Dorothy Day verso gli altari
È stata accolta con favore, perché attesa da tempo, la notizia dell’approvazione, il 13 novembre scorso, da parte dell’assemblea dei vescovi degli stati uniti in merito alla continuazione dell’iter necessario alla canonizzazione. Con votazione palese e all’unanimità i vescovi americani hanno espresso la loro volontà di veder presto sugli altari una delle figure femminili più note del novecento a livello mondiale per la sua azione decisa a favore della giustizia e della promozione umana con numerosi contatti tra una sponda e l’altra dell’atlantico. Una storia singolare e una conversione travagliata – associata dai vescovi nella loro discussione a quelle di paolo di tarso o agostino d’ippona – che vale la pena di ricordare.
Dorothy Day nasce l’8 novembre 1897 nel quartiere di Brooklyn a New York: il padre è giornalista di origine irlandese e la madre inglese. Da piccola si trasferisce con la sua famiglia a san Francisco dove frequenta la Chiesa episcopale e quella metodista, ma il sisma del 1906 lascia il padre John disoccupato e il nuovo approdo è chicago. La sicurezza economica e la residenza tra la buona borghesia – il padre è caporedattore delle notizie sportive del giornale cittadino – non impediscono alla giovane Dorothy di visitare quasi quotidianamente i quartieri più degradati del south side della città e lì prende il via la sua vocazione verso i poveri e tutte quelle persone che i benestanti evitavano con cura. Una borsa di studio la dirotta al campus dell’università di Urbana in Illinois, dove si tiene un po’ in disparte rispetto alla maggioranza degli studenti. Chiusa la parentesi del college, ritorna a New York dove trova lavoro come brillante reporter freelance. I suoi interessi prediligono raduni e manifestazioni di protesta per la dignità delle persone e dei lavoratori, ma si affianca volentieri anche a quanti si erano schierati contro il coinvolgimento americano nella grande guerra, tanto che nel ’17 viene arrestata, e malmenata, di fronte alla casa bianca insieme a una quarantina di persone che protestavano per l’esclusione delle donne dal voto. Lei, giovane giornalista in carriera, fumatrice accanita, diffonde idee radicali e femministe non sempre gradite. Il suo avvicinamento alla Chiesa
Cinque anni dopo è di nuovo a Chicago dove condivide due stanze con tre ragazze cattoliche: da loro comincia a considerare la nostra Chiesa come “un’organizzazione dedita al servizio dei poveri e degli immigrati”. Trasferitasi per un breve periodo a New Orleans, si ritrova a vivere proprio a fianco della Cattedrale di st.Louis e, a tratti, scopre il desiderio di prender parte alla celebrazione serale: confessava di amare, senza comprenderne il motivo, l’atmosfera, l’incenso ... Nel 1924 torna a New York e va a vivere in un piccolo cottage sulla spiaggia di State Island acquistato con i proventi della vendita dei diritti cinematografici di un romanzo. In casa di amici – dove girano anche le prime droghe – conosce un coetaneo botanico inglese, ateo e anarchico, Forster Batterham, con cui inizia la sua prima relazione stabile, anche se entrambi sono del tutto contrari al matrimonio.
In precedenza, rimasta incinta in un burrascoso rapporto con un giornalista, lei vita bohémien e costumi da libero amore, aveva scelto di abortire, ma ora è pronta per maturare pian piano l’accettazione della maternità, frutto anche della riflessione sull’esperienza vissuta e raccontata nel suo romanzo L’undicesima vergine. «Per molto tempo – si troverà a scrivere – avevo pensato di non poter assolutamente sopportare l’idea di un figlio in mezzo alle mie giornate, poi si è fatto strada il desiderio di un bambino e ho avvertito che una casa non è tale senza un piccolo che cresce». Il 3 marzo 1927 nasce sua figlia tamar theresa, ma da quel giorno iniziano i contrasti con forster per la sua strenua volontà di battezzarla. «Volevo arrivare a credere e offrire quella possibilità anche a mia figlia. volevo che entrasse a far parte di una chiesa che le avrebbe dato la grazia inestimabile di credere in dio insieme all’amore dei santi e l’unica cosa da fare era scegliere per lei il battesimo». Ma il solco con forster si allarga e diventa insanabile fino alla separazione sofferta: non smetterà mai di amarlo indicandolo come “il padre di mia figlia” e frequentandolo spesso soprattutto nel momento della sua malattia. Un’accorata preghiera all’Immacolata
L’8 dicembre 1932 è a Washington per partecipare alle manifestazioni della sinistra contro la disoccupazione che avanza e chiedere l’erogazione di sussidi e pensioni di vecchiaia, l’accesso alle cure sanitarie per tutti, in particolare l’assistenza materno-infantile. Al termine della marcia si reca al santuario nazionale dedicato all’Immacolata Concezione dove, angosciata, formula una preghiera fra le lacrime perché la madonna le indichi «la strada per spendere i suoi talenti a favore dei senza lavoro e dei più poveri della società».
È il primo passo di un lento cammino di avvicinamento (in precedenza inconsapevole) alla fede e alla Chiesa cattolica, da lei interpretata come “chiesa dei poveri”, ma Dorothy resta costantemente dibattuta tra una scelta di tipo religioso (riceve il battesimo e si accosta all’eucaristia) e i valori sociali per lei imprescindibili, per i quali non esita a trovarsi fianco a fianco con gli attivisti della sinistra più radicale e antireligiosa.
Nel 1932 l’incontro con Peter Maurin, un immigrato francese che ha scelto una vita ispirata alla povertà francescana, di 20 anni più anziano, con il quale fonda un giornale il catholic worker, venduto ad 1 penny la copia «così ciascuno può permettersi di comprarlo» e la cui redazione si riuniva inizialmente nella cucina di casa. Significative la data della prima uscita – 1° maggio 1933 – e la diffusione delle prime 500 copie dalla centralissima Union Square . Il loro giornale, dove scriveranno anche Jacques maritain e diversi intellettuali europei, diventa in breve tempo il fulcro d’azione di un “movimento cattolico sociale”, fondato sulla convinzione della comune dignità di tutti gli uomini di fronte a Dio, e che registra la costituzione di diverse case di accoglienza per senzatetto (nel 1936 erano già in tutto il paese) e di comunità agricole in stile cooperativo. Ogni comunità si dota poi di una pubblicazione stile catholic worker (a Los Angeles, per fare un esempio, si chiamerà “the catholic agitator”) e si organizzano ancora oggi raccolte di indumenti e cibo per l’assistenza ai poveri (con la scusa di bonificare il quartiere il sindaco Giuliani aveva fatto chiudere la storica casa di New York costringendoli a spostarsi altrove).
Partecipa lei stessa a numerose manifestazioni in difesa degli agricoltori, come in california a fianco del frate francescano Cesar Chavez, per quello che è rimasto nella storia come lo “sciopero dell’uva”. La sua attività che si allarga a macchia d’olio, le sembra essere la risposta tangibile alle sue preghiere riguardo alla strada da intraprendere.
Nel mese di dicembre 1933 vengono superate le 100 mila copie: il giornale tira come le idee dei due co-direttori che si schierano dalla parte dei sindacati per la richiesta di maggior dignità per i lavoratori e le loro famiglie, senza dimenticare coraggiose prese di posizione in merito alle scelte urbanistiche della città (che emargina sempre di più i poveri verso quartieri ghetto) e lo sviluppo industriale di stampo capitalista.
Ma gli articoli sul giornale sono ispirati spesso anche dallo spirito pacifista: si parla di crociate e di papi una volta in guerra, di sante alleanze e benedizioni di armamenti, di san Francesco d’Assisi e della necessità per i cristiani del XX secolo di operare finalmente scelte di non violenza e pace. Così, mentre la Chiesa ufficiale benediva l’ascesa di Franco in Spagna, il catholic worker si schierava contro, nonostante la perdita di una buona fetta di lettori, preferendo di gran lunga invitare i cattolici a rispondere a quell’invito evangelico dell’ ”ero forestiero e mi avete e ospitato ..”: ogni casa e ogni parrocchia dovrebbero essere aperti e disponibili all’accoglienza dei sempre più numerosi fratelli emigranti che bussano alla nostra porta (“è Cristo che giunge nelle nostre stanze”).
Continua così, e si allarga con la grande depressione, la creazione di case di accoglienza (green village, chinatown …) dove nessuno chiede attestazioni di fede agli ospiti (spesso alcolizzati o ex carcerati), ma un piccolo crocifisso sul muro d’ingresso segnalava la fede di quanti offrivano un tetto: «sono sempre nostri fratelli e sorelle in Cristo – scriveva Dorothy – e quindi membri della nostra famiglia». A chi le faceva notare quel passo: “i poveri li avrete sempre con voi” (mt 26,11), rispondeva: «è vero, ma non c’è scritto che debbano essere sempre così numerosi e noi siamo chiamati a fare tutto il possibile per sollecitare un cambiamento rivoluzionario» Nello stesso spirito anche le sempre più frequentate comunità agricole si trasformano ben presto in case rurali di ospitalità. L’interesse per il pacifismo e la non violenza
Ma era la non violenza e il pacifismo ad attrarre in quegli anni il suo sempre maggior interesse: dorothy prendeva alla lettera quel richiamo di gesù a pietro: “rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno” (Mt 26,52), nonostante il pacifismo cattolico non esistesse ancora. Nel 1935 il catholic worker pubblica un dialogo immaginario fra un patriota e gesù: il patriota sceglie la guerra respingendo di fatto l’insegnamento del vangelo. Molti lettori sono disorientati perché la chiesa cattolica appoggiava non solo franco in spagna, ma anche il nazifascismo e non aveva di fatto opposto resistenza, né al dramma degli ebrei, né alla guerra incombente. Con l’attacco giapponese di pearl harbor e la risposta di guerra americana, “nel nome di cristo” il giornale non cambia linea e la perdita dei lettori raggiunge questa volta i due terzi. Dorothy non si scoraggia ed è tra i fondatori del comitato cattolico di lotta all’antisemitismo.
«Il nostro manifesto è il discorso della montagna. Amiamo il nostro paese, l’unica nazione al mondo dove trovano ospitalità uomini e donne senza alcuna distinzione di provenienza, etnia o religione, ma siamo convinti che non sia la guerra la soluzione, bensì le opere di misericordia e la carità». Opinioni contrarie si manifestano anche fra gli ospiti delle comunità del paese, ma sono molti di più i giovani legati al suo movimento che prestano servizio nell’esercito in settori non armati come ospedali e centri di aiuto. Nel dopoguerra ancora non è finita e il catholic worker si rifiuta di accettare tutta la propaganda negli anni della guerra fredda, a partire dalla disobbedienza civile fino al boicottaggio della sensibilizzazione delle persone in vista di un attacco nucleare. dorothy, sotto costante sorveglianza dell’fbi, scrive: «nel nome di gesù, che è dio amore, non obbediremo a questo ordine di evacuare, di nasconderci». «Non saremo attanagliati dalla paura. Noi abbiamo fede in dio, anche se questo volesse dire affrontare il rischio di una bomba atomica», si legge su un volantino del catholic worker.
Tra il 1958 e il ’60 Dorothy viene incarcerata diverse volte nella più totale indifferenza della chiesa ufficiale che tace anche quando alcune comunità vengono prese di mira dalla violenza di alcuni membri del ku klux klan. Il suo impegno si rivolge in quegli anni anche verso le lotte per la conquista dei diritti civili degli afroamericani e un giorno scampa fortunosamente a un proiettile che raggiunge il piantone dello sterzo dell’auto che stava guidando. Il suo grazie a Papa Giovanni XXIII
Nel 1963 è a roma con migliaia di donne a manifestare il suo grazie a Giovanni XXIII per l’enciclica “Pacem in terris”: il papa non può riceverle ma le benedice chiedendo loro di continuare l’opera di promozione della pace (ma è sempre più incomprensibile l’oblio dei vescovi americani). Due anni dopo – mentre prosegue la sua opposizione alla guerra del vietnam (i catholic workers sono i primi a bruciare le cartoline di leva) – è di nuovo a roma per una giornata di digiuno pubblico in favore della pace in occasione della pubblicazione della “Gaudium et spes” (7 dicembre 1965) che descrive la guerra “un crimine contro l’umanità” e parla di cessare la corsa agli armamenti e di obiezione di coscienza di fronte alle armi (mentre molti giovani americani venivano incarcerati per il loro rifiuto a partire per il Vietnam).
Con tutta probabilità al catholic worker si può ascrivere il primato del giornale col più alto numero di redattori e simpatizzanti finiti in carcere per istigare la disobbedienza civile: Dorothy è stata arrestata ancora una volta nel 1975, a 78 anni. Negli ultimi anni della sua vita ha viaggiato molto insieme ad un’amica airin egan con l’intenzione di «scoprire quanto vasta è la povertà di cui dovremmo occuparci come cristiani». Nel 1976 la sua ultima visita a roma per partecipare al congresso internazionale dei laici, ed era stata una dei due cittadini americani a ricevere la comunione dalle mani di papa paolo vi. In occasione del suo 75° compleanno, la rivista dei gesuiti america le aveva dedicato un numero speciale, e l’università cattolica di notre dame le conferì la medaglia laetare per la sua azione a sostegno degli emarginati. Madre teresa di calcutta, in visita negli stati uniti, volle incontrarla, dopo che si erano viste in india. «Non chiamatemi santa – aveva esclamato un giorno – non voglio essere archiviata così facilmente: se ho ottenuto qualcosa nel corso della mia vita, è perché non ho esitato a parlare di Dio e della sua volontà». Rosemay linch, suora francescana e attiva pacifista, scomparsa a 94 anni nel 2011 a Las Vegas, dove aveva fondato il centro “pace e bene”, amava ricordare quanto ha scritto di lei Romano Guardini: «Dorothy Day ha fatto per la chiesa della sua epoca quello che altri grandi hanno fatto in altre epoche: ha richiamato la Chiesa alla fedeltà alle sue radici». E Dorothy stessa aveva richiamato spesso Guardini in particolare quando le chiedevano come faceva ad amare e continuare a far parte di una Chiesa che non l’aveva mai sostenuta: «la chiesa è un po’ come la croce di Gesù: non è possibile separarli».
Dorothy Day muore il 29 novembre 1980, a Maryhouse a New York city, tra i “suoi”poveri. Il prossimo 1 marzo 2013 il catholic worker celebrerà i suoi primi 80 anni di vita, mentre sono 213 le “case” di accoglienza ispirate dal movimento, che ha manifestato l’ultima volta in piazza in occasione dell’inizio della guerra in iraq.
E c’è la proposta di proclamare Dorothy Day patrona dei giornalisti a fianco di san Francesco di sales.
Maria Teresa Pontara Pederiva
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