Viviamo in una società abituata a fare il prezzo di tutto e a negare spesso il valore gratuito di un gesto, di un pensiero, di un momento d'attenzione. Perfino il buonsenso popolare si è fatto ammaliare da questa follia promuovendo il detto “Neanche il cane muove la coda per niente”, come se trasformare tutto in un compenso da pretendere sia un pregio e non un difetto, un diritto e non una possibilità...
del 18 settembre 2009
Viviamo in una società abituata a fare il prezzo di tutto e a negare spesso il valore gratuito di un gesto, di un pensiero, di un momento d’attenzione. Perfino il buonsenso popolare si è fatto ammaliare da questa follia promuovendo il detto “Neanche il cane muove la coda per niente”, come se trasformare tutto in un compenso da pretendere sia un pregio e non un difetto, un diritto e non una possibilità. Abbiamo completamente dimenticato l’archetipo dell’atto del donare e cioè l’annuncio del Vangelo, la Buona Novella, regalata da Gesù attraverso gli apostoli: “doreàn elàbete, doreàn dòte” (Matteo 10, 8), “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”, echeggiato già nei messaggi profetici e presente come corredo ancestrale e intimo nella spiritualità dell’uomo e della natura. Un’indicazione chiara e precisa di come si possano nobilitare le relazioni anche con la chiave di questa opzione divina, la gratuità, se questa è stata scelta da Dio addirittura per la massima aspirazione umana possibile, quella di accedere al Regno dei Cieli. E la strada indicata da Gesù è dunque esempio percorribile anche dagli uomini nella loro vita: lo stesso Matteo riferisce una parabola che sottolinea l’importanza della scelta della gratuità nelle relazioni umane, nell’esempio contestualizzata addirittura in un contesto economico, quella degli operai mandati nella vigna (20, 1-16). Il suo insegnamento è evidente, anche se con gli occhi di oggi non possiamo che leggere questa parabola con un certo disagio, perchè travolge le regole economiche e forse anche quelle del buon senso comune nelle quali siamo imprigionati; non possiamo nascondere che ne rimaniamo vagamente storditi. Certo, si osserverà, un conto è la gratuità dell’insegnamento e un conto la giusta mercede degli operai. E forse ci sentiamo dalla parte di questi ultimi, quelli che hanno lavorato la vigna assunti fin dall’alba. Ma, come osserva Angelo Casati “Gesù non vuole dettare norme di carattere economico, aziendale. Il suo messaggio si muove su un piano diverso. Si muove sul piano globale della vita. E sembra dirci che sul piano globale della vita, accanto alla legge della giustizia, che peraltro costituisce un fondamento della convivenza sociale e civile, deve irrompere un’altra logica che a volte ci può apparire paradossale, irrazionale appunto”. E’ il paradosso che imbeve di sé la parola di Dio. Nascosta nel senso del “paradosso”, si muove dunque una logica diversa che si pone accanto a quella comune, una logica che la contraddice, la oltrepassa, la trascende: potremmo chiamarla la logica della gratuità. Quella dimensione che intravvediamo nel padrone della vigna della parabola: sembra che in lui rimbalzi il desiderio di vedere la sera tutti contenti. E questa logica della gratuità scompiglia un certo ordine, un quadro di riferimenti con leggi precise, codici di comportamento universalmente accettati e desta sorpresa: ci ricorda il figlio maggiore di un’altra parabola lucana, fratello del figliol prodigo, anche lui indignato per quel padre che organizza la festa al figlio minore che se n’era andato da casa, e che non ne comprende e accetta la spinta etica. Anche per lui l’equazione era “pari stipendio a pari prestazione, il premio a chi ha lavorato”. Ma Dio, irrompendo con il suo paradosso dentro i nostri rigidi sistemi di pensiero, vuole metterci in guardia dal pericolo di un appiattimento, di un’immobilità. La pura legge del “io ti do, tu mi dai” nasconde questo rischio. Se non si investe qualche volta con la follia della gratuità, tutto si corrompe, la vita e lo’amore stesso. Se non scivola dentro il matrimonio, o dentro la vita, anche un po’ di follia, la follia della gratuità, le cose impoveriscono e muoiono. La follia del donarsi a prescindere, dell’amare comunque, senza certezze e senza apertura di un credito prima o poi da restituire, magari con gli interessi. Senza una contabilità che evidenzierà, prima o poi, un privilegiato e un sacrificato. Nel matrimonio e nella vita c’è un oltre da sognare, all’interno di una progettualità che non deve presentare solo derive contabili ma anche l’aspirazione della coppia di diventare una sola persona. Luisito Bianchi ha dedicato la sua vita alla necessità di affermare il germoglio della gratuità in particolare nell’esercizio del ministero, radicata nell’indicazione evangelica. A lui affidiamo la riflessione conclusiva: “La gratuità prende tutto come un oceano infinito nel quale l’essere vive, respira, si bagna di gratuità; la gratuità presiede alla vita e ne costituisce il principio e il termine. E’ la sola parola che potrebbe racchiudere tutte le altre, mentre queste ultime, senza gratuità, perdono il loro significato originario. La gratuità è pace; una pace senza di essa non è vera. La gratuità è amore; senza di essa, l’amore è defraudato della sua dimensione più profonda. Potrei enumerare tutte quelle parole che sono indicatrici, per convenzione, di valori: giustizia, bellezza, onestà, gioia… Che ne è di esse senza la gratuità? Una parola terribile che sovverte la vita. Noi diventiamo persone gratuite nel momento in cui amiamo”. Gratuità e amore, amore e gratuità: i due poli terminali che tutto racchiudono e che tutto contemplano, stella polare per una vita nuova ed un nuovo umanesimo.
Daniele Gallo
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