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«Don Bosco», il prete dei giovani e della gioia.

Il 22-23 settembre va in onda su Raiuno lo sceneggiato in due puntate «Don Bosco», il prete dei giovani e della gioia. Il nostro incontro con l'interprete, Flavio Insinna.


«Don Bosco», il prete dei giovani e della gioia.

da Iniziative in tour

del 01 gennaio 2004

 

«Faceva ridere più di Fiorello, aveva una spiritualità pazzesca, costruiva le basiliche, sapeva confortare, era sindacalista, rivoluzionario e santo, considerato tale già da vivo. E poi: scrittore e attore, ha creato laboratori e falegnamerie… San Giovanni Bosco è stato per me una scoperta stratosferica».

 

• Perché: non lo conoscevi?

«Sì, ma come tutti: il santo dell’allegria, dei giovani, anche mia madre ha studiato dai Salesiani, insomma le solite cose. Poi ho iniziato ad approfondire e ho scoperto una miniera senza fine».

 

NEL FILONE DEI SANTI IN TV

 

E la miniera è finita in tv. Nella nuova fiction Rai che, con la regia di Ludovico Gasparini, ha mostrato agli italiani uno dei santi più amati, più conosciuti, se è mai possibile conoscere fino in fondo una personalità gigante come quella di san Giovanni Bosco.

E per interpretarla un volto emergente della tv e del cinema, Flavio Insinna, il Capitano dei Carabinieri in Don Matteo, la super fiction di Rai1 con Terence Hill. Insinna, studi di recitazione da Gigi Proietti, 39 anni, un curriculum di tutto rispetto, alla prova pi√π complessa.

 

 

UNA VITA TRA I RAGAZZI

 

Ti chiedono di interpretare un poliziotto. E vabbe’, ti prepari un po’ e vai. Ma per fare bene don Bosco, avrei dovuto studiare almeno quattro o cinque anni. Ora sto girando uno sceneggiato su Meucci, gli anni sono quelli, e io penso: e in questo momento don Bosco che sta a fa’? E la risposta è che mentre Meucci provava i suoi esperimenti, lui era al lavoro per le periferie di Torino.

 

• Qual è la parte del suo carattere che hai voluto mettere in primo piano?

«E come fai a scegliere? Lui, maestro di cose terrene e alunno dei sogni, come lo hanno chiamato. Tutti i giorni toccavamo la sua grandezza, ne eravamo sopraffatti. Per esempio: sul set c’erano molti bambini che recitavano, e non erano i bimbi poveri presi dalla strada che frequentava lui, eppure alla sera ero distrutto. E pensavo a don Bosco che stava tutti i giorni e tutta la vita con ‘sti ragazzini.

E poi mi ha colpito, tra le altre, una cosa che diceva nel 1800, quando perfino i bambini lavoravano nelle fabbriche e i diritti non si sapeva neanche cosa fossero: “Non basta amare, la gente deve sentirsi amata”. Meraviglioso! Un pensiero che ho anche ritrovato in un libro di Carter, Sentieri per la nuova cascata, in una poesia, L’ultimo frammento, che dice: “Hai ottenuto quello che volevi dalla vita? Sì, sentirmi amato sulla terra”. Don Bosco lo diceva due secoli fa».

 

• Dopo Padre Pio, Giovanni XIII, Maria Goretti, una nuova fiction religiosa. E al cinema c’era stato anche «The Passion». C’è un po’ d’inflazione o è meglio così?

«Credo che in purezza di cuore si possa fare qualunque cosa. Comunque ben vengano questi temi. Se mostrati con serietà sono sempre buone storie che si diffondono. Mi dispiace solo che anche per questi film ci sia la logica dell’auditel: è un film su un santo, come si può fare una gara?».

 

• E voi avete lavorato in purezza di cuore?

«Gasparini, il regista, non ha fatto scelte facili. Non abbiamo pensato: ora gli ammolliamo il santino di don Bosco. Io stesso ho chiesto al regista: “Dimmi i suoi difetti”, e lui è rimasto zitto. Ma dopo un po’ mi ha fatto: “Bella domanda”. Noi volevano far passare la verità, i cedimenti, la fede che trema, perché anche don Bosco ha avuto momenti di sconforto e di paura. La fede va annaffiata ed è per tutti così».

 

DON BOSCO E I GIOVANI

 

• Cosa farebbe San Giovanni Bosco per i giovani d’oggi? Quelli del suo tempo, e i loro bisogni, li aveva capiti profondamente.

«Staccherebbe i ripetitori delle televisioni. No, scherzo. Oggi li troverebbe fisicamente più nutriti, ben vestiti, ma credo che il problema sia sempre lo stesso: se uno non è amato crescerà con gli unici codici che conosce, l’odio e la violenza. Hai una penna? Mi piace? E te la prendo. Penso ai quartieri di certe città: non c’è lavoro, non c’è scuola, arriva la mafia. Nessuno ti dice: vieni che cerchiamo un lavoro. Invece c’è chi si avvicina e dice: ti faccio diventare ricco e rispettato, e quello ci va».

• Ci vogliono buoni accompagnatori.

«Don Bosco diceva: “Dobbiamo essere custodi momentanei”. La famiglia, per esempio, è importante. Da me non avevamo problemi economici, però mio padre mi ha sempre ripetuto che il mio valore non dipendeva dalle marche famose che infatti potevo anche non avere. E questo è stato un vero addestramento morale. I genitori fanno più fatica a dire no che sì, ma - quando li spiegano - certi no? E poi vedi l’esempio nel lavoro, nell’aiutare i poveri, incameri e cresci bene. Ma senza questo insegnamento è un disastro. Credo, a pelle, che oggi don Bosco faticherebbe di più».

 

 

MA OGGI I GIOVANI…

 

• Ti cito un po’ di obiezioni che girano sul mondo giovanile. Vediamo cosa ne pensi.

«Vai».

 

• Dicono che non vogliamo assumerci responsabilità.

«Queste generalizzazioni mi fanno paura. Che c’entra? Le cose vanno maturate, incamerate. Io anzi ne vedo tanti ben motivati, hanno un po’ di confusione, ma è pure naturale. Sai cosa? Dovremmo nascere a 80 anni, con quell’esperienza lì, e poi scendere».

 

• Interessante. Altra obiezione: leggeremmo poco.

«E perché, quelli più grandi? Anzi forse leggono più i giovani. Anch’io dopo il liceo per anni non ho letto, il militare, gli anni della contestazione e poi all’improvviso ho ricominciato e mi sono detto: cosa ho perso! È come la musica quando ti mettono davanti a un pianoforte a quattro anni, uno fugge».

 

• Li conosci bene i giovani?

«Ho fatto un po’ di lezioni all’università sul teatro. Ho capito che sono confusi».

 

• Veline e calciatori?

«Ho detto loro: non è matematico che diventate famosi, e mi guardavano con la faccia di “ma che sta a di’?”. Loro pensavano: mi propongo, sono carina, faccio il calendario, vado a La vita in diretta».

 

• E che cosa ti hanno risposto?

«“Ma lei non ci incoraggia!”, davvero, così! Mi facevano tenerezza. E io dico: mi piacerebbe che vi fosse chiaro quello che volete. Io volevo fare l’attore non per possedere cinque ville o diventare famoso, ma per divertire, emozionare, e quando oggi mi dicono: ero triste e con un tuo film ho riso, quello è il successo».

 

• Intanto, però, un centinaio di tuoi ammiratori ha costruito una comunità virtuale su internet per parlare di te.

 

«È vero. Non ho un sito ufficiale, perché sono uno dei meno telematici del mondo, mi si rompe in mano l’accendino. Ma hanno voluto questa cosa e vedo che c’è tanto affetto e ho la responsabilità di essere disponibile, attento e lo faccio con piacere. Poi dico: siete miei fan, che può essere un genere, va bene, ma sfruttate questo pretesto e conoscetevi. Se cambio mestiere, Flavio Insinna ferramenta, almeno voi rimanete amici».

 

«La domenica sera prima di iniziare le riprese sono andato nella chiesa del Sacro Cuore dei Salesiani, vicino alla Stazione Termini a Roma. A pregare? Sì, anche. Soprattutto a chiedere aiuto a don Bosco. E ho pensato: se lui è riuscito, senza avere neanche una lira, a costruire questa basilica e a fare quello che ha fatto, forse riuscirò anch`io a interpretare in maniera dignitosa questo importante personaggio che mi è stato assegnato» (Flavio Insinna).

 

 

Rosario Carello

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