Mentre i due viaggiatori sono in cammino verso casa piangendo ciò che hanno perduto, Gesù si accosta e cammina con loro, ma i loro occhi sono incapaci di riconoscerlo. All'improvviso non ci sono più due, ma tre persone che camminano e tutto diventa diverso. I due amici non guardano più in basso la strada davanti a loro, ma negli occhi dello sconosciuto che si è unito a loro...
del 01 gennaio 2002
«Parola di Dio»
Mentre i due viaggiatori sono in cammino verso casa piangendo ciò che hanno perduto, Gesù si accosta e cammina con loro, ma i loro occhi sono incapaci di riconoscerlo. All’improvviso non ci sono più due, ma tre persone che camminano e tutto diventa diverso. I due amici non guardano più in basso la strada davanti a loro, ma negli occhi dello sconosciuto che si è unito a loro e che ha chiesto: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». C’è dello stupore, persino dell’agitazione: «Tu solo sei così forestiero da non sapere ciò che è accaduto! ».. Poi segue un lungo racconto: la storia riguardo a ciò che hanno perduto, la storia riguardo a una notizia sconcertante di una tomba vuota. Qui almeno c’è qualcuno ad ascoltare, qualcuno che è disponibile ad ascoltare le parole di disillusione, di tristezza e di totale confusione. Niente sembra aver senso. Ma è meglio raccontarlo a uno sconosciuto che raccontarsi l’un l’altro i fatti noti. Poi avviene qualcosa! Qualcosa cambia. Lo sconosciuto comincia a parlare e le sue parole richiedono una seria attenzione. Egli li aveva ascoltati; ora sono loro ad ascoltare lui. Le sue parole sono molto chiare e dirette. Egli parla di cose che già sapevano: il loro lungo passato con tutto quello che era accaduto durante i secoli prima che essi nascessero, la storia di Mosè che condusse il loro popolo alla libertà e la storia dei profeti che hanno richiamato il loro popolo a non abbandonare la libertà acquistata a caro prezzo. Era una storia tutta troppo familiare. Eppure suonava come se la stessero ascoltando per la prima volta. La differenza stava nel narratore! Uno sconosciuto , comparso da non si sa dove eppure uno che, in qualche modo, sembra più vicino di chiunque avesse sempre raccontato quella storia. La perdita, il dolore, la colpa, la paura, i barlumi di speranza e le molte domande senza risposta che esigevano attenzione nella loro mente inquieta, tutto ciò è stato innalzato da questo sconosciuto e posto nel contesto di una storia molto più ampia della loro. Ciò che era sembrato confondere così tanto cominciava ad offrire orizzonti nuovi; ciò che era sembrato così opprimente cominciava a farsi sentire liberante; ciò che era sembrato così estremamente triste cominciava ad assumere l’aspetto della gioia!
Mentre parlava loro, pian piano cominciarono a capire che la loro piccola vita non era poi così piccola come essi pensavano, ma parte di un grande mistero che non solo abbracciava molte generazioni, ma che si estendeva dall’eternità all’eternità. Lo sconosciuto non ha detto che non c’ era motivo di tristezza, ma che la loro tristezza era parte di una tristezza più ampia in cui era nascosta la gioia. Lo sconosciuto non ha detto che la morte che stavano piangendo non fosse reale, ma che si trattava di una morte che inaugurava persino più vita -vita vera. Lo sconosciuto non ha detto che non avevano perso un amico che aveva dato loro nuovo coraggio e nuova speranza, ma che questa perdita avrebbe creato una via per una relazione che sarebbe andata molto al di là di qualsiasi amicizia di cui essi avessero mai fatto esperienza. Ne lo sconosciuto ha mai negato ciò che essi gli hanno detto. Al contrario, egli lo ha considerato come parte di un evento più ampio nel quale ad essi era permesso svolgere un ruolo unico. Tuttavia, questa non è stata una conversazione consolante. Lo sconosciuto era forte, diretto e tutt’altro che sentimentale. Non c’erano consolazioni facili. È sembrato persino che egli rendesse ancora più profonda la loro afflizione, con una verità che potrebbero aver preferito non conoscere. Dopo tutto, un continuo lamentarsi attrae di più che affrontare la realtà. Ma lo sconosciuto non aveva la minima paura di sfondare le loro difese e di chiamarli oltre la loro ristrettezza di mente e di cuore. «Stolti», disse, «tardi di cuore nel credere». Queste parole vanno dirette al cuore dei due uomini. ‘Stolti’ è una parola dura, una parola che ci offende e che ci mette sulle difensive.
Ma può anche sfondare una copertura fatta di paura e di imbarazzo e condurre poi a tutta una nuova conoscenza dell’essere umani. È una chiamata al risveglio, è uno strappare via le bende dagli occhi, un demolire gli inutili dispositivi di protezione. Voi stolti, non vedete -non sentite - non capite? Continuate a guardare una piccola boscaglia e non vi rendete conto che state in cima a una montagna che vi offre una visione universale. Continuate a fissare lo sguardo su un ostacolo e non siete disposti a considerare che l’ostacolo è stato messo lì per mostrarvi la strada giusta. Continuate a lamentarvi delle vostre perdite e non vi rendete conto che queste perdite ci sono per mettervi in grado di ricevere il dono della vita. Lo sconosciuto ha dovuto chiamarli ‘stolti’ per farli vedere. E qual è la sfida? Aver fiducia. Non credevano che la loro esperienza fosse qualcosa di più che l’esperienza di una perdita irrecuperabile. Credevano che non ci fosse altro da fare che tornare a casa e riprendere il loro vecchio modo di vivere. «Stolti e tardi di cuore nel credere». Tardi nel credere: tardi nel confidare nel piano più ampio delle cose; tardi nello scavalcare i loro molti lamenti per scoprire l’ampio spettro di opportunità nuove; tardi nell’andare oltre le sofferenze del momento, per vederle come parte di un processo di guarigione molto più ampio.
Questa lentezza non è una lentezza innocente perché ci può intrappolare nei nostri lamenti e nella nostra ristrettezza di mente e di cuore. È la lentezza che può impedirci di scoprire il panorama in cui viviamo. È possibile giungere al termine della nostra vita senza aver mai saputo chi siamo e cosa dovremmo diventare. La vita è breve. Non possiamo aspettarci semplicemente che il poco che vediamo, sentiamo e sperimentiamo ci possa rivelare tutta la nostra esistenza. Abbiamo la vista troppo corta e siamo troppo duri di orecchi per questo. Qualcuno deve aprire i nostri occhi e i nostri orecchi per aiutarci a scoprire cosa c’ è I al di là della nostra percezione. Qualcuno deve far ardere i nostri cuori ! Gesù si unisce a noi mentre camminiamo nella tristezza e ci spiega le Scritture. Ma non sappiamo che è Gesù. Pensiamo che sia uno sconosciuto che conosce meno di noi ciò che sta avvenendo nella nostra vita. Eppure, discerniamo qualcosa, percepiamo qualcosa, intuiamo qualcosa: il nostro cuore comincia ad ardere. Nel momento stesso in cui è con noi non riusciamo a capire del tutto ciò che sta succedendo. Non possiamo parlarne insieme. Più tardi, sì, più tardi, quando tutto è finito, potremmo essere in grado di dire: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». Ma quando cammina con noi è tutto troppo vicino per la riflessione. È con questa presenza misteriosa che la ‘liturgia della Parola vuole metterci in contatto durante ogni eucaristia ed è questa stessa presenza misteriosa che ci viene costantemente rivelata mentre viviamo la nostra vita eucaristicamente. Le letture dall’Antico e dal Nuovo Testamento e l’omelia che segue queste letture ci vengono fornite per discernere la sua presenza mentre cammina con noi nella nostra tristezza. Ogni giorno ci sono letture diverse; ogni giorno c’ è una parola diversa di spiegazione o esortazione. Ogni giorno ci sono parole ad accompagnarci. Non possiamo vivere senza parole che vengono da Dio, parole per tirarci fuori dalla nostra tristezza ed innalzarci fino ad un luogo da dove possiamo scoprire ciò che stiamo veramente vivendo. È importante sapere che, per quanto queste parole, lette o parlate, siano là per informarci, istruirci o ispirarci, il loro primo significato è che ci rendono presente Gesù stesso. Nel nostro viaggio Gesù ci spiega i brani che si riferiscono a lui. Sia che leggiamo il libro dell’Esodo, dei Salmi, i Profeti o i Vangeli, sono tutti lì per far ardere il nostro cuore.
La presenza eucaristica è, prima di tutto, una presenza attraverso la parola. Senza quella presenza attraverso la parola, non saremmo capaci di riconoscere la sua presenza nello spezzare il pane.
Viviamo in un mondo in cui le parole sono a buon mercato. Le parole ci divorano. Nelle pubblicità, nelle affissioni e nei segnali stradali, negli opuscoli, nei depliant e nei libri, sulle lavagne, sulle lavagne luminose, sulle lavagne a fogli girevoli, sugli schermi e pannelli informatori. Le parole si muovono, vibrano, si girano, diventano più grandi, più luminose e più piene. Ci vengono presentate in tutte le misure e in tutti i colori -ma alla fine diciamo: «Beh! Sono solo parole». Aumentate in quantità, le parole sono diminuite di valore. Il loro valore principale sembra essere informativo. Le parole ci informano. Abbiamo bisogno delle parole al fine di sapere cosa fare o come farlo, dove andare e come andarci. Non sorprende, dunque, che le parole nell’eucaristia siano ascoltate principalmente come parole che ci informano. Ci raccontano una storia, istruiscono, ammoniscono. Dal momento che la maggior parte di noi ha già sentito queste parole, raramente queste ci toccano in profondità. Spesso prestiamo loro poca attenzione; sono diventate troppo familiari. Non ci aspettiamo di essere sorpresi o toccati. Le ascoltiamo come <<da solita vecchia storia>> -tanto lette da un libro che pronunciate da un pulpito. La tragedia, allora, è che la parola perde la sua qualità sacramentale. La parola di Dio è sacramentale. Ciò significa che è sacra e in quanto parola sacra produce ciò che significa. Quando Gesù parlava ai due tristi viaggiatori lungo la strada e spiegava loro le parole delle Scritture che si riferivano a lui stesso, i loro cuori hanno cominciato ad ardere, vale a dire, hanno fatto esperienza della sua presenza. Parlando di se si è reso loro presente. Con le sue parole ha fatto molto di più che farli semplicemente pensare a lui o istruirli su di se o infondere loro il suo ricordo. Con le sue parole è diventato veramente presente per loro. Questo è ciò che intendiamo per qualità sacramentale della parola. La parola crea ciò che esprime. La parola di Dio è sempre sacramentale. Nel libro della Genesi ci viene detto che Dio ha creato il mondo, ma in ebraico le parole per ‘parlare’ e per ‘creare’ sono identiche. Tradotto letteralmente: «Dio disse luce e luce fu». Per Dio parlare è creare. Quando diciamo che la parola di Dio è sacra, intendiamo dire che la parola di Dio è piena della presenza di Dio. Sulla strada di Emmaus Gesù è diventato presente attraverso la sua parola ed è stata quella presenza a trasformare la tristezza in gioia e il pianto in danza.
Questo è ciò che accade in ogni eucaristia. La parola letta e pronunciata vuole condurci alla presenza di Dio e trasformare il nostro cuore e la nostra mente. Spesso pensiamo alla parola come ad un’esortazione ad uscire per cambiare la nostra vita. Ma la vera forza della parola si trova non in come la applichiamo alla nostra vita dopo che l’abbiamo udita, ma nel suo potere di trasformazione che la sua azione divina opera mentre ascoltiamo.
I Vangeli sono pieni di esempi della presenza di Dio nella parola. Personalmente, sono sempre toccato dal racconto di Gesù nella sinagoga di Nazareth. Là lesse da Isaia:
Lo Spirito del Signore è sopra di me.
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi
e predicare un anno di grazia del Signore.
(Luca 4) 18-19)
Dopo aver letto queste parole, Gesù disse: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi». Immediatamente diventa chiaro che i poveri, i prigionieri, i ciechi e gli oppressi non sono delle persone da qualche parte fuori dalla sinagoga che, prima o poi, saranno liberate; sono le persone che ascoltano. È nell’ascolto che Dio si fa presente e guarisce. La parola di Dio non è una parola da impiegare nella nostra vita quotidiana a una qualche data posteriore; è una parola per sanarci attraverso e nel nostro ascolto, qui e ora. Le domande quindi sono:
– come viene Dio a me, mentre ascolto la parola?
– dove posso discernere la mano risanatrice di Dio, che mi tocca attraverso la parola?
– come vengono trasformati la mia tristezza, il mio dolore e il mio pianto, proprio in questo momento?
– percepisco il fuoco dell’amore di Dio, che purifica il mio cuore e che mi dà vita nuova?
Queste domande mi conducono al sacramento della parola, il luogo sacro della presenza reale di Dio. All’inizio tutto questo può suonare davvero nuovo per una persona che vive in una società in cui il valore principale della parola è la sua applicabilità. Ma la maggior parte di noi già conosce, generalmente in modo inconscio, la forza risanatrice o distruttiva del- la parola parlata. Quando qualcuno mi dice: «Ti voglio bene» o «Ti odio», non ricevo semplicemente una qualche utile informazione. Queste parole fanno qualcosa in me. Fanno agitare il sangue, battere il cuore, accelerare il respiro. Mi fanno sentire e pensare diversamente. Mi innalzano a un nuovo modo di essere e mi danno un’altra conoscenza di me stesso. Queste parole hanno il potere di sanarmi odi distruggermi. Quando Gesù si unisce a noi sulla strada e ci spiega le Scritture, dobbiamo ascoltare con tutto il nostro essere, confidando nel fatto che la parola che ci ha creato ci sanerà anche. Dio vuole farsi presente a noi e così trasformare radicalmente il nostro cuore pieno di paura. La qualità sacramentale della parola rende Dio presente non soltanto come un’intima presenza personale, ma anche come una presenza che ci dà un posto nella grande storia della salvezza. Il Dio che si fa a noi presente non è solo il Dio del nostro cuore, ma anche il Dio di Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Lia, il Dio di Isaia e Geremia, il Dio di Davide e Salomone, il Dio di Pietro e Paolo, di S. Francesco e Dorothy Day -il Dio il cui amore universale ci viene rivelato in Gesù, il compagno del nostro viaggio.
La parola dell’eucaristia ci fa partecipi della grande storia della nostra salvezza. Le nostre piccole storie vengono innalzate nella grande storia di Dio e là viene assegnato il loro posto, che è unico. La parola ci innalza e ci fa vedere che la nostra vita quotidiana e ordinaria è in effetti vita sacra che svolge un ruolo necessario nell’adempimento delle promesse di Dio. La parola scritta e parlata dell’eucaristia ci permette di dire insieme a Maria: «Ha guardato 1’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente... ricordandosi della sua misericordia come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre». . Qui vediamo che l’eucaristia, come la celebriamo nella sacra liturgia, ci chiama a una vita eucaristica, una vita in cui siamo sempre consapevoli del nostro ruolo nella storia sacra della presenza redentrice di Dio attraverso tutte le generazioni. La grande tentazione della nostra vita è di negare il nostro ruolo come popolo eletto e così ci lasciamo intrappolare dalle preoccupazioni della nostra vita quotidiana. Senza la parola che in continuazione ci innalza come popolo eletto di Dio, rimaniamo, o diventiamo, persone piccole attaccate ai lamenti che emergono dalla nostra lotta quotidiana per la sopravvivenza. Senza la parola che fa ardere il nostro cuore, non possiamo fare molto di più che tornare a casa, rassegnati al triste fatto che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Senza la parola, la nostra vita ha poco senso, poca vitalità e poca energia. Senza la parola rimaniamo persone di poco conto che si interessano solo di cose di poco conto, che vivono una vita di poco conto e muoio- no una morte di poco conto. Senza la parola possiamo anche fare notizia nel giornale locale o persino nazionale per un giorno o due, ma non ci sarà nessuna generazione a chiamarci beati. Senza la parola le nostre pene e sofferenze isolate possono estinguere lo Spirito che è in noi e renderci vittime dell’amarezza e del risentimento. Abbiamo bisogno della parola parlata e spiegata da colui che si unisce a noi lungo la strada e che ci fa conoscere la sua presenza -una presenza possibile da discernere dapprima nel nostro cuore ardente. È questa presenza che ci incoraggia a lasciar andare il nostro cuore indurito per diventare grati. Come persone grate possiamo invitare nell’intimità della nostra casa colui che ha fatto ardere il nostro cuore.
Henri Jozef Machiel Nouwen
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