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Educazione "taglia e incolla"

Legami o connessioni? Di fronte al bisogno di realtà, al bisogno di senso e al bisogno di “relazione e affettività", i dispositivi tecnologici sembrano la soluzione ideale: per questo i giovani sembrano a volte preferire i dispositivi alla reciprocità dell'incontro.


Educazione 'taglia e incolla'

da Quaderni Cannibali

del 01 dicembre 2011 (function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk')); 

 

Giovani e Internet: la cultura digitale, le domande di senso e la ricerca di se stessi.          “Non è Internet la causa della dipendenza”: “casomai” la Rete è “un nuovo ambiente facilmente disponibile per trovare soddisfazione immediata ai bisogni legati alle nuove insicurezze”. Lo ha detto mons. Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, intervenendo oggi a Roma al convegno “Giovani e Internet. Aspetti evolutivi e problemi di dipendenza”, promosso dal ministero della Salute con il Policlinico Agostino Gemelli. Nel mondo digitale, è la tesi di mons. Pompili, “emergono desideri autentici, mascherati da bisogni”. Di fronte al bisogno di realtà, al bisogno di senso e al bisogno di “relazione e affettività”, cioè di fronte “al senso di vulnerabilità personale in una fase critica della costruzione di sé, al timore del rifiuto o anche solo dell'invisibilità, della mancanza di riconoscimento”, i dispositivi tecnologici – ha affermato mons. Pompili – “sembrano la soluzione ideale”: per questo, “i giovani sembrano a volte preferire i dispositivi alla reciprocità dell'incontro”. Nel nuovo contesto ipertecnologico, il “rischio” è quello di “una nuova condizione esistenziale in cui si è contemporaneamente insieme e da soli, col rischio di non essere più capaci né dell'una né dell'altra cosa e di scambiare le connessioni facili per intimità”.          Si può “educare” anche con un videogioco. A lanciare la provocazione è stato Pier Cesare Rivoltella, ordinario di tecnologia dell’apprendimento all’Università Cattolica di Milano, il quale si è soffermato su uno dei videogiochi più diffusi tra i ragazzi, “Assassin’s Creed”, per analizzarne le “grammatiche interne ed esterne” e confrontarle con le modalità di apprendimento più diffuse nelle nostre aule scolastiche. Attraverso i videogiochi, ha spiegato, “si apprende provando e riprovando; l’ambiente è normalmente attraente; non si sanziona mai l’errore in maniera definitiva; si distribuiscono gratificazioni; le regole vengono apprese implicitamente”. C’è poi il “gruppo di affinità”, che “crea legami molto forti tra i giocatori”. In altre parole, tramite i videogiochi “si apprende per curiosità, sulla base di un coinvolgimento personale, con il supporto di una forte motivazione”: tutti elementi, questi, ha commentato Rivoltella, “importanti per un apprendimento scolastico efficace”. Nelle aule, spesso, si apprende invece “in un ambiente noioso, basato sulle sanzioni, dove si centellinano le gratificazioni. Le regole vengono apprese in modo astratto. Si apprende per dovere e non per curiosità, sulla base delle pressioni familiari e sociali e non del coinvolgimento personale, senza forti motivazioni”.          Dipendenza e psicopatologia. Nel primo ambulatorio italiano che cura i disturbi legati ad un uso patologico di Internet e delle sue applicazioni, su 300 pazienti curati l’80% sono giovani fra i 16 e i 22 anni. A parlarne è stato il neuropsichiatra Federico Tonioni, direttore del’ambulatorio operativo al Gemelli dal novembre 2009. “Se nel caso degli adulti – ha spiegato – si tratta di forti frequentatori di siti per adulti, a sfondo sostanzialmente autistico, dove la relazione con l’altro non c’è o non è significativa, nel caso dei ragazzi si tratta di forti fruitori di giochi di ruolo e social network, che manifestano un forte bisogno di interazione e comunicazione”. Adulti, dunque, “consapevoli della propria compulsività e dunque dipendenza” e adolescenti e giovani, invece, che soffrono di “forme di psicopatologia web mediata ben più complessa di quella degli adulti”. Gli adolescenti di oggi sono soprattutto dediti al “gaming”, al gioco, in cui “si instaura con gli altri giocatori un rapporto quasi affettivo, pur senza mai vedersi, che nei casi più patologici azzera i rapporti con i genitori e gli altri compagni”. Ciò che “rimane distante” è quindi “la comunicazione non verbale, la capacità di veicolare emozioni, che prevedono sempre la presenza del corpo: due persone vicine, anche se restano mute, si scambiano sempre informazioni. Anche se vengono ripresi con una webcam, i giovani difficilmente arrossiscono. Le emozioni, invece, sono l’asse portante della comunicazione non verbale, che è poi l’essenza della comunicazione stessa”. Nei giochi di ruolo, inoltre, “la parte d’identità che entra in contatto con gli altri è l’avatar, una sorta di cartone animato del nostro io ideale”. Nei social network, al posto dell’avatar c’è il profilo: anch’esso “un’immagine idealizzata”, attraverso la quale “un immaginario viene istituzionalizzato, e condiviso tra centinaia di amici in Rete”.Legami o connessioni?

          “L’eccesso di informazioni che provengono dalla Rete ci espone al rischio di diventare sempre più poveri, in un ambiente sempre più ricco”. A pronunciare l’apparente paradosso è stato Daniele La Barbera, ordinario di psichiatria all’Università di Palermo, facendo notare che “le nuove tecnologie hanno trasformato il nostro cervello in un cervello multitasking”, e che nei giovani di oggi convivono la capacità di “fare più cose simultaneamente” e “la difficoltà a concentrarsi, a riconoscere e stabilire una gerarchia fra le informazioni”, e che “persiste anche a computer spento”, poiché l’accumulo di informazioni fa sì che “non si riesce più a ricordare quello che si dovrebbe ricordare”. L’apprendimento “taglia e incolla”, per i giovani, comporta “la difficoltà a certificare l’attendibilità delle fonti e la tendenza a un’estrema semplificazione linguistica e concettuale”. “L’istantaneità – ha denunciato lo psichiatra – prefigura il primato dell’agire sul pensare, e nei giovani produce un alfabeto emotivo e affettivo elementare, che perde di significato interiore”.

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