Il film di Shawn Levy, con protagonista Ryan Reynold, riserva qualche piacevole sorpresa, ma un po’ più di coraggio non sarebbe guastato
27 agosto 2021
A differenza degli adattamenti videoludici che hanno riempito le sale negli ultimi anni, spesso mediocri (Warcraft, Mortal Kombat) e a volte discreti (Sonic, Tomb Raider), Free Guy – Eroe per gioco non si lega a un titolo o a una saga preesistente, ma si propone di esplorare il medium nel suo complesso in maniera simile al Ready Player One di Steven Spielberg. Sarà riuscita questa commedia estiva a distinguersi dagli altri titoli del suo sfortunato genere?
Una cosa è certa: il regista Shawn Levy – conosciuto per i suoi Una notte al museo e come produttore di Stranger Things – ha fatto i compiti, e la cosa si nota fin dall’incipit della pellicola: il protagonista è infatti un “PNG”, un Personaggio Non Giocante controllato dal computer che prende coscienza di sé, rivaluta la sua monotona routine da algoritmo e si trova a indagare su una frode informatica ai danni di due giovani programmatori. Guy – “tizio” in inglese, un gioco di parole che ne rimarca la natura di uomo qualunque – è un candido impiegato di banca abituato a vedere la sua città quotidianamente devastata dagli eccentrici “occhiali da sole”, nient’altro che gli alter ego dei giocatori in carne e ossa. Questo improbabile eroe riuscirà a interagire con i personaggi del mondo reale tramite delle miracolose lenti, spiazzandoli con il suo fascino sbadato e con il mistero sulla sua identità.
Ryan Reynolds, noto per la sua interpretazione dello sguaiato supereroe Deadpool, è qui alle prese con un ruolo sempre comico ma ben diverso, e riesce nell’intento di instillargli un ingenuo carisma. Il suo Guy non risulta banale nonostante la sua natura di bravo ragazzo, e affronta la sua presa di coscienza con ottimismo per poi stupire nei momenti di maggiore introspezione. Il resto del cast – tra cui Jodie Comer, vincitrice di un Emmy per la serie Killing Eve, e Joe Keery, direttamente dal sopracitato Stranger Things – funziona a dovere, con l’eccezione forse di Taika Waititi, al cui malvagio capitano d’azienda, per quanto intenzionalmente caricaturale, vengono affidate gag che spesso mancano il segno.
Il film riesce anche dal punto di vista visivo: la fotografia distingue in maniera intelligente tra mondo reale e mondo virtuale, mentre i pochi guizzi di regia sono tutti dedicati alla spettacolarità dell’azione, in un tripudio di rotazioni della macchina da presa e di piani sequenza. Al di là di queste trovate da action-comedy estiva, Free Guy nasconde anche citazioni a pellicole come The Truman Show – con il protagonista che fugge da un mondo illusorio via mare – ed Essi Vivono – con degli occhiali da sole che rivelano un inganno e un comprimario che resiste all’offerta di indossarli. Proprio la spalla comica di Guy è al centro di una delle scene più commoventi del film, in cui si finisce per discutere sul dubbio iperbolico di Cartesio e sul significato dell’esistenza.
Questi pregi, paradossalmente, finiscono per evidenziare incongruenze su cui si potrebbe sorvolare spegnendo il cervello, ma che balzano all’occhio nei pochi momenti in cui il film tenta di essere qualcosa di più. Il mondo di gioco si ispira a titoli come GTA e Fortnite che vengono qui ampiamente pubblicizzati, ma uno dei personaggi positivi lo definisce spazzatura, insultando indirettamente le sue ispirazioni; nella seconda metà si parla spesso del concetto di “intelligenza artificiale vivente”, troppo complesso e delicato per essere approfondito in un film di questo calibro; il “progetto del cuore” dei due giovani programmatori è un titolo che consiste nel limitarsi a osservare altri personaggi, il che dovrebbe elevarlo rispetto ai rozzi sparatutto, ma in realtà dimostra la non comprensione di ciò che rende il videogame un medium vincente, cioè l’interazione del giocatore con il mondo circostante.
La ciliegina sulla torta è però il tema principale della pellicola, cioè l’eterno scontro tra una corporazione senz’anima e degli artisti squattrinati ma desiderosi di creare e innovare. Una morale un po’ banale, ma la si potrebbe accettare in un film del genere, se non fosse per una vistosa sequenza il cui unico scopo è inserire citazioni a fenomeni della cultura pop come Star Wars e gli eroi Marvel. Ciò è stato possibile solo perché Free Guy era originariamente una produzione 20th Century Fox, compagnia acquistata dalla Disney che ne ha approfittato per inserire rimandi gratuiti a tutte le sue proprietà, rimandi che se fossero stati inseriti come omaggio da chiunque altro sarebbero valsi una visitina dei loro legali. Il film critica la logica capitalistica del guadagno per un’ora e cinquanta, salvo poi ricordare con una scena di un minuto che non importa l’originalità o l’inventiva, bensì il numero di proprietà intellettuali su cui puoi mettere le mani e il budget di cui disponi. Doppiamente ironico, considerato il modo infelice in cui la compagnia sta gestendo la controversia legale con Scarlett Johansson, accusandola di voler spillare loro soldi che non le spetterebbero “in tempo di Covid” come se loro fossero una Onlus.
In conclusione Free Guy è una commedia leggera ma dotata di un certo fascino, l’ideale per passare due ore tra risate e sequenze d’azione spericolate. Sconsiglierei tuttavia di cercarvi qualcosa di più, perché oltre alle perle si troverebbero non pochi difettucci e alcune incongruenze sgradevoli.
di Fabrizio Arrigo
tratto da: ilSussidiario.net
Versione app: 3.25.3 (26fb019)