Intervento del card. Pietro Parolin su La Civiltà Cattolica. Riflessioni a partire dal libro di Antonio Spadaro "Essere mediterranei - Fratelli e cittadini del Mare Nostro"
tratto da laciviltacattolica.it
Rivolgo un cordiale saluto al Presidente del Consiglio Prof. Giuseppe Conte e a tutti i presenti.
Ringrazio il Direttore de La Civiltà Cattolica, P. Antonio Spadaro, per il cortese invito a prendere parte a questo incontro e a condividere con voi alcune riflessioni sui due volumi che oggi presentiamo. Il primo ha per titolo «Essere mediterranei. Fratelli e cittadini del “Mare Nostro”»”. Il secondo ha per titolo «Fratellanza». Entrambi sono espressione del lavoro culturale de La Civiltà Cattolica.
Approfitto della circostanza per fare i miei auguri alla rivista che quest’anno compie i suoi 170 anni di vita e di servizio alla Chiesa e al Papa. È una delle riviste più antiche al mondo e davvero «unica nel suo genere». Faccio mio il bell’augurio che San Giovanni XXIII rivolse ai Gesuiti della rivista il 9 febbraio 1963: che essa diventi «più giovane a misura del suo invecchiare»!
La «visione mediterranea» e la prospettiva della fratellanza
Il tema di oggi è il Mediterraneo: luogo di scambio e di comunicazione spirituale, sinonimo di incontro e, talvolta anche di scontro, fra i popoli e le culture dei tre continenti che si affacciano su di esso.
Stasera lo vogliamo guardare nella prospettiva dell’evento che la Conferenza Episcopale Italiana promuoverà a Bari a fine mese, intitolato «Mediterraneo, frontiera di pace». Il volume de La Civiltà Cattolica è un contributo importante al dibattito sul tema del Mare nostrum in questa fase storica di turbolenze politiche e sociali. Esso raccoglie il contributo di una ventina tra accademici, studiosi e giornalisti, alcuni dei quali provenienti dai vari Paesi mediterranei. Le voci che si ascoltano tra le pagine sono cattoliche, ortodosse, ebraiche e islamiche. Non è possibile parlare di Mediterraneo senza coinvolgere tutte queste voci insieme. Sarebbe trasformare il suono di un’orchestra nel canto di un solista.
Nella sua Introduzione, P. Antonio Spadaro parla di una «visione» mediterranea che è «insieme teologica e storica» ed è stata plasmata dalle traiettorie politiche, economiche e culturali che per terra e per mare sono state aperte nel corso dei secoli». Il Mediterraneo, infatti, «è stato ed è capace di generare valori, simboli, colori, sapori, architetture, linguaggi e sensibilità insospettabilmente simpatetiche e armoniche, pur nella differenza delle storie e nonostante la presenza dei conflitti: dalla Spagna alla Grecia, dal Marocco al Libano, da Malta all’Albania».
Pagina dopo pagina, il lettore è messo davanti alle prospettive e ai problemi gravi del cammino dell’uomo verso la fratellanza, vista come orizzonte possibile. Anzi, proprio il riconoscimento della fratellanza cambia la prospettiva di lettura e porta a riflettere sul concetto di cittadinanza, che «si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia».
Il volume, infatti, guarda al Mediterraneo dalla prospettiva di una data precisa: il 4 febbraio dello scorso anno, quando il Santo Padre e il Grande Imam dell’Università di Al-Azhar, lo sceicco Ahmed Al-Tayyeb, hanno firmato ad Abu Dhabi il «Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune», un testo significativo, che merita di essere annoverato tra gli sforzi creativi per salvaguardare la pace. La fratellanza trova così nel Mediterraneo dei tre monoteismi un senso profondo e il volume che presentiamo ha il pregio di dare voce alle attese, alle speranze e alle preoccupazioni di tutti i Paesi rivieraschi, nessuno escluso.
La prospettiva della fratellanza si manifesta anche nell’attenzione per i profughi ed i migranti, soprattutto considerando il primo viaggio apostolico di Papa Francesco è stato nel cuore del Mediterraneo, con la visita l’8 luglio 2013 a Lampedusa. In quella circostanza il Santo Padre ha riproposto una domanda fondamentale della Scrittura: «“Caino, dov’è tuo fratello?”. Il sogno di essere potente – disse il Papa – di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello […] non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri».
Se la prospettiva è quella di Caino, il Mediterraneo non può che trasformarsi in un grande cimitero, come ha più volte richiamato il Papa, per il quale, invece, siamo chiamati a spezzare la logica di Caino e a riconoscerci e custodirci gli uni gli altri come fratelli. Il rischio è sempre quello di fare dell’altro un concorrente, un nemico da combattere e non un fratello.
Fin dal principio del Pontificato, la fratellanza è un tema importante per Papa Francesco: «Preghiamo sempre (…) l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza», perché ci sia «un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi», disse affacciandosi per la prima volta dalla loggia della Basilica di San Pietro subito dopo l’elezione.
Nella prospettiva alla quale Papa Francesco ci ha introdotto nel suo ministero carico di gesti emblematici, si comprende come «Mediterraneo» e «fratellanza» siano termini di uno stesso binomio.
E proprio al Documento sulla Fratellanza è dedicato l’altro volume che presentiamo questa sera, e che è stato pubblicato con il patrocinio dell’Alto Comitato per la Fratellanza umana, un Comitato composto da leader religiosi, studiosi dell’educazione e figure del campo della cultura che si dedicano a condividere il messaggio di comprensione reciproca e di pace del Documento. A presiedere l’Alto Comitato è Sua Eminenza il Cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che ha firmato la prefazione al volume.
Certamente il Documento sulla Fratellanza Umana è portatore di una visione mondiale più ampia rispetto all’area mediterranea. Ricordo che il Santo Padre lo ha donato al Patriarca supremo dei buddisti in Thailandia e lo ha citato varie volte in Giappone. Resta però chiara nel Documento la sua applicazione alla prospettiva mediterranea e alle problematiche peculiari che la riguardano, a partire dalla necessità di un’idea comune di cittadinanza, fondamentale per il vivere insieme soprattutto islamo-cristiano.
Cittadinanza: da Giovanni Paolo II a Papa Francesco
Il Documento sulla Fratellanza Umana ha proprio nella riflessione sulla cittadinanza uno dei suoi fuochi. Esso rappresenta per la Chiesa cattolica l’importante approdo di un cammino avviato con la Dichiarazione conciliare Nostra Aetate e del cammino mediterraneo verso la comune cittadinanza cominciato ormai 29 anni fa, quando San Giovanni Paolo II convocò il Sinodo speciale per il Libano che rafforzò il suo rapporto speciale con il Paese.
Il Sinodo per il Libano fu convocato il 12 giugno 1991, quando la situazione del Paese era drammatica e grande importanza ebbe l’invito a tutte le altre Chiese e Comunità ecclesiali ad associarsi nel discernere le priorità spirituali e pastorali da promuovere in quel particolare contesto. Essendo in questione la ricostruzione materiale e spirituale del Paese San Giovanni Paolo II invitò anche le comunità musulmana e drusa, che aderirono all’invito. Come frutto dei lavori sinodali, San Giovanni Paolo II pubblicò l’esortazione: Una nuova speranza per il Libano, di cui vorrei ora sottolineare due punti.
Il primo riguarda proprio la cittadinanza. «È evidente – scriveva Giovanni Paolo II – che i cristiani del Libano, come tutti i loro concittadini, sperano di godere delle condizioni necessarie allo sviluppo della persona, della famiglia, nel rispetto delle proprie tradizioni culturali e spirituali. In particolare, aspirano alla tranquillità, alla prosperità, ad un reale riconoscimento delle libertà fondamentali, quelle che tutelano ogni dignità umana e che permettono la pratica della fede; aspirano ad un sincero rispetto dei loro diritti e di quelli altrui; infine contano su di una giustizia che consacra l’uguaglianza di tutti davanti alla legge e permette a ciascuno di assumere la propria parte di responsabilità nella vita sociale».
Il secondo riguarda il rapporto dei cristiani del Medio Oriente con la cultura araba. Ha scritto il Santo Pontefice: «Vorrei insistere sulla necessità per i cristiani del Libano di mantenere e di rinsaldare i loro legami di solidarietà con il mondo arabo. Li invito a considerare il loro inserimento nella cultura araba, alla quale tanto hanno contribuito, come un’opportunità privilegiata per condurre, in armonia con gli altri cristiani dei Paesi arabi, un dialogo autentico e profondo con i credenti dell’Islam. Vivendo in una medesima regione, avendo conosciuto nella loro storia momenti di gloria e momenti di difficoltà, cristiani e musulmani del Medio Oriente sono chiamati a costruire insieme un avvenire di convivialità e di collaborazione, in vista dello sviluppo umano e morale dei loro popoli».
Nel 2010 fu Papa Benedetto XVI a presiedere, dal 10 al 24 ottobre, un nuovo Sinodo, questa volta per tutto il Medio Oriente. L’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente conferma questa indicazione. Scriveva infatti Benedetto XVI: «I cattolici del Medio Oriente, che in maggior parte sono cittadini nativi del loro paese, hanno il dovere e il diritto di partecipare pienamente alla vita della nazione, lavorando alla costruzione della loro patria. Devono godere di piena cittadinanza e non essere trattati come cittadini o credenti inferiori. Come in passato, quando, pionieri della rinascita araba, erano parte integrante della vita culturale, economica e scientifica delle varie civiltà della regione, desiderano oggi, ancora e sempre, condividere le loro esperienze con i musulmani, fornendo il loro specifico contributo».
Nel 2014 Papa Francesco volle dedicare al Medio Oriente un apposito Concistoro, proprio quando notizie terribili giungevano da quelle terre per intere comunità, inclusa quella cristiana di Mosul. In quell’occasione il Santo Padre ammonì che «tanti nostri fratelli sono perseguitati e hanno dovuto lasciare le loro case anche in maniera brutale». E proseguì: «Sembra che si sia persa la consapevolezza del valore della vita umana, sembra che la persona non conti e si possa sacrificare ad altri interessi. E tutto ciò, purtroppo, nell’indifferenza di tanti».
Le tappe verso il Documento firmato ad Abu Dhabi
La riflessione sul tema della cittadinanza è attiva in questo momento anche in ambito islamico e, in particolare nella prestigiosa Università di Al-Azhar.
Sappiamo che, sebbene la prima costituzione islamica, quella di Medina, attribuita a Maometto, nel testo pervenuto tramite ibn Ishaq, non discriminasse in base alle differenti appartenenze religiose, sin dai primi secoli si affermò il concetto di «protezione». I popoli del Libro, cioè i monoteisti non musulmani, avevano diritto alla protezione in cambio del pagamento della tassa di capitazione, ma non alla pari cittadinanza, limitandola in vario modo a seconda dei luoghi e dei tempi. Lo statuto della «dhimma», cioè il patto di protezione tra governo musulmano e sudditi non musulmani, ha determinato importanti conseguenze sull’identità collettiva e sulla coscienza di intere comunità.
Il concetto di «nazione», che in arabo non esisteva fino all’Ottocento, è stato interpretato sempre in termini etnici o religiosi. Ora l’importante istituzione sunnita di Al-Azhar lo plasma in termini geografici, all’interno della cornice della patria comune, dove si può vivere insieme, da uguali, senza subordinazioni o primati, etnici o religiosi.
Nel 2015 ebbe luogo l’importante incontro promosso dall’Università islamica di Al-Azhar su «Terrorismo e fondamentalismo», come numerose altre iniziative al riguardo nel mondo islamico.
La denuncia del terrorismo è stata seguita nel marzo 2017 da un importante simposio sul tema della cittadinanza, che ha comportato due giorni di interventi e dibattiti. A quella Conferenza su «Libertà, cittadinanza, diversità e integrazione», organizzata al Cairo dall’Università di Al-Azhar e dal Consiglio dei saggi musulmani con sede a Abu Dhabi, si sono dati appuntamento più di 600 delegati, tra i quali politici, accademici, leader religiosi cristiani e musulmani, provenienti da 50 Paesi. Essi hanno sottoscritto la «Dichiarazione di reciproca coesistenza islamo-cristiana», che condanna l’uso della violenza in nome della religione e indica nel principio di cittadinanza il criterio da applicare per garantire la pacifica e fruttuosa convivenza tra persone appartenenti a fedi e comunità religiose differenti.
A esporre i contenuti e fornire la chiave interpretativa della Dichiarazione è stato lo stesso Grande Imam di Al-Azhar, richiamando la necessità di applicare i principi di cittadinanza, uguaglianza e Stato di diritto per contrastare discriminazioni e maltrattamenti. Numerose voci in campo cristiano si levarono allora per sottolineare la portata epocale di quelle parole.
Nel primo articolo della Dichiarazione si parla di «eguali diritti di musulmani e cristiani nei loro paesi, considerandoli una umma/nazione». L’articolo 6 afferma che l’ambizione è quella di promuovere un nuovo partenariato, «un nuovo contratto tra i cittadini di paesi arabi, musulmani, cristiani o di altra fedeltà». Tale contratto è basato sul «reciproco riconoscimento, sulla cittadinanza e sulla libertà».
Si giunse così al viaggio di Papa Francesco al Cairo, che lo vide intervenire alla Conferenza promossa dall’Università di Al-Azhar il 28 aprile del 2017. Se ne parla ampiamente nel volume Fratellanza, nel quale finalmente appare pure la traduzione italiana dell’intervento del Grande Imam all’incontro interreligioso si Abu Dhabi del 4 febbraio 2019.
La prospettiva della fratellanza, appunto, venne evocata dal Santo Padre nel suo intervento in quell’aula: «L’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è la inciviltà dello scontro, non ce n’è un’altra. E per contrastare veramente la barbarie di chi soffia sull’odio e incita alla violenza, occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente crescita del bene: giovani che, come alberi ben piantati, siano radicati nel terreno della storia e, crescendo verso l’Alto e accanto agli altri, trasformino ogni giorno l’aria inquinata dell’odio nell’ossigeno della fraternità».
È la richiesta di un salto di qualità e di consapevolezza. La pratica secolare della protezione delle minoranze ha fatto entrare questa consapevolezza nella vita e nella cultura, anche dei protetti. Anche per questo, in occasione del Concistoro del 2014, io stesso ebbi l’occasione di osservare che «i cattolici, come un piccolo gregge, hanno la vocazione di essere lievito nella massa. Essi, uniti tra di loro e con i fedeli delle altre Chiese e confessioni cristiane, e collaborando con gli appartenenti ad altre religioni, soprattutto con i musulmani, sono chiamati ad essere artefici di pace e di riconciliazione e, senza cedere alla tentazione di cercare di farsi tutelare o proteggere dalle autorità politiche o militari di turno per “garantire” la propria sopravvivenza, devono offrire un contributo insostituibile alle rispettive società che si trovano in un processo di trasformazione verso la modernità, la democrazia, lo stato di diritto e il pluralismo».
Quelle che ho indicate sono solo alcune delle tappe del cammino che ha reso possibile arrivare ad Abu Dhabi. Il desiderio di sentirsi cittadini lo abbiamo percepito in tante delle mobilitazioni che lo scorso anno hanno attraversato il Nord Africa e il Medio Oriente. L’Assemblea dei Patriarchi e Vescovi cattolici in Libano e il Patriarca caldeo, S.B. il Cardinale Louis Raphael I Sako, ne hanno parlato in termini di superamento del confessionalismo politico, che tanto affligge quei Paesi rendendo difficile il sentire propria una comune identità nazionale.
La cittadinanza è dunque il punto di arrivo del Documento sulla Fratellanza Umana, ma è pure un’esigenza che riguarda i Paesi della sponda del settentrionale del Mediterraneo. Paesi di antica tradizione democratica si trovano davanti a sfide altrettanto complesse, relative anch’esse allo spazio pubblico, ma in un altro senso, a partire dall’accoglienza e dall’integrazione dei migranti. Per esempio, nel dibattito sulla relazione tra la migrazione e lo sviluppo non è stato pienamente riconosciuto il contributo apportato dai migranti al progresso dei Paesi di destinazione. Anche in tale contesto andrebbe meglio affrontato il tema della cittadinanza, che rimane parola chiave per favorire un processo di integrazione sano di quanti approdano sulle coste europee ed evitare i fenomeni di ghettizzazione che altro non sono che l’incubatrice di nuove violenze.
Il Mediterraneo e le sue crisi oggi
Il linguaggio e la prospettiva comune che il Documento sulla Fratellanza Umana offre a tutti consente a cristiani, ebrei e musulmani di cercare una lettura comune dei problemi. L’idea che una nazione debba essere religiosamente compatta persiste ancora oggi nel confessionalismo politico, quasi che le singole comunità religiose siano davvero nazioni nel senso moderno del termine. Questa confusione terminologica ha tolto in molti Paesi dell’Oriente il senso di appartenenza nazionale, di cittadinanza, riducendo le minoranze religiose a «nazioni minoritarie» all’interno di uno stesso Paese.
Si tratta di un processo che si origina ai tempi della decolonizzazione, quando si ambiva a rispondere alle attese di giustizia sociale e di redistribuzione delle risorse, in un momento storico di radicale mutamento sociale e segnato da un significativo processo di urbanizzazione, che ha caratterizzato tutte le sponde del Mediterraneo. Tuttavia, l’incapacità di soddisfare le attese popolari ha, da un lato, spinto alla militarizzazione dei governi, dall’altro, favorito l’emergere di una nuova opposizione, il cosiddetto «islam politico», fondato anche sull’idea che la giustizia sociale sarebbe arrivata con l’applicazione della sharia, la legge islamica.
Il confronto politico si è presto incanalato verso un aspro confronto tra panarabismo e panislamismo, i cui connotati estremi emergono nella tragedia siriana. Il libro Essere mediterranei ne dà ampiamente conto, soffermandosi sul fatto che i moti popolari del 2011 che chiedevano libertà, democrazia e dignità, sono stati sostituiti da una lotta feroce tra un nazionalismo arroccato e repressivo e tendenze panislamiste giunte a diverse forme di terrorismo jihadista. Vorrei ricordare che i fautori della protesta pacifica sono stati tra le vittime delle opposte violenze.
In Siria, come in altri Paesi toccati da quella che è stata definita la Primavera araba, le comunità cristiane, private da secoli di una pari cittadinanza, hanno giustamente temuto per il proprio destino a causa della ferocia inusitata dell’azione terroristica contro di loro, come dimostrato da numerosi attentati ed eccidi in Egitto, dalla deportazione di Mosul, dalla distruzione con bulldozer del convento siriano di Mar Elian.
Occorre dunque vigilare. Non si tratta di invocare, da parte del potere, la «protezione» dell’una o dell’altra comunità religiosa, ma di garantire alle persone, parte dell’unica famiglia umana, i diritti fondamentali. Il luogo proprio della difesa dei cristiani è la tutela della persona e del rispetto dei diritti umani, in particolare quelli della libertà religiosa e della libertà di coscienza.
«Proprio per questo è necessario promuovere e sviluppare il concetto di “cittadinanza” come punto di riferimento per la vita sociale, garantendo i diritti di tutti i cittadini attraverso strumenti giuridici adeguati». D’altronde, laddove la cittadinanza non è adeguatamente tutelata, la società finisce facilmente per polarizzarsi e i terroristi per prosperare sotto quei poteri che, nel conflitto siriano, hanno spinto «le frange più frustrate della popolazione a cercare rifugio sotto le bandiere nere dell’islam fondamentalista. Di qui la tentazione, da parte di coloro che sono relegati al rango di “minoranze”, di affidare del tutto il proprio destino a regimi considerati come baluardo di protezione dal terrorismo».
In Siria permane altissima la preoccupazione per la tragedia umanitaria di Idlib che ha spinto il Santo Padre a scrivere al presidente Bashar Hafez Al-Assad una lettera che porta la data del 28 giugno scorso. Papa Francesco aveva già scritto al Presidente nel dicembre del 2016 rivolgendo l’appello affinché fossero messi in salvo i civili intrappolati nella battaglia di Aleppo. Francesco ha nuovamente chiesto di fare tutto il possibile per fermare la catastrofe umanitaria, per la salvaguardia della popolazione inerme, in particolare dei più deboli, nel rispetto del Diritto umanitario internazionale. Nell’area di Idlib vivono più di 3 milioni di persone, di cui 1.3 milioni di sfollati interni, costretti dal lungo conflitto a trovare rifugio proprio in quella zona rimasta fuori dal controllo del Governo.
Nella sua lettera, il Santo Padre ha usato per ben tre volte la parola «riconciliazione»: questo è il suo obiettivo, per il bene di quel Paese e della sua popolazione inerme. Papa Francesco ha incoraggiato il Presidente siriano a compiere gesti significativi: ha citato, ad esempio, le condizioni per un rientro in sicurezza degli esuli e degli sfollati interni e per tutti coloro che vogliono far ritorno nel Paese dopo essere stati costretti ad abbandonarlo. Ha citato pure il rilascio dei detenuti e l’accesso per le famiglie alle informazioni sui loro cari.
La cittadinanza rimane comunque una questione cruciale per la soluzione dei problemi che affrontano i Paesi del Medio Oriente, un contesto nel quale i cristiani hanno certamente un ruolo decisivo, da svolgere a partire dal particolare caso libanese.
Oggi il Libano è testimone di una nuova pagina di storia in cui il popolo ha rigettato la strumentalizzazione delle divisioni settarie e sta dimostrando la capacità di superare le tradizionali aderenze confessionali e partitiche per abbracciare la lealtà civica alla nazione, la vera pietra angolare su cui è stato fondato il Paese cento anni fa, come tra l’altro evidenziato dal Comunicato finale dell’Assemblea dei Patriarchi e Vescovi cattolici in Libano, del 15 novembre 2019. La via d’uscita sembra anche qui quella di rafforzare i principi fondativi di uguaglianza dei cittadini e dei loro diritti politici e civili nel rispetto delle garanzie per ogni comunità. Il Libano, pur tra le difficoltà, rimane l’ultimo baluardo di una «democrazia» araba che accoglie, riconosce e sperimenta quotidianamente il vivere insieme di una pluralità di comunità etnico-religiose che in diversi Paesi non riescono a vivere in pace. In tale contesto i cristiani devono essere operatori di concordia e rinnovamento nel nome del bene comune, senza lasciarsi assorbire dalle tensioni regionali.
A tale quadro di tensioni interne e internazionali si aggiunge la questione israelo-palestinese, dove oltre alle difficoltà persistenti nella politica interna israeliana, che ricorrerà per la terza volta consecutiva a elezioni anticipate, e palestinese, vengono ora ad aggiungersi nuovi scenari, che occorrerà valutare con attenzione. La Santa Sede ha espresso più volte la propria adesione alla soluzione dei «due Stati per due popoli», che ha bisogno di ritrovare un rinnovato slancio da parte della Comunità internazionale.
Un breve cenno vorrei fare alla Libia, visto il conflitto che la continua a lacerare e che è sempre più luogo di ricaduta delle divisioni e delle competizioni interne al mondo arabo e non solo, come ha mostrato il recente intervento militare della Turchia nel Paese. Quasi come la Siria anche la Libia è diventata epicentro di azioni e interazioni militari con presenze armate irregolari, anche terroriste. «Tale contesto – come ha recentemente ricordato il Santo Padre – è fertile terreno per la piaga dello sfruttamento e del traffico di esseri umani, alimentato da persone senza scrupoli che sfruttano la povertà e la sofferenza di quanti fuggono da situazioni di conflitto o di povertà estrema. Tra questi, molti finiscono preda di vere e proprie mafie che li detengono in condizioni disumane e degradanti e ne fanno oggetto di torture, violenze sessuali, estorsioni».
Tutto quello di cui abbiamo parlato sin qui non poteva non avere conseguenze sulla sponda settentrionale del Mediterraneo, trovando, tuttavia, un’Europa impreparata a fronteggiare l’arrivo di milioni di profughi, poco consapevole e poco attiva, che ha lasciato deteriorare le crisi mediterranee. Ciò ha determinato, insieme alla deriva terrorista, tensioni gravide di conseguenze in Europa, come si è potuto constatare nel corso degli ultimi anni, e non solo nei Paesi che si affacciano direttamente sul Mediterraneo. In tale contesto, lo scetticismo di alcuni Paesi dell’Unione Europea in merito al processo di allargamento nei Balcani Occidentali rischia di aprire la strada ad ulteriori divisioni.
Infine, vorrei concludere questa breve rassegna volgendo lo sguardo a Cipro, che il Santo Padre ha menzionato nel suo discorso al Corpo Diplomatico di un mese fa, richiamando «l’importanza di sostenere il dialogo e il rispetto della legalità internazionale per risolvere i “conflitti congelati” che persistono [in Europa], alcuni dei quali ormai da decenni, e che esigono una soluzione». Papa Francesco ha quindi espresso l’«incoraggiamento della Santa Sede ai negoziati per la riunificazione di Cipro, che incrementerebbero la cooperazione regionale, favorendo la stabilità di tutta l’area mediterranea». È questa la strada maestra, perseguita attraverso il dialogo, per evitare che nuove tensioni commerciali riaprano vecchie ferite, non ancora del tutto rimarginate.
Conclusione
Concludo queste mie riflessioni con una immagine, che è poi quella che il Santo Padre Francesco ha usato nel chirografo che vi ha inviato per celebrare i 170 anni della Civiltà Cattolica: «Si sentono salire dalle pagine le voci di tante frontiere che si ascoltano». Mi pare che l’espressione si possa applicare alle pagine dei volumi che presentiamo questa sera.
Nel Mediterraneo, e non solo, le religioni non possono né debbono sostituire la politica e tantomeno la diplomazia. È altrettanto vero però che, purtroppo, in passato le religioni sono risultate utilissime a chi intendeva usarle contro altri, a scopi imperialistici, egemonici o coloniali, per dividere e non per unire.
Il Documento sulla Fratellanza Umana ha un grande merito: induce le frontiere ad ascoltarsi reciprocamente, fraternamente e contribuisce ad evitare la strumentalizzazione della religione, che è propria dei fondamentalismi, confermando invece il significato spirituale delle religioni. Il Mediterraneo può essere così davvero il «mare nostro», poiché di tutti. Ce lo ha detto il Santo Padre Francesco: questo mare può essere un «arco di guerra teso», ma è chiamato ad essere «un’arca di pace accogliente».
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