardini non conosce le parrocchie, luoghi antisismici dove la fede è più facile perderla che trovarla.           Condivido l’insofferenza per Compagnia delle Opere Opus Dei Focolarini Neocatecumenali eccetera, però se a Parma non ci fosse CL io non avrei mai partecipato a una Via Crucis, essendo i parroci in tutt’altre faccende affaccendati (organizzazione di riffe, gite in pullman, tornei di calcetto…).           Insomma in questo libro più che soluzioni praticabili ho trovato una consolazione: i cattolici non sanno vendere ma dispongono sempre del prodotto migliore, devono soltanto ricordarselo. 

Camillo Langone

http://www.ilfoglio.it

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