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Don Bosco padre e maestro dei giovani

Don Bosco, dopo aver visto le prigioni e le periferie, tirò rapidamente i conti. Quei ragazzi avevano bisogno di una scuola e un lavoro che aprissero loto un avvenire più sicuro...


Don Bosco padre e maestro dei giovani

da Don Bosco

del 16 gennaio 2007

Un giorno del 1841, nelle prigioni di Torino in via San Domenico, entrarono due preti. Uno era don Cafasso, chiamato il 'prete della forca' perché accompagnava e consolava i condannati a morte fino al luogo del supplizio. L'altro era un pretino giovane, arrivato a Torino da poco, don Giovani Bosco.

 

 

   Lezione di catechismo

 

I corridoi oscuri, le mura nere e umide, l'aspetto triste e squallido dei detenuti, turbarono profondamente il prete giovane. Ma ciò che gli procurò un dolore vivo fu la vista di ragazzi dietro le sbarre. Scrisse 'Vedere un numero grande di giovanetti, dai 12 ai 18 anni, tutti sani, robusti, d'ingegno sveglio, vederli là inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentare il pane spirituale e materiale, fu cosa che mi fece inorridire'.

Tornò in quella prigione altre volte. Cercò di parlare con loro non solo 'facendo lezione di catechismo' (che veniva vigilata dalle guardie), ma a tu per tu. All'inizio le reazioni furono aspre. Dovette mandare giù insulti pesanti. Ma a poco a poco qualcuno si mostrò meno diffidente, riuscì a parlare da amico ad amico. Venne così a conoscere le loro povere storie, il loro avvilimento, la rabbia che a volte li rendeva feroci. Il delitto più comune era che avevano rubato. Per fame, per desiderio di qualche cosa oltre il sostentamento scarso e anche per invidia della gente ricca che sfruttava il loro lavoro e li lasciava nella miseria.

La società non aveva saputo far niente per loro, e li rinchiudeva là dentro. Erano nutriti di pane nero e acqua. Erano chiusi in stanzoni collettivi, dove i più mascalzoni diventavano maestri di vita.

'quello che più mi impressionava - scrisse Don Bosco - era che molti, quando uscivano, erano decisi a fare una vita diversa, migliore'. Magari solo per la paura della prigione. 'Ma dopo poco tempo finivano di nuovo lì'. Cercò di capirne la causa, e concluse: 'perché sono abbandonati a se stessi'. Non avevano famiglia, o i parenti li respingevano perché la prigione 'li aveva disonorati per sempre'.

'Dicevo a me stesso: questi ragazzi dovrebbero trovare fuori un amico che di prenda cura di loro, che li assista, li istruisca, li conduca in chiesa nei giorni festivi. Allora non tornerebbero in prigione'.

Di giorno in giorno riesce a farsi qualche amico. Le sue 'lezioni di catechismo dietro le sbarre' vengono ascoltate più volentieri. 'man mano che facevo loro sentire la dignità dell'uomo - scrisse - provavano un piacere nel cuore, risolvevano di farsi più buoni'.

Ma sovente, quando torna, tutto è distrutto. I volti sono tornati duri, le voci sarcastiche sibilano bestemmie. Don Bosco non sempre riesce a vincere l'avvilimento. È in quei giorni che matura la sua decisione incontrollabile: 'Signore, aiutami a salvare questi giovani'.

 

 

   Tentare strade nuove

 

Capire i tempi nuovi, preparare piani a vasto raggio era (come sempre) terribilmente difficile. Le parrocchie a Torino erano 16. I parroci vedevano i giovani per le strade, ma stavano ad aspettarli nelle chiese per i catechismi tradizionali. Rimpiangevano i 'bei tempi' in cui i giovani immigrati arrivavano con la lettera del parroco di provenienza. Non si accorgevano che, sotto l'ondata della crescita popolare, quegli schemi di comportamento erano saltati. Occorreva almeno tentare vie diverse, provare un apostolato volante tra botteghe, officine, mercanti. Dei preti giovani lo tentavano.

Don Bosco, dopo aver visto le prigioni e le periferie, tirò rapidamente i conti. Quei ragazzi avevano bisogno di una scuola e un lavoro che aprissero loto un avvenire più sicuro; avevano bisogno di poter essere ragazzi, cioè di scatenare la loro voglia di correre e di saltare in spazi verdi senza intristire sui marciapiedi; avevano bisogno di incontrarsi con Dio, per scoprire e realizzare la loro dignità.

Su queste linee mosse il suo apostolato. Avvicinò il primo ragazzo immigrato l'8 dicembre 1841 (ricordò sempre, come se l'avesse registrato, il primo dialogo con quel muratorino di Asti). Tre giorni dopo attorno lui erano in nove, tre mesi dopo venticinque, nell'estate 1842 ottanta. 'Erano selciatori, scalpellini, muratori, stuccatori che venivano da paesi lontani'.

Nasce l'oratorio. Non trovò posto stabile, deve vagare con i suoi ragazzi per la periferia Nord di Torino, finché trova una tettoia 'fissa' nel rione di Valdocco, tra il manicomio, un cimitero abbandonato e l'aperta campagna. L'oratorio di don Bosco non è una faccenda che si esaurisce alla domenica. Cercare un lavoro per chi non ne ha, ottenere condizioni migliori per chi è già occupato, fare un po' di scuola dopo il lavoro ai più intelligenti, diventano sue occupazioni fisse. 'Andavo a visitarli in mezzo ai loro lavori nelle officine, nei cantieri. Tal cosa produceva grande gioia ai miei giovanetti, che vedevano un amico prendersi cura di loro. Faceva piacere anche ai loro padroni, che prendevano volentieri alle loro dipendenze giovani assistiti lungo la settimana e nei giorni festivi'.

In dieci righe nelle sue Memorie, don bosco ricorda l'orario tipo che si seguiva nell'oratorio di Valdocco. Credo che pochi, oggi, oserebbero proporre ai ragazzi di un oratorio festivo un orario così impegnato.

'Di buon mattino si apriva la Chiesa, e si cominciavano le confessioni che duravano fino all'ora di Messa. Essa era fissato alle otto, ma per accontentare tutti quelli che desideravano confessarsi, era sovente differita alle nove'.

Messa, Comunione, spiegazione del Vangelo. 'Teneva dietro la scuola, che durava fino a mezzogiorno'. All'una pomeridiana cominciava la ricreazione, alle due e mezzo il catechismo. Poi i Vespri, una breve predica, la benedizione eucaristica. Nella ricreazione che si scatenava poi fino a sera 'io avvicinava ogni ragazzo. A uno raccomandava maggior obbedienza, all'altro di venirsi a confessare e così via...'. Don Bosco giocava, faceva il saltimbanco, ma faceva specialmente il prete.

 

 

    I contratti di 'apprendizzaggio'

 

Alcuni suoi ragazzi, però, alla sera, non sanno dove andare a dormire. Finiscono sotto i ponti o negli squallidi dormitori pubblici. Tenta due volte di dare ospitalità: la prima gli portano via le coperte, la seconda gli svuotano anche il piccolo fienile. Ritenta, ottimista testardo. Nel maggio 1847 ospita in cucina accanto al fuoco, un ragazzotto immigrato dalla Valsesia. In quel 1847 ne arrivano altri sei. I ragazzi ospitati saranno 35 del 1852, 115 nel 1854, 470 del 1860, 600 nel 1862, fino a toccare il tetto di 800.

Ragazzi poveri vogliono dire pane e minestra, abiti e libri, edifici e chiese sempre più vaste. I soldi diventano un problema drammatico. Per don Bosco lo saranno per tutta la vita. La sua prima benefattrice non è una contessa, ma sua madre. Margherita, povera contadina analfabeta di 58 anni, lascia la sua casa di campagna viene fare la cuciniera e la lavandaia dei 'barabbotti' raccolti da suo figlio. E nei primi, strettissimi tempi, vende il suo anello, gli orecchini, la collana, custoditi fino allora gelosamente, per sfamare i ragazzi.

Tra quei primi ragazzi poverissimi, qualcuno chiede a don Bosco di 'diventare come lui'. Si chiamano Rua, Cagliero, Francesia, Cerruti. Nascono così i Salesiani.

Nell'archivio della Congregazione Salesiani una si conservano alcuni documenti rari: un contratto di 'apprendizzaggio' in carta semplice, datato 'novembre 1851'; un secondo contratto pure di apprendizzaggio, in carta bollata da quaranta centesimi, con data 8 febbraio 1852. Entrambi sono firmati dal datore di lavoro dal ragazzo apprendista e da don Bosco. In quei contratti (tra i pi√π antichi per i ragazzi apprendisti conservati a Torino) don Bosco mette il dito su su parecchie piaghe. Alcune padroni usavano gli apprendisti come servitori e sguatteri. Egli si obbliga a impiegarli solo nel loro mestiere. Il padrone picchiava, e don Bosco e esige che le correzioni siano fatte solo a parole. Si preoccupa della salute, del riposo festivo e delle ferie annuali. Nell'autunno del 1853 iniziano nell'oratorio di Valdocco i laboratori dei calzolai e dei sarti. Il primo maestro dei calzolai fu don Bosco stesso. Dopo vennero i legatori, i sarti, i falegnami, e i tipografi, i fabbri. Sei laboratori per ragazzi 'orfani di padre e di madre - si legge nel programma -, e totalmente poveri e abbandonati'.

 

 

   Uomini del pronto intervento

 

Nel dialogo tra don Bosco e il primo ragazzo immigrato (don Bosco lo scrisse battuta per battuta) c'è la parola 'subito'. Tirato dentro l'azione dall'urgenza, dall'impossibilità di aspettare, 'subito' diventa la sua parola d'ordine. Solo col passare del tempo don Bosco (come tutti gli altri) vide delinearsi chiaramente e compiutamente il quadro della situazione in cui stava vivendo: la questione sociale, la necessità di interventi complessi e articolati.

Nell'incertezza della prima rivoluzione industriale, nell'impossibilità di trovare belli e fatti piani e programmi di azione, don Bosco gettò tutte le sue energie per fare 'subito' qualcosa per i ragazzi poveri. Insieme con lui, i primi Salesiani si specializzarono come 'uomini del pronto intervento'.

Anche più tardi questa rimase la loro caratteristica. 'Fare qualcosa subito', perché i giovani poveri non possono permettersi il lusso di aspettare le riforme, i piani organici, le rivoluzioni del sistema. Certo, il 'subito' non basta. 'Se incontri uno che muore di fame, invece di dargli un pesce insegnagli a pescare' si dirà giustamente. Ma è anche vero il rovescio della frase: 'se incontri uno che muore di fame, dagli un pesce, perché abbia il tempo di imparare a pescare'. Non basta il 'subito', l'intervento immediato, ma non basta nemmeno 'preparare un futuro diverso', perché intanto i poveri, quelli che Cristo ha chiamato 'figli prediletti di Dio', muoiono di miseria.

Don Bosco e i suoi primi Salesiani impostarono un'azione cristiana che aveva come obiettivi immediati: pane, catechismo, istruzione professionale, posto di lavoro protetto da un buon contratto di lavoro. E attesero che altri cattolici, in concorrenza con socialisti e anarchici del tempo, aprontassero dei piani per aggredire lo Stato liberale, che ipocritamente 'si asteneva' dai conflitti di lavoro, cioè lasciava che i potenti facessero i prepotenti e che i deboli venissero schiacciati.

 

 

   Un 'sistema' per educare

 

Negli anni le 'grandi realizzazioni' di don Bosco si moltiplicarono. A chi gli domandava come facesse, rispondeva stringendosi nelle spalle: 'Io? Ma io non ho fatto niente. È la Madonna che ha fatto tutto'.

26 gennaio 1860: il primo 'ragazzo di don Bosco', Michele Rua, diventa prete. Al termine della vita don Bosco potrà dire che quasi tremila preti sono usciti dalle file dei suoi ragazzi.

Marzo 1864: si pone nella prima pietra del Santuario di Maria Ausiliatrice in Valdocco. Otto anni dopo don Bosco inizierà un altro 'santuario 'della Madonna: la Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Novembre 1875: parto i primi dieci missionari salesiani per l'America del Sud. Nello stesso anno nascono i 'Cooperatori', la terza famiglia salesiana. Prima di morire don Bosco dirà loro: 'Senza la vostra carità io avrei potuto fare nulla; con la vostra carità abbiamo invece asciugato molte lacrime e salvato molte anime'. Per raggiungere i Cooperatori fonda il Bollettino Salesiano, che oggi nel mondo ha una tiratura di un milione di copie.

Ma l'opera più grande che don Bosco lasciò alla Chiesa fu il suo 'sistema per educare i ragazzi'. A chi gli domandava dove fosse il segreto di quel suo modo di 'stare tra i ragazzi', che trasformava case grandissime in 'famiglie' dove ci si voleva bene, rispondeva che tutto consisteva in tre parole: ragione, religione, amorevolezza. Quando non si minaccia ma si ragiona, quando Dio è 'padron di casa', quando non si ha paura ma ci si vuole bene, allora nasce la famiglia. Molte volte qualcuno domandò al prete di Valdocco di spiegare in un libro quel suo 'sistema'. Non ce la fece mai. Nel 1876 però, prese il coraggio a due mani e tirò giù uno 'schizzo' di nove pagine. Ne riporto una sola. È scritta in fretta, ma vi traspare la 'carica' che don Bosco si portava dentro.

'Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e sopra l'amorevolezza. Esclude ogni castigo violento, e cerca di tener lontani gli stessi castighi leggeri.

Il direttore e gli assistenti sono come padri amorosi: parlano, servono di guida, danno consigli e amorevolmente correggono. L'Allievo non resta avvilito, diventa amico, nell'assistente vede un benefattore che vuole farlo buono, liberarlo dai dispiaceri, dai castighi, dal disonore.

La pratica di questo sistema e tutta appoggiata sopra le parole di San Paolo che dice: la carità e benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo'. Perciò soltanto il cristiano può con successo applicare questo sistema. Ragione e religione sono gli strumenti di cui deve costantemente far uso l'educatore.

Il direttore deve essere tutto consacrato ai suoi educandi, trovarsi sempre con i suoi allievi quando essi sono in tempo libero. Questo educatore cerchi di farsi amare piuttosto che farsi temere'.

 

 

   'Del male a nessuno'

 

Negli ultimi tempi, don Bosco era quasi piegato in due dagli acciacchi e dai travagli della vita. Se qualcuno, vedendolo camminare solo, andava a sorreggerlo e gli domandava: 'Dove andiamo, don Bosco?', lui lo fissava con suo con quel suo sorriso dolce e rispondeva: 'Andiamo in Paradiso'.

Morì all'alba del 31 gennaio 1888. Ai salesiani che vegliavano attorno suo letto, mormorò negli ultimi istanti: 'Vogliatevi bene come fratelli. Fate del bene a tutti, del male a nessuno... Dite ai miei ragazzi che aspetto tutti in Paradiso'.

 

Tre anni prima, a Roma, era stato intervistato da un reporter del Journal de Rome. Gli era stato chiesto, tra l'altro: 'Che cosa pensa delle condizioni attuali della Chiesa in Europa in Italia e del suo avvenire?'. Aveva risposto 'Nessuno, eccetto Dio, conosce l'avvenire. Tuttavia umanamente parlando, c'è da credere che l'avvenire sarà grave. Le mie previsioni sono molto tristi, ma non temo nulla. Dio salverà sempre la sua Chiesa, e la Madonna, che visibilmente protegge il mondo contemporaneo, saprà far sorgere dei redentori'.

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