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Giovani: gli angeli del fango

Dopo l'alluvione, abbiamo visto i giovani in prima linea, che hanno fatto girare la voce sui social network, si sono dati appuntamento con tweet o sms, poi hanno preso in mano pale, ramazze e picconi e hanno incominciato a ripulire la città. «Davanti alle immagini viste su Youtube non potevamo restare solo a guardare».


Giovani: gli angeli del fango

da Attualità

del 08 novembre 2011(function(d, s, id) { var js, fjs = d.getElementsByTagName(s)[0]; if (d.getElementById(id)) {return;} js = d.createElement(s); js.id = id; js.src = '//connect.facebook.net/it_IT/all.js#xfbml=1'; fjs.parentNode.insertBefore(js, fjs);}(document, 'script', 'facebook-jssdk'));

 

          Nella rinomata trattoria di piazza Romagnosi si pranza gratis: primo, secondo, dessert, bibite e tante grazie. È il menù completo per gli 'angeli del fango'. Lo stesso in tanti bar di tutta la zona colpita dall’esondazione del Fereggiano. Alla faccia dei luoghi comuni sui genovesi. Il meno che la città potesse fare per gli oltre duemila ragazzi che stanno rimettendo in piedi il capoluogo.

          Faccia sporca e vestiti che puzzano. A fine giornata non capisci più quali sono gli ultras e quali i ragazzi della Gmg. Uniti dalla melma. Quella spalata via chissà come in ventiquattr’ore, e quella che li ha trasformati in un reggimento monocolore. Se li chiamano 'angeli del fango' c’è un perché. 'Fosse per me li arruolerei tutti senza concorso', esclama un colonnello del genio dell’Esercito arrivato con oltre 130 mezzi: escavatrici, autoribaltabili, pale meccaniche, motopompe, materiale per costruire ponti e due elicotteri Ab-205. Poco lontano centinaia di adolescenti scendevano dai bus di linea indossando stivali di gomma, guanti da lavoro prestati da papà e ogni genere di arnese: dal bidone aspiratutto al carrello del supermercato, e poi pale, ramazze, picconi, barili vuoti. Come neanche nei film con il migliore dei lieto fine, mentre i ragazzi accorrevano, da piazza Alimonda saliva il brusio di un’altra folla inattesa. Vanghe in spalla e sciarpa rossoblù al collo, gli ultras del Genoa si sono uniti agli 'angeli' che da venerdì lavorano nel rione Marassi. «Quando siamo arrivati, anziché guardarci con diffidenza e ostilità, come spesso accade, la gente ci è corsa incontro», racconta Fabrizio Fileni, uno dei capi ultrà.Dove non arrivano le ruspe, si tuffano gli 'angeli'. Le ragazze, poi, con un coraggio che non diresti. Magrissime nei loro jeans taglia 40, saltano giù dalle macerie trascinando detriti pesanti come macigni. Eroiche formichine che si concedono una pausa solo per rispondere agli sms di mamma.           Del resto tutto è cominciato dal passaparola su computer e telefonini. «Mi è arrivato un messaggio su 'Face' e subito ho mandato un 'tweet' ai miei duecento followers», dice Filippo, 14 anni, prima liceo scientifico, piuttosto scocciato di doversi spiegare meglio: «Prima l’appello su Facebook – dice sillabando ogni parola, più per sfottò che per buona volontà –, poi i messaggi brevi su Twitter che in tempo reale sono stati recapitati a tutti i miei amici». Insomma, merito dei discussi social network, se sui cellulari dei genovesi più giovani è suonata una chiamata ai badili che ha portato nell’epicentro del disastro l’esercito che non ti aspetti. Età media: vent’anni, forse meno. Non ci fossero stati loro, Genova avrebbe ancora il volto coperto di melma.           Ludovica, Alice, Arianna e le due Martina sono un po’ le mascotte. Quattordici anni ciascuna, ormai le chiamano le Winx di via Fereggiano. «Siamo amiche e compagne di scuola – raccontano pressoché in coro, proprio come le protagoniste dei cartoni a cui le hanno accomunate –. Davanti alle immagini viste su Youtube non potevamo restare solo a guardare». Senza neanche sapere da dove cominciare hanno deciso di salire fino in cima al caseggiato più colpito. E i vostri genitori? «Ci hanno solo detto di non farci male». Appena finito di sgomberare un negozio hanno chiesto ai vigili del fuoco dove servisse aiuto: «Adesso ci spostiamo in una cantina, finché ce la facciamo andiamo avanti». Due di loro frequentano i gruppi giovanili della Parrocchia San Fede. «Davanti a questa tragedia siamo genovesi che aiutano altri genovesi».           Edoardo e Noemi avrebbero dovuto trascorrere mano nella mano l’attesa passeggiata del sabato sul lungomare. «Invece abbiamo raccolto vestiti da lavoro, stivaloni, una vanga e una ramazza». Poi, mano nella mano, sono arrivati in via Feraggiano. Inseparabili anche in mezzo alle carcasse d’auto e al puzzo di fogna che sale dai tombini esplosi. Vent’anni ciascuno, Edoardo Ceccarelli e Noemi Belvisi, non si sono risparmiati. Lui in tuta blu da metalmeccanico, lei con i riccioli sempre in ordine nonostante il gran da fare. Edoardo spera di laurearsi in Ingegneria navale nautica, Noemi completerà il liceo. «La verità – ammette lui – è che siamo abituati alla bella vita, ad avere tutto, a dare per scontato che le cose andranno in un certo modo». Poi accade l’imponderabile: «Ci si sente confusi, disorientati – osserva Noemi – ma grazie alla reazione comune, in questo caso di tanti giovani, come per magia si sa esattamente cosa fare». E loro, angeli per un giorno, lo hanno fatto.  «Il senso di responsabilità viene dall'essere credenti»            I fratelli Frega e i fratelli Cianci. Uno squadrone di sei volontari contro i danni dell’alluvione in due cognomi: «Finora, al massimo avevamo dato una mano all’organizzazione del Meeting di Rimini, ma questa qui è proprio un’altra storia». Le età vanno dai 15 ai 25 anni. Monica Frega ha le braccia stanche, ma non molla. Perché resiste tra il fango? «Perché se non si è solidali in questi momenti, se non si è d’aiuto in queste circostanze, se non ci si sente parte di una comunità proprio adesso, il nostro impegno, e la nostra testimonianza di giovani credenti, perde proprio di senso». L’adunata per loro è suonata tra i ragazzi delle parrocchie, «giusto il tempo di un giro di sms – spiega Simone – è ci siamo ritrovati tutti qui». Ovvero con gli stivali che affondano nella melma. Instancabili. In ventiquattr’ore hanno svuotato tre cantine, un garage e un negozio d’abbigliamento. La fatica si fa sentire quando c’è da liberare il gigantesco magazzino interrato di un negozio di mobili. Stefano Cianci chiama a raccolta i suoi due fratelli più piccoli, tra cui Filippo, occhi azzurri e una faccia da combina guai. C’entra qualcosa l’esperienza di fede con quello che li ha portati qui a lavorare tra gli “angeli” di Genova? Simona non ha dubbi: «Il senso di umanità, lo spirito di solidarietà – riflette – ci vengono dalle nostre scelte, dalle nostre esperienze, e sono il motore che sta spazzando via il fango».  Gli scout non vogliono 'grazie': accorgetevi delle risorse nascoste           «Ci hanno offerto di tutto: soldi, vestiti, perfino gioielli». Niente da fare. «A tutti abbiamo detto: no grazie». Elena Rocco e Miriam Fiorenza, entrambe di 21 anni, sono due scout piuttosto risolute. Insieme ai coetanei Francesco Busdraghi e Giovani di Rovasenda, in questi giorni ne hanno viste tante. «La gente non sa come sdebitarsi, ed è incredibile come si fidino di noi». Certo, vedere la divisa degli scout rincuora. Come dev’essere accaduto a quel gioielliere di Corso Sardegna cui i ragazzi dell’Agesci hanno salvato i preziosi e rimesso in sesto il negozio. «A volte ci lasciava soli in mezzo ai brillanti». Forse per altri sarebbe stato facile dire che i monili mancanti li aveva portati via la piena. «Non ci è passato nemmeno per la testa, li abbiamo recuperati tutti». Tanto che alla fine il commerciante avrebbe voluto regalarne qualcuno alle ragazze. Ma loro sono state irremovibili: «No, grazie». Nel frattempo in Corso Sardegna la circolazione è stata riaperta, ma i semafori sono andati in tilt. Niente paura, a dirigere il traffico ci pensano loro. Sono decine e arrivano dai gruppi di tutta l’arcidiocesi. I ragazzi dell’Agesci sono inseriti nel sistema di Protezione civile. E si vede. In poche ore hanno pressoché rimesso a nuovo il mercato ortofrutticolo, una serie di cantine, svariati negozi e il piazzale della chiesa di San Fedele. Già che c’erano, come non avessero a sufficienza, hanno fatto festa con dei senza fissa dimora accampati nei pressi della Chiesa. Vi aspettate un riconoscimento? «No, vorremmo solo che la città si accorgesse di quale forza c’è nei suoi ragazzi, quei ragazzi che di solito non finiscono in prima pagina, ma che oggi sono in prima fila».  «Dai giovani può ripartire anche la ricostruzione dell'Italia»             Joaquim studia Filosofia. A 21 anni gli mancano tre esami. Anche Luca Fabbri, 23 anni, è prossimo alla laurea in Ingegneria meccanica. Entrambi sono corsi nel quartiere Marassi per dare una mano. Ci rimetteranno i jeans, ormai inservibili, e le scarpe da ginnastica: «Impossibile ormai trovare stivali». Pragmatico il futuro ingegnere, appassionato il laureando con tesi su «Filosofia e relativismo». Nessuno dei due si dice motivato da qualche fede religiosa o politica. Semplicemente «era nostro dovere morale di cittadini essere qui, ed esserci da genovesi». Quanto agli “angeli del fango”, loro si dicono «per niente sorpresi, anche se certi pregiudizi degli adulti sull’universo giovanile non sono del tutto campati per aria». Se per Luca questa tragedia insegna che «l’uomo deve rispettare la natura e costruire laddove si può e secondo criteri di sicurezza», per Joaquim è la risposta all’alluvione che sta insegnando qualcosa. «Nelle nostre società, dove forti sono le divisioni e i contrasti, un dramma come questo sta insegnando a noi per primi che l’unione tra persone è più forte di qualsiasi catastrofe, e che una popolazione unita è una popolazione che può rinascere». Un messaggio, concordano tutti e due, «che non vale solo per Genova: la risposta dei giovani, semplice ed efficace, prova che anche l’Italia può rinascere a partire da quella generazione sbrigativamente dipinta come apatica e disinteressata. Qui è con i fatti che stiamo spiegando che non è così». 

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