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Graffiti. Puro vandalismo o opera d'arte?

A New York, dove i murales apparvero per la prima volta, oggi vige la tolleranza zero,con tanto di arresti. A Mosca, invece, il sindaco assolda «writers» per rendere meno grigia la città. Anche in Italia si discute, tra concorsi comunali e letture socio-psicologiche...


Graffiti. Puro vandalismo o opera d’arte?

da Attualità

del 25 luglio 2006

New York, la città che ha dato loro i natali è anche quella che ha cercato con più forza di combatterli: i graffitari metropolitani che da più di trent'anni imbrattano - secondo alcuni - o decorano - secondo altri - le città sono continuamente al centro di polemiche ma anche di esperimenti. Che ruotano attorno alla domanda: i graffiti metropolitani (siano murales o tag, cioè firme, segni) sono gesti vandalici o sono opere con valore artistico? E, se sono atti vandalici, come si combattono? Se invece sono opere d'arte, come si valorizzano?

Naturalmente le risposte possono essere diverse, anche opposte. Basti guardare i casi di New York e quello di Mosca. La metropoli americana guidata dal sindaco Bloomberg ha dichiarato guerra totale ai graffiti e ai writers. Per questo aveva tra l'altro vietato la vendita di bombolette spray ai giovani tra i 18 e i 21 anni, e multe e sequestri erano previsti anche se i graffitari non venivano colti sul fatto: in realtà bastava farsi beccare per strada con una bomboletta per rischiare l'arresto. Ma la Corte d'Appello federale ha sentenziato che questa proibizione lede i diritti dei cittadini, e in particolare il «diritto d'artista»: chi può escludere, infatti, che tra questi giovani imbrattacittà non ci siano artisti veri, che stanno maturando il loro talento? Del resto, è già successo ai 'padri fondatori' del movimento, un certo numero dei quali è passato dalle strade ai musei.

A Mosca, invece, il sindaco Yuri Luzhkov ha dato vita al Progetto Fabbrica, che in sostanza è un accordo tra l'amministrazione e le crew (i gruppi) dei writers: un centinaio di ragazzi ha dipinto edifici di vario tipo, stazioni e sottopassaggi. Lo scopo, quello di rendere meno grigia e triste la città, è stato raggiunto e la gente ha apprezzato. Tanto che l'amministrazione ha rilanciato e, nella primavera scorsa, ha avviato il progetto Gioco del Terzo millennio affidando a duecento giovani artisti squallidi palazzoni di periferia e perfino stazioni della m etropolitana. Ora si organizzano perfino dei tour per ammirare i murales meglio riusciti.

Approcci al problema di segno profondamente diverso si verificano anche in Italia, dove la amministrazioni mettono in campo periodiche campagne di dissuasione (qualche anno fa il sindaco di Milano Gabriele Albertini aveva coinvolto perfino Megan Gale), iniziative per ripulire i muri, incentivi a chi ridipinge i palazzi con vernici anti-graffito, premi a chi denuncia i vandali e misure ancora più dure (basti ricordare che nel marzo scorso a Como un ragazzo cingalese è morto, dopo che gli aveva sparato un vigile del corpo antigraffito).

C'è invece chi ha scelto la via della 'legalizzazione': scuole o amministrazioni hanno messo a disposizione alcuni spazi, o avviato progetti di valorizzazione, come il Comune di Napoli, che nel 2004 ha lanciato il progetto Circumwriting, dando la possibilità a decine di artisti di dipingere circa un chilometro della Circumvesuviana, o come il Comune di Roma, che ha fatto dipingere a dei writers la nuova stazione della metro nel quartiere Salario. Oppure come il Comune di Ravenna che ha lanciato il concorso Coloriamo l'aria: i giovani dovevano presentare bozzetti per murales da realizzare con bombolette spray sulle cabine per il controllo dell'aria della città (i risultati si sapranno a settembre).

E c'è anche chi rovescia il problema e usa il murales per educare i giovani alla conoscenza e al rispetto del patrimonio artistico-culturale e per stimolare il loro senso civico. Erano questi, infatti gli obiettivi dichiarati per il progetto Murales a scuola, un percorso biennale (si è concluso a maggio) del liceo Ulivi di Parma: ai ragazzi è stata offerta la possibilità di dipingere le pareti dei corridoi della scuola, ma dopo un lavoro di ricerca nell'ambito della storia dell'arte e di analisi di opere classiche.

Che comunque anche il graffitismo metropolitano - quando non diventa teppismo - sia un'espressione culturale, lo dimostra il fatto ste sso che da quando è nato gli interventi di repressione del coté teppistico sono sempre stati paralleli a interventi di analisi e di valorizzazione del coté artistico o culturale. Tra gli esempi più recenti, il libro che Giuseppe Culicchia ha dedicato alle scritte sui muri di Torino (una delle città più colpite dai writers, insieme a Roma, Milano, Bologna, Bari e Firenze), ai calembour di cui sono piene e all'ironia che trasudano (Muri & Duri, edizioni Priuli & Verlucca). Oppure il convegno interdisciplinare che l'Università Roma Tre ha organizzato nel marzo scorso, in cui fra l'altro la storica dell'arte Barbara Cinelli ha sostenuto che i writers, quando iniziano, non sono attirati tanto dal fatto di esercitare una forma d'arte, quanto dalla possibilità di uscire dall'anonimato. E infatti si comincia con la tag, cioè la propria firma che viene dipinta nel modo più fantasioso e originale possibile. Alla tag il writer affida la propria visibilità, la propria fama, quindi cerca di imprimerla sul territorio il più volte possibile, oppure nei luoghi più visibili (di qui il fascino dei treni e delle metropolitane). Altre volte si affida, più che alla quantità, alla qualità, e quindi ne studia continuamente l'evoluzione trovando soluzioni estetiche sempre più originali.

Per Cinelli, comunque, la motivazione artistica arriva in un secondo tempo: molti, man mano che si impossessano della tecnica, scoprono le possibilità del linguaggio, e allora cominciano a studiare il lettering, i colori, le armonie degli spazi… Di qui è facile il passaggio ad altri linguaggi, come la grafica o la video art. E probabilmente è a questo punto che potrebbe funzionare l'offerta di spazi legali in cui sperimentare il proprio talento ed esprimere il proprio mondo.

È un modo, questo, per 'legalizzare' un linguaggio giovanile che è nato con una forte componente di trasgressione, ma che in genere non ha un significato politico in senso stretto, anche se nei centri sociali in cui è nato aveva, in origine, una matrice anarcoide, anche se spesso vaga. Lo conferma anche una ricerca di Eurispes e Telefono Azzurro che nel 2004 hanno interpellato in proposito un campione di quasi 6mila giovani tra i 12 e i 19 anni. È emerso che al 76% degli interpellati i graffiti piacciono, e solo il 21% li ritiene atti vandalici. Ma sono meno dell'1% quelli che lo considerano un gesto di espressione politica. E intanto il dibattito continua…

Paola Springhetti

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