Generosità del povero

Il Maestro di Galilea, invece, cerca la strada della vera riconoscenza, che fa i conti con la giusta riconoscibilità. Il rumore del denaro, per l'uomo di fede, non è tanto fragoroso quanto quello della piena, totale, libera generosità.

Generosità del povero

da Teologo Borèl

del 06 novembre 2009

    In quel tempo, Gesù diceva [...]: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti [...]». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Marco (12,38-44)

      

 

 

«Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri» (Mc 12,43). Icona di carità e di compassione, la vedova del Vangelo è pronta a sacrificare il poco che ha per condividerlo con chi è in difficoltà. Un gesto eroico considerato quanto a quei tempi fosse problematica e difficile la condizione di una donna sola. Il racconto tiene a precisare che il gesto della vedova supera qualsiasi aspettativa: «Lei, nella sua miseria, ha gettato nel tesoro tutto quello che aveva» (Mc 12,44).

 

Due monetine non fanno rumore nella cassa dei potenti e certo è cosa da poco veder calare nel forziere la sostanza fragile di poco più di niente. Ringraziare il ricco per il suo dono generoso fa parte del cerimoniale, tanto che è un atto dovuto riservare i primi posti nelle piazze e nelle sinagoghe di ogni tempo e di ogni culto a chi permette, con la sua donazione, di sopravvivere in tempi di magra. Il Maestro di Galilea, invece, cerca la strada della vera riconoscenza, che fa i conti con la giusta riconoscibilità. Il rumore del denaro, per l’uomo di fede, non è tanto fragoroso quanto quello della piena, totale, libera generosità.

 

L’amore senza calcolo di chi non si aspetta risposta, congratulazioni e riconoscimenti è quello che piace al Signore degli eserciti, che «ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7). L’ostentazione del potere passa anche per le offerte generose e il fracasso della beneficenza, più che dare conforto ai deboli, rende servizio al donatore. Lecito essere «scaltri come i serpenti» (Mt 10,16) in un tempo dove la cultura strisciante, la politica dell’affare superano ogni umana dignità. È lecito conoscere il vocabolario dei potenti della terra per chiedere giustizia per chi ha fame, libertà per chi è prigioniero, ma non bisogna mai dimenticare che è necessario restare «candidi come le colombe» (Mt 10,16), sicuri di una verità che non muta con il cambiare delle economie: «Comportatevi, perciò, come figli della luce» (Ef 5,8).

 

Il riconoscimento va dato primariamente a chi diventa testimone di piena generosità e lo fa non tanto e solo per squisito dovere morale o per solidarietà umana, ma perché coglie nel gesto del dare il ringraziamento dovuto a Colui che dona ogni cosa. Nella libertà del dono l’uomo di fede prega e cerca di incontrare il Signore della vita, presente ogni volta che a trionfare è la verità dell’amore perché dov’è carità e amore lì c’è Dio.

 

Se la storia delle convenzioni umane prevede che i primi posti, anche nei templi costruiti da mano d’uomo, siano riservati ai ricchi e ai potenti, nell’annuncio del Maestro di Galilea il posto migliore è dato alla verità del cuore che, benché sia spesso silenziosa, viene premiata dal Signore, Padre di misericordia: «Date e vi sarà dato» (Lc 6,38).

           

Se la vera riconoscenza viene da Dio, lo sforzo allora dovrebbe essere quello della riconoscibilità del testimone di misericordia. È necessario cercarlo, individuarlo, confrontarsi con lui per imparare dalla sua ricchezza a vincere la vera povertà generata dal calcolo, dall’egoismo, dalla paura di perdere le proprie sicurezze. In tempi di crisi, come quelli che stiamo vivendo, la prima cosa che molti eliminano, pur essendo benestanti, è la solidarietà. Mentre chi è in difficoltà economica continua nel poco a sentire il dovere della condivisione. Forse perché solo chi soffre comprende il sofferente, ma questo non giustifica l’avarizia dei ricchi. La generosità del povero spesso ridicolizza il falso potere degli egoismi terreni.

 

don Gennaro Matino

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