Oratorio Salesiano di Schio (VI), parla don Alberto: «L’ oratorio deve rispondere a un bisogno di educazione, quindi deve avere una proposta chiara, cristiana. Chi sceglie noi, è perché percepisce nelle nostre attività uno spirito educativo, accogliente. Questo significa una presenza costante...»
del 23 febbraio 2018
Oratorio Salesiano di Schio (VI), parla don Alberto: «L’ oratorio deve rispondere a un bisogno di educazione, quindi deve avere una proposta chiara, cristiana. Chi sceglie noi, è perché percepisce nelle nostre attività uno spirito educativo, accogliente. Questo significa una presenza costante...»
È segretario, centralinista, custode, direttore di una comunità di nove religiosi, economo, incaricato dell’ oratorio e fa anche... il prete. «Ma, prima che sacerdote, sono diventato salesiano», precisa. Quattro anni fa, all’ arrivo a Schio (Vicenza) di don Alberto Maschio, all’ oratorio — parte del complesso salesiano che comprende anche il Centro di formazione professionale — stazionavano solo ventenni perditempo. Durante l’ estate partecipavano al Grest, l’ oratorio estivo, 120 ragazzi e 30 animatori. Oggi l’ oratorio è una risorsa per la comunità e all’ ultimo Grest (estate 2017) hanno partecipato 540 ragazzi con 160 animatori. «Perché l’ iniziativa è ben studiata», spiega don Alberto. «Invito cantanti, musicisti, artisti, porto testimoni. Se si parla con il giusto linguaggio, i giovani rispondono. E comunque, quando arrivi in una situazione disastrata, ci vuole poco per migliorarla».
Nei primi tempi don Alberto ha dovuto battagliare. «Ho chiesto aiuto alle forze dell’ ordine per verificare se circolasse droga. Perché si sa, dove ci sono adolescenti, bisogna stare attenti. Meglio prevenire. Poi ho appeso un cartello con le regole. Innanzitutto, salutare e rispettare l’ ambiente. Chi non ci sta, si scontra con me. Don Bosco amava i giovani, ma era severo. D’ altra parte, se io voglio un ambiente educativo, devo assumermi la fatica per ottenerlo. Un po’ alla volta il clima è cambiato. Il passaparola ha fatto il resto. Adesso ogni giorno ci sono bambini, ragazzi e adulti». Alla base di tutto pulsa il “cuore oratoriano” di un uomo che ha trascorso buona parte della vita in oratorio, prima da ragazzino, poi da sacerdote. Forte delle esperienze a Porto Viro (Rovigo) e a San Donà di Piave (Venezia) — «il più bell’ oratorio del mondo», dice orgoglioso — oggi il suo istituto lo manda a rilanciare i luoghi in difficoltà.
Per don Alberto seguire le orme di don Bosco è stato naturale, così come lo è continuare a divulgarne il messaggio, sempre molto attuale. «L’ oratorio deve rispondere a un bisogno di educazione, quindi deve avere una proposta chiara, cristiana. Chi sceglie noi, è perché percepisce nelle nostre attività uno spirito educativo, accogliente. Questo significa una presenza costante, devi esserci tutti i pomeriggi. Il nostro oratorio è sempre aperto, anche a Natale e Pasqua. E io sono qua, anche se ci sono solo tre ragazzi. Vuol dire trascorrere tutta l’ estate fra campi scuola e Grest. Non ricordo di aver mai fatto ferie personali».
Alla luce dei tempi e dei cambiamenti, anche gli strumenti vanno rinnovati. «L’ oratorio non può più essere quello di cinquant’ anni fa, perché la società è cambiata. E i bisogni sono altri. Una volta le uniche proposte —cinema, sport, musica — erano le nostre; oggi queste sono diventate attività laiche. Pertanto, o ci adattiamo e progettiamo un’ offerta appetibile, oppure chiudiamo. Dunque, se offro il Grest, prima formo gli animatori. Se faccio calcio, lo devo fare bene. Non vado a predicare alla squadra, ma cerco un buon allenatore che la faccia giocare. E io sto con loro. Poi magari arriveranno anche i discorsi di fede».
UNA COMUNITÀ PROTAGONISTA
Ma il prete non può fare tutto da solo. «Infatti, qui entrano in campo i laici, che però non vanno lasciati soli, ma accompagnati. Io li provoco: “Iscrivi tuo figlio all’ oratorio, e tu cosa fai? Non ti lasci coinvolgere?”. Così è nato il gruppo adulti, una quarantina di persone. Chiedo loro un cammino di fede, di comunione e di servizio. Si sono suddivisi in sottogruppi, si turnano al bar, fanno lavoretti, le signore organizzano laboratori... ma soprattutto si riuniscono per ascoltare la Parola e riflettere. Qualche volta inciampano, ma la prima comunità cristiana non era perfetta, e mi pare che neanche la Chiesa lo sia. Intanto il cerchio si allarga sempre di più».
FIDUCIA NEI GIOVANI
L’ impressione è che oggi i ragazzi siano molto più fragili. «Certo, ma perché lo sono anche i loro genitori», risponde don Alberto. «Se mio figlio di seconda media non lo faccio avvicinare alla nonna che è morta, quand’ è che affronterà il problema della vita, della morte, della sofferenza? E quando si troverà di fronte a un piccolo problema, per lui sarà un grande problema. Come preti, dobbiamo stare vicini ai ragazzi, a tutti. Perché a volte, preoccupati dei più tremendi, rischiamo di dimenticare gli altri. E poi dobbiamo saper gestire le situazioni. Se indico una riunione per i genitori e ne arriva metà, che faccio? Faccio la predica a chi c’ è, perché gli altri non ci sono? Io penso che invece devo far gustare la riunione ai presenti, devono andar via contenti, e magari alla prossima ci saranno più persone». Il 28 gennaio è stata inaugurata la nuova ala del centro di formazione professionale, con la benedizione del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. Quattro nuovi laboratori, tre aule didattiche, un terrazzo e le pareti attrezzate per accogliere il verde verticale, 1.500 metri quadrati a disposizione di 230 studenti e una trentina di insegnanti.
«Se ci siamo impegnati a costruire una scuola nuova», conclude don Alberto, «è perché crediamo nei giovani, così come ci credeva il nostro fondatore. Quando lo penso, a volte mi colpevolizzo, perché mi chiedo quante cose in più e meglio potrei fare. Poi però capisco che non è solo questione di fare; dobbiamo essere più umani. Perché prima di essere preti, siamo uomini, ed è su questo che la gente ci giudica. Se non saluto, non accolgo, non c’ entra Cristo: è l’ uomo che viene a mancare completamente».
Romina Gobbo
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