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Don Bosco visto da don Giulio Barberis 2

Tutta la vita di Don Bosco fu dedicata alla salvezza delle anime, e quindi ad opere di carità che aiutassero il prossimo, giovane o adulto, povero o ricco, uomo o donna, a fare questo cammino.


Don Bosco visto da don Giulio Barberis 2

da Don Bosco

del 14 gennaio 2011

 

           Tutta la vita di Don Bosco fu dedicata alla salvezza delle anime, e quindi ad opere di carità che aiutassero il prossimo, giovane o adulto, povero o ricco, uomo o donna, a fare questo cammino. Le scuole, gli oratori, le ore trascorse in cortile a parlare con i giovani, i colloqui con chi lo incontrava, tutto era segno di carità. Diversi brani della testimonianza giurata di don Giulio Barberis al processo di beatificazione e canonizzazione di Don Bosco trattano questo tema.  Un giovane garzone muratore           «Un giorno, in via Po a Torino, Don Bosco vide un giovane garzone muratore cadere e farsi male – testimoniò don Barberis –. Accorse prontamente, lo fece curare in una vicina farmacia, gli domandò dove stavano i suoi genitori; uno di questi non era di Torino. Don Bosco se lo condusse a casa e, guarito che fu, trovandolo di buon ingegno lo mise agli studi. Il giovane si chiamava Germano Candido.           Per la carità di Don Bosco, questo giovane divenne professore di belle lettere e ispettore scolastico governativo nella città di Ivrea. Questo fatto lo udii raccontare dal medesimo professor Germano, il quale non aveva vergogna di raccontare nelle pubbliche adunanze la carità di Don Bosco.           Un altro giorno, un ragazzo entrò nel cortile di Valdocco per la sola curiosità dei giochi. Don Bosco subito gli si accostò, gli parlò del Signore, lo allettò alla Chiesa, dal giovanetto dimenticata. In seguito, essendo il giovane maltrattato dai parenti, Don Bosco lo accolse nell’Oratorio, lo fece studiare, e attualmente è il curato della parrocchia di Sant’Agostino di Torino, che io ben conosco. Si contano a migliaia di fatti simili». La carità di Don Bosco si rivolgeva non solo ai giovani.           «Quando si arrivava da un viaggio, si faceva festa – raccontava don Barberis ripensando ai suoi confratelli salesiani –; Don Bosco domandava specialmente se nel trattare i nostri affari non avessimo dovuto soffrire qualche durezza. Era poi mirabile nei riguardi quando si trattava di cambiare qualcuno d’ufficio, affinché non fosse lesa la nostra suscettibilità.           Prima di prendere qualche deliberazione su qualcuno di noi, ascoltava sempre le ragioni di tutti: cercava di conoscere le abilità, le propensioni e persino i desideri di ciascuno, per mettere ognuno all’opificio, che a lui fosse più adatto.           Era mirabile specialmente nell’aiutare i meno perfetti e se qualcuno si fosse trovato vacillante nella propria vocazione.           Insegnava egli stesso a far scuola; io ricordo ancora adesso molti ammaestramenti che diede a me quando fui messo all’insegnamento. Così non dimenticherò mai la cura che si prese di correggermi il quaderno di vari libri che ho dato alle stampe.           Anche dovendo allontanare qualche alunno dalla Casa, specialmente poi se si trattava di coloro che da maggior tempo erano all’Oratorio, usava una carità che aveva del sorprendente. Temeva di danneggiare qualcuno. Prima avvisava più volte, poi minacciava, e quando si trattava di allontanare, perdonava ancora facilmente a chi dimostrasse pentimento sincero».  Fortunati gli ammalati           La carità che Don Bosco dimostrava verso gli ammalati era molto gradita dagli stessi. «Quando io fui gravemente infermo – testimoniò don Barberis –, mi ricordo come veniva a trovarmi e quanto piacere e consolazione mi arrecasse la sua visita, così udii dire da altri miei compagni, vari dei quali si chiamavano fortunati di essere stati ammalati per aver avuto la consolazione delle caritatevoli visite di Don Bosco».           La stessa carità dimostrò nei confronti dei familiari dei suoi confratelli. «Si manifestò in modo tutto particolare la carità di Don Bosco nel provvedere ai parenti più prossimi dei suoi salesiani. Conobbi io, ammessi all’Oratorio e in altre Case, moltissimi fratelli e padri dei miei compagni, molti dei quali affatto inabili al lavoro. Anzi, non potendo accettare donne nelle nostre Case, Don Bosco aprì espressamente una Casa a Mathi, dove sono accolte e caritatevolmente trattate dalle suore di Maria Ausiliatrice le madri e anche qualche sorella dei nostri salesiani, senza contare che diverse di esse furono, per ordine di Don Bosco, ospitate caritatevolmente nelle varie Case delle suore di Maria Ausiliatrice».  Come San Luigi           «Da mihi animas, coetera tolle» era il programma di vita di Don Bosco.In questa prospettiva, per Don Bosco era importante pregare per i peccatori.           «Sua preghiera e sue fatiche costanti erano di far in modo che non si commettessero peccati, e far sì che i peccatori si convertissero. Quando qualche giovane recentemente da lui accettato non dimostrava di volersi convertire, Don Bosco lo raccomandava subito alle preghiere di alcuni dei più buoni giovani dell’Oratorio, poi incaricava qualcuno che gli stesse appresso cercando d’indurlo a confessarsi. Altre volte lo udii raccomandarlo ai maestri o ai capi d’arte affinché raddoppiassero verso di lui le sollecitudini, e non si dava pace finché avesse ricondotto quel traviato sul buon sentiero».           Don Bosco era soprattutto un testimone, più che un maestro; insegnava a chi gli era vicino con il proprio esempio.           Ma c’erano momenti in cui era necessario anche parlare. «Don Bosco non solo esercitava la carità, ma inculcava molto a noi di esercitarla – testimoniò don Barberis –. Ricordo che nel 1879, dandoci un pensiero per strenna di inizio anno, ci raccomandò l’unione tra noi e la carità con i giovani. Parlando ai giovanetti nella festa di san Luigi del 1875, insistette perché cercassimo di imitarlo nella sua carità: “Lasciate, in onore di questo Santo, tutte le mormorazioni con i compagni, quei piccoli asti, quelle piccole vendette tra di voi: no, si badi che più volte ci disse il Divin Redentore, parlando della carità: ‘Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem’ (‘Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda’), e lo chiamò ‘mandato nuovo’ perché prima si costumava far del bene solamente a coloro che usavano buoni modi, ma voi fate del bene anche a chi vi facesse del male.           Quando potete fare un piacere ad uno, fatelo volentieri, imitando così san Luigi sarete poi partecipi del premio con Lui”». Erano proposte convincenti soprattutto perché Don Bosco dimostrava con la sua vita che erano realizzabili.

Claudio Russo

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