Eccomi e conta su di me!

La storia di Marco Bettiol, nato con una grave ipotonia che gli impediva di parlare. A 8 anni la possibiltà di scrivere, tramite un computer, gli ha permesso di lasciare lettere bellissime...

«La vita è una strada/ che non si ferma quando vorremmo sederci,/  che molte volte non va nella direzione che avremmo desiderato,/ che spesso è così in salita da lasciarci senza fiato,/ ma che va affrontata con lo sguardo puntato sulla meta/ e non solo con il capo chino per non inciampare sui sassi/ che ci intralciano il cammino./ Solo così/ si potrà sentirsi parte della strada che Dio ha pensato/ per condurci da lui/ e assaporare le sue meraviglie che ci alleggeriscono la vita,/ come le persone con cui condividiamo la via,/ perché il nostro Padre Celeste conosce il cuore/ di chi ama/ e sa che da soli non si fa strada,/ mentre il poter essere insieme ci fa viaggiare/con il vento alle spalle/ e godere del sole come della pioggia,/ forti della comunione di coloro/ che con noi hanno scelto/ di raggiungere la vetta con l'amore reciproco./ Buon cammino a ciascuno e ricordate/ che siamo tutti compagni di viaggio».

 

Così scrive Marco Bettiol per il suo 18° compleanno. Lo chiamano poeta al liceo Corradini di Thiene, dove si distingue per la bravura in greco e latino. Lui non è soltanto un poeta, si è rivelato saggio non appena ha cominciato a comunicare con l’ausilio di una tastiera. Si può immaginare cosa sia stato per Patrizia e Francesco, i genitori, leggere le prime “parole” di Marco che aveva già otto anni. Per la festa del papà, Marco gli scrive: «A mio papà, delicato e tenero amico, sempre compagno del mio mondo fatto di gioie e di momenti incerti ma soprattutto di amore. Tanti auguri papà!». E alla mamma: «Carissima mamma, raffinato fiore del mio giardino, luce e gioia del mio sguardo. È il primo anno che posso parlarti dopo otto di silenzio e ti dico che il mio cuore è gonfio d’amore per te. Coglieremo insieme i frutti che la vita ci darà, dolci o amari. Con tanto amore. Marco».

Da quei giorni ogni sua “parola” resta scritta. E rimane registrata non solo la comunicazione dei fatti quotidiani ma anche la consapevolezza che Marco ha della sua condizione: «A volte mi chiedo che cosa porto agli altri oltre il mio essere diverso. So che la prima cosa che si vede è questo corpo senza tono, gli occhi che difficilmente incrociano e sostengono uno sguardo e mani che da sole poco riescono a fare. A volte, (…) si parla di me senza tenere conto della mia presenza, mi si parla senza tenere conto che ogni parola per me ha un peso e un valore. In altre situazioni, occhi doloranti mi osservano e nulla cercano o vedono se non un povero essere che la vita ha castigato».

Quel bambino, bellissimo, era nato nel 1992. A tre mesi, delle crisi epilettiche sono l’inizio per Patty e Franz di pellegrinaggi negli ospedali senza ottenere una diagnosi precisa. Quando nasce il fratellino Alberto, Marco ha cinque anni e le sue difficoltà fisiche progressivamente aumentano. L’encefalopatia ha conseguenze sul sistema nervoso: una scoliosi accentuata con gravi ripercussioni sulla meccanica respiratoria.

«L’esperienza con Marco – confidavano i genitori – continua a farci scoprire com’è importante fare la volontà di Dio e non quello che a noi sembra esserlo. Accogliere Marco è stato vivere con lui ogni sua conquista, ogni passo, senza pretendere che fosse come gli altri bambini».

Quando nasce la sorellina Elisa, Marco ha 12 anni e le scrive: «Tra le nuvole tenere/ di un’incerta primavera/ è arrivato un batuffolo rosa,/ che come dono divino/ ci ha regalato un nuovo sogno./ Ti prego Gesù donale di più,/ di più di un sorriso/ di più del paradiso,/ donale il tuo amore/ e stringila al tuo cuore e disegnale il futuro/ in un mondo meno duro».

Il dono di farmi incontrare Marco me l’ha fatto Chiara M., che ora scrive: «Marco ha sfiorato con le sue ali chi ha incontrato sulla sua strada, anche me. Le ha scosse un po’ e, senza avvisarci, ha lasciato cadere nelle nostre anime polvere di luce».

Anche la sorellina Elisa lo vede così e mi suggerisce per telefono: «Stasera ricordati di guardare nel cielo. Se vedi una stella, la più luminosa, è Marco».

Il fratello Alberto, tredicenne, percepisce Marco come guida: «Lo sento sempre nel cuore, come se mi parlasse, cosa che non poteva mica fare prima. Adesso lui mi sta facendo capire quanto sia importante amare come ha fatto lui, per poter arrivare un giorno a ritrovarlo in cielo. Come fratello, voglio essere il primo a seguirlo, amando come ha fatto lui».

La famiglia Bettiol abita a Dueville, nel vicentino, dove si dice che «Marco ha dato uno scossone a tutto il paese». Quando dico a Patty e Franz che sono una famiglia straordinaria, si schermiscono: «Ci sembra eccessivo quando qualcuno ci dice che siamo una famiglia speciale. Certamente Marco è stato un dono che ci ha educati e aiutati a crescere. Ma per noi è la normalità».

In questa “normalità” è cresciuto Marco, che ha messo tutto il suo impegno nel fare ogni cosa «per il bene dell’altro (…), per fare rinascere Gesù nel mondo, come Maria ha saputo donarlo a noi, dicendo sì al disegno d’amore che Dio ha pensato per lei». Questo lo aveva imparato sin da piccolo, come gen (i giovani del Movimento dei focolari), avendo anche un filo diretto e privilegiato con Chiara Lubich, che lo chiamava “Amato”. Ma la sua sintonia con Chiara sta nel fatto che proprio lui, che dipendeva in tutto dagli altri, ha saputo dire di “sì” a ogni dolore, a ogni limite, come se si fosse presentato Gesù a chiedergli il suo amore, e questo “sì” ha assunto per lui un valore nuziale: «Dio amore ci parla attraverso il dolore e ci fa veramente sperimentare come il nostro nulla si vesta da sposa per dire il suo sì dell’anima. Sento di volerci credere sempre, come Chiara ha fatto prima di me: scegliere Gesù abbandonato come unico amore».

Tre settimane prima della morte, Marco è presente alla festa per la beatificazione di Chiara Luce Badano: «Una gioia smisurata che riprovo ogni giorno se dico il mio sì a Dio nell’adesione all’attimo presente, essere come lei, vuol dire per me essere tutto donato a Gesù abbandonato e farmi uno con lui e la sua volontà».

L’alba del 15 ottobre 2010 apre per Marco il giorno nuovo. Maria Voce, presidente dei Focolari, chiudendo in quei giorni l’incontro dei responsabili del movimento nel mondo, diceva che la beatificazione di Chiara Luce e la morte di Marco «ci spronano a un nuovo impegno nella tensione alla santità».

Sì, come Marco aveva scritto a Walter Kostner, suo padrino: «Risorgere in Cristo vale il martirio della croce e sento che l’abisso di cui parlava anche Chiara è sostenuto da Gesù in mezzo a noi e porta la conseguenza di una vetta ancora più alta, così la luce si purifica e la grazia si irradia su tanti. Ecco, io mi sento pronto a questo, sicuro che nell’anima Dio mi sta chiedendo di offrirgli questa mia vita crocifissa per donarmi la forza del Risorto. Dirò: “Eccomi e conta su di me”, perché ogni membro del mio corpo lo vuole amare. Marco Amato».

 

Di seguito la puntata della trasmissione "A sua immagine" del 20 ottobre 2012, in cui viene raccontata la storia di Marco: link

 

 

Tanino Minuta

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