Ho sempre avuto sospetto nei confronti di una scuola che vuole fare da «padrona» nei confronti dei giovani che le sono affidati, come se il problema fosse di indottrinare e non di e-ducare(che deriva da e-ducere, condurre fuori, fare emergere il volto vero dell'io).
Ho sempre avuto sospetto nei confronti di una scuola che vuole fare da «padrona» nei confronti dei giovani che le sono affidati, come se il problema fosse di indottrinare e non di e-ducare (che deriva da e-ducere, condurre fuori, fare emergere il volto vero dell’io). Quante volte, studiando la storia della filosofia, abbiamo ascoltato commossi (a me, almeno, capitava) la figura di Socrate, che con la «maieutica» voleva venisse a galla l’io vero dell’uomo che aveva davanti a sé!
Di fronte alla bagarre sollevata dall’improvvido intervento del ministro Profumo (ma il suo non doveva essere un governo «tecnico»?) mi è parso chiaro il dovere di approfondire la questione della scuola e dell’insegnamento della religione in particolare.
Innanzitutto: perché l’ora di religione cattolica nella scuola dello Stato, che, per definizione, vorrebbe essere «laica»? Un’occhiata al Concordato sarebbe utile e toglierebbe forza, credo, a tante obiezioni: il cattolicesimo fa parte integrante della nostra tradizione culturale, per cui per capire chi siamo è buona cosa conoscerlo. In una scuola dove si sottolinea con così grande forza la necessità di «esperti», credo che il «cattolico» sia da considerarsi esperto qualificato.
Questo significa che il cattolicesimo va imparato e che, chi può, con competenza lo insegni.
Se vivessimo in un paese con altra tradizione (penso all’Europa del Nord, come ai paesi di tradizione islamica) per capire il contesto culturale bisognerebbe fare ore di religione cristiana protestante o islamica. Senza paura e a condizione che questo non sia «indottrinamento» o catechismo, come si suol dire. A questo punto si sollevano le obiezioni di tanti: quante volte bisogna dirlo che non si tratta di catechismo?
Ma questa è la posizione non della Chiesa cattolica, né del Concordato con lo Stato italiano. Questo è il ragionamento di chi afferma che la presenza di non credenti o di credenti di altre religioni esige un insegnamento o non confessionale (quindi non degli «esperti») o di storia delle religioni o della religione degli alunni. La risposta è semplice: se uno vuole approfondire la propria religione, non deve essere istruito dalla scuola (la chiesa cattolica infatti insiste giustamente sul catechismo impartito nelle parrocchie…).
Vorrei però fare un’altra serie di considerazioni.
A me pare che un certo mondo culturale sia rimasto incancrenito nei suoi pregiudizi, sia rimasto all’anticlericalismo ottocentesco: quello delle contrapposizioni frontali e dei pregiudizi; quello che non sa valutare il presente con onestà intellettuale. Sarà pur vero che molti cristiani (preti e – ahimè – anche alti prelati) hanno dato (e danno) scandalo con le loro prese di posizione e con i loro comportamenti. Ma, grazie a Dio (ed è proprio il caso di dirlo!), la verità di una posizione non si giudica «solo» dal comportamento dei suoi fedeli. Già Gesù diceva «Fate quel che dicono e non fate quello che fanno», per richiamare l’uomo ad un cammino di speranza.
Vorrei invitare tutti coloro che hanno a cuore il bene della vita – propria e altrui – a fare un passo avanti nella ricerca della verità, nella lotta al pregiudizio, nella ricerca di ciò che rende degna e bella la vita dell’uomo. E qui allora ritrovare la bellezza e la profondità dell’insegnamento di Gesù, nella sua Chiesa (sì, nella Chiesa del grande Giovanni Paolo II e di Benedetto, come in quella dei santi, antichi e nuovi: Agostino e Madre Teresa di Calcutta, San Francesco e Gianna Beretta Molla…).
Citava questa poesia don Giussani, e credo che sia utile per la nostra riflessione:
«Es verdad ya. Mas fue / tan mentira, que sigue / siendo imposible siempre [Juan Ramón Jiménez] [Ora è vero. / Ma è stato così falso / Che continua ad essere impossibile.]»
E poi così concludeva: «Quando uno intuisce il Fatto cristiano come vero, gli occorre ancora il coraggio di risentirlo possibile, nonostante le immagini negative alimentate dai modi angusti in cui esso è stato tradotto nella vita propria e della società.» Forse quello che ci è più necessario è proprio questo coraggio!
Don Gabriele Mangiarotti
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