Dov'è finita la mia scuola? I professori che creavano relazioni, suscitavano domande di senso, che, valorizzando il voto, non lo usavano come strumento per gestire la classe, genitori collaborativi e costruttivi...
Dov'è finita la mia scuola? La settimana scorsa l'intervento di un ex studente di liceo su un quotidiano, per il quale curo la rubrica settimanale "Diario di Prof", si poneva questa domanda ricordando la propria esperienza tra i banchi: i professori che creavano relazioni significative, che suscitavano domande di senso, che, valorizzando il voto, non lo usavano come strumento per gestire la classe o il singolo, genitori collaborativi e costruttivi.
Dov'è dunque finita questa scuola? Affermo subito e con certezza che questa scuola esiste ancora, che è viva in tanti angoli della nostra nazione, che cammina sulle gambe di bravi docenti, di interessati studenti, di famiglie partecipi. Credo anche che non si possa vivere di nostalgia, guardando al passato come unico riferimento per il presente. La scuola raccontata dall'ex studente è davvero finita, non c'è più, nel senso che quel tempo non è clonabile oppure riproponile come si imitasse un modello straordinario. Inoltre, scavando un po', troveremmo facilmente studenti dello stesso periodo e della stessa scuola con un'esperienza scolastica esattamente contraria a quella positiva dell'intervento citato. Quel tipo di scuola "ideale" nella semplicità c'è sempre stata e allo stesso tempo no, così come oggi c'è e non c'è.
La memoria serve per migliorarsi e per evitare di cadere sugli stessi errori, ma ciò è possibile in una scuola che voglia mettersi in discussione dandosi l'opportunità di fare verifica schietta, non frettolosa, serena, approfondita a diversi livelli; lo stesso vale per i singoli, cioè per gli insegnanti chiamati a doversi auto interrogare o a farsi interrogare a partire dall'esperienza vissuta e dalle domande che la quotidianità del mestiere offre, confrontandosi con gli studenti, con le famiglie, con i colleghi, con il personale non docente, con la società, con i contenuti delle discipline, con il mondo che cambia.
Un altro modo utile per costruire un contesto intenso e valorizzante è quello di fare in modo che della scuola e dell'istruzione si parli di più nei dibattiti, sui media e sui nuovi media. Ma parlarne come? Non solo per le solite questioni burocratiche, per i problemi economici, per il bullismo, per le strutture, all'inizio e alla fine dell'anno, in occasione degli esami, per le riforme mai fatte! Se ne parli, si racconti, si dia spazio per una narrazione quotidiana che dia voce a tutti coloro che sono i protagonisti in questo bel mondo, usando la tecnologia classica ma anche tutte le novità. L'intervento del nostro lettore ci dice che aprire il dibattito da questa prospettiva è davvero un'occasione, per valorizzare il presente e progettare il futuro.
Se diventasse "virale" mediaticamente il modello di una scuola accogliente, stimolante, relazionalmente attiva, culturalmente aperta al classico e al nuovo, umanamente formativa, sarebbe più facile creare un movimento di opinione e di azione. Ciò va detto ai politici di turno, ma anche all'uomo della strada, perché i modelli difficilmente cambiano dall'alto o per una legge, quasi mai in ambito educativo.
Fra qualche giorno ascolteremo le parole di Papa Francesco a tutto il mondo della scuola, forse esse potranno far prendere il volo ad idee nuove, far continuar la navigazione prendendo il largo al buono che c'è, far decollare le storie positive in atto. E allora possiamo dire che il futuro è già presente, rasserenando il nostro amico ex studente che l'educazione fatta con cuore è più forte di tristi connubi e sterili questioni, in ogni contesto formativo e certamente pure nella scuola, ieri come oggi.
Marco Pappalardo
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