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Fate piano, stanno dormendo

Così era scritto sulla lapide di un papà e di suo figlio, morto giovane per un incidente in auto. La scritta l'ha voluta la mamma, che così ha voluto esprimere la sua fede nella vita che continua dopo la morte: «È la mia consolazione! Non saprei sopravvivere altrimenti se la morte fosse la fine di tutto». Oggi si parla poco di morte: i giovani rifiutano l'argomento, salvo doverlo affrontare quando si affaccia prepotente al loro orizzonte per la morte di un amico o di un'amica, di un coetaneo rapito in modo drammatico alla vita.


Fate piano, stanno dormendo

da L'autore

del 20 gennaio 2008

Così era scritto sulla lapide di un papà e di suo figlio, morto giovane per un incidente in auto. La scritta l’ha voluta la mamma, che così ha voluto esprimere la sua fede nella vita che continua dopo la morte: «È la mia consolazione! Non saprei sopravvivere altrimenti se la morte fosse la fine di tutto».

Oggi si parla poco di morte: i giovani rifiutano l’argomento, salvo doverlo affrontare quando si affaccia prepotente al loro orizzonte per la morte di un amico o di un’amica, di un coetaneo rapito in modo drammatico alla vita.

Ne parlavo con un sacerdote della Diocesi di Reggio Emilia, responsabile di comunità terapeutiche del CEIS, dal nome importante: don Giuseppe Dossetti junior, nipote del padre della Costituzione Italiana poi sacerdote fondatore della Congregazione dell’Annunziata, che ha la sua sede a Monteveglio, sulle colline bolognesi. «Dobbiamo insegnare ai giovani a morire e morire bene!».

La morte va preparata alla lontana: non è la fine di tutto, un cadere nel vuoto, ma un ritorno a casa, dove c’è un Padre che aspetta, una vita che continua nell’amore. Se siamo figli di Dio, se apparteniamo alla sua famiglia, significa che apparteniamo alla «razza» dei viventi, di coloro che non muoiono mai, anche se questa verità consolante è avvolta dal mistero dell’Oltre.

Riflettere sulla morte è riflettere sulla vita, sul senso da dare al quotidiano, alle cose, alle persone. Chi disprezza la vita, molto spesso è gente che non sa affrontare il dramma della morte, sono giovani che sfidano la velocità sulle strade, che rischiano la vita in giochi assurdi e pericolosi, che nascono da incoscienza più che da coraggio.

Don Dossetti mi parlava di educazione alla morte, perché la sua vita con i giovani dipendenti dalle droghe, l’avevano portato a contatto con giovani malati di AIDS, che non volevano assolutamente morire, angosciati dal buio del «dopo». Don Bosco, il santo dei giovani, ogni mese proponeva loro l’esercizio della Buona Morte, nome oggi fuori moda, ma che era un vero esercizio a vivere bene la vita.

Non si può nascondere l’argomento, che un tempo era dipinto sulle mura della Chiesa dei camposanti del Trentino come «Danza della morte», un avvenimento che prima o poi toccava tutti. La sensibilità (o insensibilità?) moderna rifiuta il discorso, anche se ogni giorno la TV lo presenta con immagini strazianti; giudica sciagura morire in casa: si deve morire in ospedale, perché il morto in casa porta male, anche se è il padre o la madre...

 Dalle mie parti, era un disonore per la famiglia lasciare morire un parente in ospedale: lo si doveva portare in casa, fare la veglia di preghiere insieme, si stava alzati la notte come gesto d’amore e di riconoscenza... In un paesino della Valchiavenna, anni fa era morto il papà di cinque ragazzini, già orfani di madre. Quando sono entrato in casa, i ragazzini, il più grande aveva 15 anni, erano attorno al papà, già posto nella bara. La ragazzina più piccola mi salutò con queste parole: «Don, guarda, il papà sorride. Ha già incontrato la mamma in paradiso!».

«Fate piano, dormono»; «Ha incontrato la mamma in paradiso »... sono espressioni di una educazione che permette di guardare alla morte con un grande senso di speranza; se fosse un’«illusione», vale la pena di conservarla, altrimenti la vita senza orizzonti d’eternità sarebbe triste da accettare. Ma non è un’illusione! Parola di Dio!

Da: Vittorio Chiari, Un giorno di 5 minuti. Un educatore legge il quotidiano

don Vittorio Chiari

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