La notizia di una persona che si toglie la vita è sempre drammatica, ci costringe a riflettere sul mistero della persona. O almeno dovrebbe: in realtà sempre più spesso la notizia del suicidio è piegata a strumentalizzazioni e interessi ideologici.
Nella notte tra sabato e domenica un giovane di 21 anni si è lanciato dall’11esimo piano di uno stabile nel comprensorio Pantanella a Roma. Secondo quanto riportato dalle agenzie, prima del tragico gesto ha scritto un biglietto in cui afferma: "Sono gay, l'Italia è un Paese libero ma esiste l'omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza". Increduli e sotto choc – comprensibilmente – i genitori del ragazzo, che hanno detto di non sapere nulla dell’omosessualità del loro figlio, né del suo disagio nei confronti dell’omofobia. Gli inquirenti stanno indagando per capire veramente cosa abbia portato il 21enne a questa decisione. Fin qui i fatti.
La notizia di una persona che si toglie la vita è sempre drammatica, è la manifestazione di un disagio e di una sofferenza verso i quali ci sentiamo impotenti, ci costringe a riflettere sul mistero della persona. O almeno dovrebbe costringerci: in realtà sempre più spesso la notizia del suicidio è piegata a strumentalizzazioni e interessi ideologici.
Se a suicidarsi è una persona qualsiasi viene liquidata in poche righe di cronaca, qualcuna in più se si creano problemi alla circolazione gettandosi sotto il metro o sotto un treno. Se a compiere l’estremo gesto è un anziano uomo di spettacolo, allora il suicidio merita paginate di giornale e lunghi servizi in tv inneggianti alla libertà di scelta e al coraggio mostrato dall’individuo malgrado la cattiveria di uno stato che non permette di togliersi la vita tranquillamente assistiti in una camera di ospedale circondati da amorevoli sanitari pronti a infilare l’ago attraverso cui passa il liquido che decreta la fine dell’esistenza terrena. Se a togliersi la vita è un giovane gay o presunto tale, ecco allora che le stesse paginate e servizi vengono spesi per incolpare l’intera società di omofobia e i politici per non avere provveduto ad approvare una legge che punisca severamente ogni discriminazione nei confronti degli omosessuali. Insomma il suicidio conta se serve per promuovere l’eutanasia o le leggi pro-gay.
E anche quest’ultimo caso non fa eccezione: intorno al tragico fatto di cronaca si è scatenata la ormai solita cagnara di chi invoca la legge contro l’omofobia e vorrebbe ridurre al silenzio – magari con il carcere - chi prova semplicemente a dire che un conto è condannare bullismo e violenze (che vanno sempre condannate) e un altro proporre norme che puniscano il reato di opinione, inclusa la contrarietà a concedere il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Così ecco che le associazioni gay, il presidente della Regione Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma Ignazio Marino, si sono subito lanciati sull’episodio di cronaca per invocare questa legge sull’omofobia. Si citano anche altri due precedenti avvenuti quest’anno a Roma, dimenticando che anche su questi ci sono dubbi per quanto riguarda il vero movente, tenuto conto che gli esperti ci dicono che quasi sempre a determinare un suicidio è una complessità di fattori e non uno solo. Non fa nulla, il caso è troppo ghiotto per non approfittarne: chi per fare avanzare la legge, chi per riguadagnare un po’ di credito politico (vedi il sindaco Marino). Tutti dimentichi, peraltro, di una raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che invita a tenere conto che il suicidio è un evento con una forte componente di emulazione, per cui è bene evitare enfatizzazioni o eccessivi clamori.
Peraltro, il sindaco Marino dimentica che ogni anno a Roma ci sono 250 persone che si tolgono la vita, quasi una al giorno, e con l’omofobia non c’entrano nulla; mentre nel Lazio i suicidi annui sono 700, due al giorno (i dati sono stati presentati a settembre durante un incontro in occasione della Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio), anche qui nel disinteresse del governatore non essendoci problemi di omofobia.
Riccardo Cascioli
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