Esperienza missionaria in Libano

Proviamo a raccontarvi ciò che è stato per noi il Libano durante quest'esperienza, sperando di lasciarvi con la curiosità e la voglia di conoscerlo, facendovi a vostra volta più vicini ad altre realtà lontane dalle nostre...

Esperienza missionaria in Libano

del 11 ottobre 2018

Proviamo a raccontarvi ciò che è stato per noi il Libano durante quest’esperienza, sperando di lasciarvi con la curiosità e la voglia di conoscerlo, facendovi a vostra volta più vicini ad altre realtà lontane dalle nostre...

 

Fino a poco tempo fa per noi il Libano era uno stato del Medio Oriente vicino alla Terra Santa e alla Siria, con sbocco sul Mediterraneo, conosciuto per la sua caratteristica bandiera rossa e bianca, raffigurante al centro il cedro del Libano, l’albero simbolo dello stato.
Ora è più di questo. E’ un insieme di volti, di storie, di spiagge, di strade, di progetti costruiti in tanti anni, di piatti tipici, tra cui il famoso labneh con lo zaatar (un formaggio-yogurt condito con un mix di spezie a base di timo), di equilibrio politico, di diplomazia e tanto altro.
Proviamo a raccontarvi ciò che è stato per noi il Libano durante quest’esperienza, sperando di lasciarvi con la curiosità e la voglia di conoscerlo, facendovi a vostra volta più vicini ad altre realtà lontane dalle nostre, ma più prossime di quanto ci aspettiamo.
Siamo partiti in quattro, tre ragazze universitarie e Don Michele, il santo salesiano che ci ha accompagnate. Oltre a noi, c’erano due volontari dalla Siria, George e Nur. Con loro abbiamo potuto confrontarci sulle attività che si svolgono in oratori tanto distanti da noi nello spazio, ma non nel carisma; abbiamo condiviso tanti momenti semplici di chiacchiere e gioco ed è nata insomma un’amicizia.
E’ stata proprio un’avventura. Di fatto perché fino all’ultimo non sapevamo nulla su cosa avremmo fatto, dove saremmo stati, se faceva freddo o caldo e così via. Ma nonostante i dubbi, abbiamo detto di sì a questa proposta missionaria di circa una ventina di giorni e questo bastava.
In questo tempo abbiamo partecipato a diverse attività in Libano e in Siria. A metà esperienza infatti, abbiamo avuto la possibilità di conoscere qualche aspetto di quest’ultimo paese. E’ stata una sorpresa e un regalo grande. Ci porteremo nel cuore la città di Damasco, dove abbiamo conosciuto l’ospitalità della realtà salesiana del posto e grazie a questa, siamo stati accompagnati lungo le strade storiche della città, segnata da colpi di mortaio recenti.
La gran parte di questa esperienza l’abbiamo vissuta in Libano, dove facevamo animazione ai ragazzi libanesi che partecipavano alla proposta estate. La maggior parte di loro abitava nei dintorni di El-Houssoun (a circa 45 min. da Beirut), verso le zone più fresche e montuose della regione. All’interno di questo grande gruppo di ragazzi, vi erano i loro animatori. Un gruppo nutrito e vario di giovani, appartenenti a diverse fasce d’età, tutti con alle spalle le loro storie di dolore e di cambiamento. Con loro abbiamo condiviso molto ed il conoscerci è stato incrementato grazie ai momenti di animazione condivisi e alle numerose gite organizzate per conoscere il paese. Questo ci ha aiutato a creare dei legami di fiducia e di amicizia.
L’altra gran parte di questa esperienza l’abbiamo vissuta con i ragazzi iracheni, situati in Libano in qualità di rifugiati. Questo perché i giovani e le loro famiglie sono state costrette a scappare per non cadere nelle mani dell’Isis, che conquistava territorio. Gli animatori che abbiamo conosciuto, aspettano (chi anche da anni) il visto dalle Nazioni Unite per poter andare in un paese sicuro e costruirsi un nuovo futuro per loro e le proprie famiglie. Spesso chiedevamo loro quali fossero le mete più ambite ed essi rispondevano dicendoci Canada o Australia. Ma tra le loro fatiche vi era un valido sostegno, uno dei primi salesiani che abbiamo conosciuto una volta atterrati in Libano. Il suo nome è Don Aisen (chiamato in arabo “Abuna” che significa padre nostro), di origini irachene, operante da molti anni in Libano nella realtà di questi ragazzi.
Con lui ci recavamo spesso in un quartiere di Beirut in una struttura usata durante l’inverno come scuola e nel corso dell’estate come luogo di aggregazione per questi ragazzi. Per svolgere le attività essi venivano divisi in base all’età tra elementari e medie. Ciò perché gli spazi erano stretti e tutti insieme erano troppi.
La settimana passava velocemente e per concludere il nostro servizio in bellezza, tutto il venerdì mattina era dedicato ai bambini siriani musulmani, scappati con le loro famiglie dalle zone di povertà e di guerra. Venivano in oratorio per giocare e fare merenda insieme, raccolti da pulmini che passavano la mattina in diverse zone del Libano e caricavano i ragazzi finché c’era posto.
Fin qui vi abbiamo raccontato molto, ma non tutto. Prima di partire pensavamo che la lingua sarebbe stata un ostacolo non indifferente. L’arabo non è una lingua semplice (anche se Virginia era la nostra traduttrice ufficiale “billarabija”, che significa: in arabo) e l’inglese era un po’ arrugginito, ma abbiamo scoperto quanto fosse possibile l’impresa di scavare insieme ai ragazzi delle buche usando solamente un tubo, senza parlare,
ma intendendoci con qualche gesto e un semplice sorriso. La felicità per loro stava proprio nel giocare insieme e nel condividere un’impresa.
I ragazzi che abbiamo incontrato hanno lasciato il loro paese, la loro casa, i loro amici, sono scappati e si sono rifugiati in Libano in attesa di una nuova destinazione, una nuova vita. Eppure sanno guardare al passato con riconoscenza, ringraziando per le persone che hanno accanto, vivendo il presente con entusiasmo, felici di giocare e stare insieme, desiderando un futuro bello, spazioso, dove poter raccontare i loro sogni. Ascoltare la storia di queste persone e dei diversi paesi del Medio Oriente, ci ha aperto gli occhi sugli scontri e le guerre che macchiano queste terre scaldate dal sole. D’ora in avanti non ci passerà più inosservata una notizia in tv; perché ci domanderemo quale sia la verità, magari senza venirne a capo, ma sapendo che il Medio Oriente è composto da uomini fieri che fanno di tutto per far valere le proprie ragioni e il proprio credo. Ci siamo sentiti a casa, accolti dalla comunità salesiana di El-Houssoun, dove la convivialità e lo stare insieme era all’ordine del giorno. E come ripeteva un altro salesiano della casa, il buon Monsignor Armando, uomo illustre, nonché attualmente novantaduenne e in carica in qualità di vescovo: “Bonum et iucundum est abitare fratres in unum”, che significa: quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme. Vedere come tra le fatiche si cerchi attorno alla tavola di vivere da confratelli (ognuno a suo modo), ha fatto bene anche al nostro piccolo gruppo. Abbiamo sempre respirato aria di famiglia, partecipando anche al matrimonio di una coppia di amici siriani, al rinnovo dei voti delle suore FMA e al cambio di direttore della casa di El-Houssoun.
Lo slogan dell’estate ragazzi era “Asmauca”, in arabo ti sento e in questo agosto diverso dal solito abbiamo avuto tempo di fare silenzio e ascoltare il Signore, i ragazzi e il nostro cuore. E’ stato davvero un regalo questa esperienza, che custodiremo come tesoro prezioso.
Vi chiediamo una preghiera per queste Terre, per i ragazzi, i salesiani e le FMA che abbiamo incontrato quest’estate. E poi chissà… Magari un giorno potresti incontrarli anche tu!

 

 

Rebecca, Sara, Virginia e don Michele

 

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