E come esami. Non esame, al singolare, ma al plurale. Magari fosse solo uno. In realtà, come si dice, gli esami non finiscono mai. Sono davvero tanti: parziali e progressivi, scritti, orali, a crocette...
E come esami. Non esame, al singolare, ma al plurale. Magari fosse solo uno. In realtà, come si dice, gli esami non finiscono mai. Sono davvero tanti: parziali e progressivi, scritti, orali, a crocette. Dal test d’ingresso alla prova di Stato. Da 3 a 12 crediti (a Medicina anche molti di più!). C’è il primo, indimenticabile: va scelto bene, per partire col piede giusto, e non subito con una delusione. C’è quello preparato meticolosamente per mesi e quello tentato all’ultimo momento, preparato in due giorni (se va, va, se no ci si riprova). C’è l’ultimo, quello volutamente lasciato alla fine, perché ostico, antipatico, perché è quello tentato più volte e mai passato: tenuto lì, con la tesi già pronta, la data della laurea fissata. Sperando che il professore chiuda un occhio e abbia pietà. Spesso, invece, succede il contrario: s’arrabbia perché il suo esame è stato messo in fondo, certamente mal preparato (è l’ultimo!), con la testa altrove e con la voglia pari a zero. E così, di tappa in tappa, si arriva a riempire l’intero libretto.
Con gli esami lo studente si deve misurare: sono scogli da affrontare e superare, uno dopo l’altro, per mettere alla prova la propria formazione; sono asperità a cui non ci si fa l’abitudine ma che aiutano a fare sintesi. Si acquista via via sicurezza, certamente; ma l’averne già fatti molti non rende il successivo più facile. Eppure rendono forti. Fanno crescere. Aiutano a fare chiarezza su quanto hai studiato, servono a far conoscere, anzitutto a te stesso, qualche aspetto della tua personalità e del tuo carattere. Le tue potenzialità, i tuoi limiti. Un esame plasma, consolida, struttura.
Di ogni esame c’è un prima, un durante ed un dopo. Non si scappa. Il prima è costituito dall’avvicinarsi della sessione con i suoi appelli. Le date si stampano inesorabilmente nella testa, più di altre. E si avvicinano: sempre troppo in fretta. O, per lo meno, più in fretta di quanto non si riesca a prepararsi. In questo periodo, man mano che la scadenza si fa prossima, aumenta il consumo di caffè e la distanza che gli altri devono tenere da te o, almeno, dal tuo nervosismo. I libri, le dispense, gli appunti, torturati da sottolineature, evidenziatori, note e appunti. Pagine che si trasformano in campi di battaglia su cui versi sudore, ogni paragrafo martoriato da colpi di matita, spesso colorata, trafitto da frecce di svariata forma, scavato da segni misteriosi, cerchi, quadrati. E poi fai schemi e sintesi, ripeti, da solo, contro un muro o davanti ad uno specchio, con altri, magari anche con un amico che si sacrifica. È un tempo che – al di là delle tensioni – esige metodo, disponibilità alla fatica, concentrazione. Tanta concentrazione. Per questo devi lottare contro ogni forma di distrazione: dalla musica nelle orecchie, a Facebook sempre davanti agli occhi e sotto le dita, dal frigorifero a portata di mano, a qualsiasi altra cosa tra i piedi.
La concentrazione serve molto anche durante l’esame. Insieme alla tranquillità. Non serve, invece, accendere candele in chiesa. Né consumare tutte le unghie a disposizione. Tensione, nervosismo, adrenalina: sono alchimie che si compongono e scatenano le più strane reazioni. Dall’attacco di panico alla crisi isterica, passando per il pianto, la rabbia, l’esultanza. O l’ostentata tranquillità. Non servono. Ma si sa che bisogna farci i conti. Saperle gestire, dominare. La concentrazione e la tranquillità, invece, sono indispensabili per esprimere al meglio quanto si è imparato. Vero poi che il docente ti chiederà sempre quel libro che non hai letto, o quell’argomento che non pensavi fosse poi così importante, quella nota che non hai nemmeno considerato. Per non dire di quella lezione, l’unica che non hai frequentato e di cui non sei riuscito a recuperare gli appunti da nessuno. Proprio quella. Fa parte della capacità divinatoria del docente, che sfugge ad ogni logica. O, forse, della sua navigata esperienza. Come il potente del libro del Siracide: “con la sua molta loquacità ti metterà alla prova e quasi sorridendo ti esaminerà” (Sir 13,12). Sarebbe comunque bello riuscire a mettere nell’esame anche un po’ delle tue considerazioni, una tua sintesi, una conclusione a cui sei giunto. Capisco che non sempre è possibile e non tutti i docenti sono disponibili.
Il dopo è altrettanto importante. Non si tratta di dire semplicemente: “uno di meno”. Non si tratta neppure di infilare nello scaffale della libreria i testi usati e, con loro, mettere via tutto quello che si è imparato. È vero che certi ritmi universitari da “esamificio” fanno anche dell’esame un evento da consumare… e dimenticare. Il dopo può lasciarti in bocca il sapore della gratificazione o quello della delusione. La prima è la giusta ricompensa del tuo lavoro; la seconda è una nuova sfida. Sfida innanzitutto a non sentirti fallito: è andato male un esame, quell’esame. Non tutto. Non tu. Cerca di capire dove hai sbagliato, cosa non è andato. E riparti. Riprova. Perché gli esami fanno non solo media, fanno anche crescere. Come affronti l’esame così affronti la vita. Come – sapientemente – insegna il Qoelet: “Godi, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù. Segui pure le vie del tuo cuore e i desideri dei tuoi occhi. Sappi però che su tutto questo Dio ti convocherà in giudizio” (Qo 11,9).
Di Don Bortolo Uberti
Tratto da http://www.universi-mi.it
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