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Hiroshima : testimonianze

«60 anni fa, il 6 agosto 1945, era una giornata molto calda. Alle 8.15 di mattina la prima bomba atomica nella storia dell'umanità fu sganciata su Hiroshima. L'arma del diavolo esplose 580 metri sopra la città. Sono sopravvissuta alle radiazioni...».


Hiroshima : testimonianze

da Quaderni Cannibali

del 05 agosto 2005

 

La mia esperienza. Il mio messaggio.

 

di Seiko Ikeda, Hiroshima City

 

Sono arrivata dalla città che ha subito il bombardamento nucleare, ma che è anche la città della pace, Hiroshima. La mia speranza è che si possa riparare un terribile errore del passato, eliminando dalla nostra storia le guerre e le armi nucleari che possono distruggere l’umanità intera.

60 anni fa, il 6 agosto 1945, era una giornata molto calda. Alle 8.15 di mattina la prima bomba atomica nella storia dell’umanità fu sganciata su Hiroshima. L’arma del diavolo esplose 580 metri sopra la città. Sono sopravvissuta alle radiazioni e per questo ringrazio il Signore che mi concede di essere qui a parlare con voi.

Al momento dell’esplosione mi trovavo a 1500 metri dall’epicentro. Noi, ragazzi delle scuole, eravamo stati mobilitati. Io lavoravo alla demolizione degli edifici, un lavoro necessario per ridurre i rischi in caso di disastri. Avevo 13 anni, facevo la seconda media. Ci fu un bagliore fortissimo seguito da un boato. Poi tutto buio. L’onda d’urto mi fece fare un balzo di una quindicina di metri. Quando mi ripresi, mi resi conto che i miei capelli erano tutti bruciati e i vestiti ridotti in stracci. La pelle delle braccia e delle gambe si era staccata e pendeva a brandelli. Si vedeva la carne viva, rossa. Gridai, chiesi aiuto, vagando alla ricerca di qualcuno che mi aiutasse. Ovunque vedevo corpi, singoli o ammucchiati, tutti bruciati. E tante persone coperte di sangue, senza neanche la forza di urlare o chiedere aiuto. Passai accanto a questi corpi, in alcuni casi li calpestai, mentre vagavo alla ricerca di aiuto. Poi vidi il fiume e mi ci buttai dentro, perché tutto il corpo mi bruciava. Il fiume era pieno di persone e non riuscivo a vedere la superficie dell’acqua. Molte di queste persone morivano, andavano a fondo e scomparivano. Molti corpi rimasero senza identificazione nell’acqua per giorni, in balia della corrente.

Una nostra vicina riuscì a tornare a casa dopo due giorni e la sua famiglia fu felice di vederla sana e salva. Ma dopo un mese cominciò a star male, talmente male che non riusciva più ad alzarsi da letto. Perse tutti i capelli e poi cominciò a sanguinare dal naso, dalla bocca, dalle orecchie. Pochi giorni dopo morì dei sintomi acuti delle radiazioni.

Più o meno in quel periodo mi diminuì la febbre e cominciai ad alzarmi e a fare qualche passo. Le ferite si stavano rimarginando, ma sentivo che c’era qualcosa di strano nella mia faccia. Trovai lo specchio che la mia famiglia aveva nascosto e mi ci guardai. Fu uno shock terribile, rimasi talmente sconvolta che desiderai essere morta sotto il bombardamento. Non riesco neanche a descrivere quanta sofferenza tutto ciò mi abbia causato per tutta la vita. E anche se riuscissi a trovare le parole, forse nessuno potrebbe capire ciò che ho provato. Per ridare alla mia faccia un aspetto simile a come era, ho subito quindici operazioni.

Nonostante tutto, però, sono viva. Sono in ogni caso più fortunata di quelle persone che ho visto per strada quel giorno, o di quelli che sono morti vicino a me nel fiume, senza sapere chi incolpare. Non dimenticherò mai quei volti contorti dal dolore.

Anche oggi, dopo 60 anni, le persone continuano a morire per le conseguenze del bombardamento atomico. E forse domani toccherà a me.

In quanto sopravvissuti, abbiamo parlato con molte persone, per esprimere il nostro sconforto, la nostra rabbia, la nostra speranza in un mondo di pace libero da armi nucleari. Ma perché c’è ancora chi fa le guerre?

Hiroshima è un luogo dove si può imparare a capire la dignità umana. La guerra, il terrorismo, le armi nucleari uccidono. Quando penso alla guerra non penso solo alla mia morte, ma alla morte di genitori, figli, fratelli, sorelle, amici.

In una guerra nucleare non ci saranno né vincitori né vinti. Ci sarà solo la distruzione dell’umanità e la fine del pianeta terra. Se l’umanità non eliminerà le armi nucleari, le armi nucleari elimineranno l’umanità.

L’appello di pace che lanciamo noi, vittime della bomba atomica, è un appello debole, privo di potere. Eppure credo che crescerà in tutto il mondo, grazie alla compassione e alla simpatia delle persone di tutti i paesi. Un giorno diventeremo la voce più forte. E questo è il mio sogno che mi aiuta ad affrontare la paura della morte che mi assale ogni giorno.

 

 

Anch'io vittima della bomba atomica

 

di Yamada Reiko Toshima-Ku, Tokio

 

Nella primavera del 1945, per motivi di sicurezza si ordinò che tutti i bambini delle scuole di Hiroshima fossero evacuati. Molti bambini erano quindi già stati mandati a vivere da parenti in campagna. Chi non aveva parenti presso cui andare a vivere veniva portato dagli insegnanti a vivere all’interno delle scuole o dei templi delle zone rurali.

Anch’io avrei dovuto trasferirmi, insieme agli altri bambini rimasti e ai nostri insegnanti, in un tempio fuori città il 9 agosto.

Il 6 agosto, il giorno della bomba, il sole splendeva, era una giornata calda fin dal primo mattino. Non c’era neanche una nuvola.

Arrivammo a scuola alle 8 e ci mettemmo in fila nel cortile per la cerimonia della bandiera. In quel periodo ormai il cibo scarseggiava, e molti bambini non avevano abbastanza da mangiare. Mentre stavamo sull’attenti nel cortile, molti bambini svennero sotto il sole caldo. Per questo ci fu permesso, dopo un po’, di ripararci all’ombra degli alberi e di riposarci.

Alcuni ragazzi, che invece erano rimasti nel centro del cortile, gridarono: “Guardate, un B-29!”, indicando il cielo. (A quell’epoca i bombardieri statunitensi B-29 volavano spesso nel cielo sopra la città, e il loro arrivo era annunciato dalla sirena dell’allarme antiaereo: per questo i bambini sapevano riconoscere un B-29.)

Alzai lo sguardo e vidi un B-29 argenteo, che brillava e volava alto nel cielo, disegnando arcate bianche con la sua scia.

“Che bello,” pensai. E subito un incredibile bagliore bianco, accecante. Scappai verso il rifugio antiaereo ma la sabbia sollevata da terra mi colpì alla schiena e mi schiacciò contro il terreno.

Quando ripresi coscienza, mi trovai intrappolato sotto un salice sradicato dall’esplosione. Riuscii a liberarmi, facendo spazio tra i rami. Cominciai a correre, insieme agli altri ragazzi, verso un altro rifugio che si trovava sulla collina sopra la scuola: pensavamo che potesse essere più sicuro.

Arrivati al rifugio, ci rendemmo conto che era già pieno di persone venute dalle zone circostanti e non c’era posto per noi. Rimasti fuori, ben presto fummo completamente inzuppati dalla pioggia che improvvisamente cominciò a cadere. Dopo seppi che si trattava della “pioggia nera” che conteneva tante sostanze radioattive. Ci stringemmo gli uni agli altri, nel tentativo di riscaldarci, perché tutto ad un tratto faceva molto freddo, e i nostri corpi bagnati tremavano. Il sole era scomparso dietro un enorme nuvolone nero che oscurava tutto il cielo.

Vedemmo gruppi di persone, gravemente feriti, che camminavano, quasi in processione, dirigendosi verso la nostra scuola. A quel punto mi resi conto che era successo qualcosa di terribile, non solo alla nostra scuola, ma alla città tutta intera. Corsi verso casa.

La zone dove abitavo era a due chilometri e mezzo dall’epicentro dell’esplosione. Sebbene la maggior parte delle case fossero state distrutte dall’esplosione, nel nostro quartiere non era scoppiato nessun incendio. Per questo molti dei feriti e degli ustionati cercarono rifugio in questa zona.

Al momento dell’esplosione mio padre si trovava a circa un chilometro dall’epicentro. Lo tirarono fuori da sotto le macerie di un edificio crollato. Quando, aiutato da alcune persone, riuscì ad arrivare a casa, aveva il corpo pieno di ferite di schegge di vetro. Sanguinava molto.

Sotto le macerie dalle quali fu tratto in salvo mio padre morirono pi√π di 200 persone.

Mia sorella maggiore, che si trovava alla stazione ferroviaria di Hiroshima (1500 metri dall’epicentro) quando scoppiò la bomba, tornò a casa la sera del secondo giorno dopo l’esplosione. Aveva ustioni sul collo e sulla schiena. Non avevamo medicine per curarla, e mia madre cercò di lenire il dolore mettendo delle fettine di cetriolo sulle ferite. Ma il cetriolo marciva subito a contatto con il calore che emanavano le ustioni. L’odore era nauseante. Le ferite attiravano le mosche, così usammo un ventaglio per tentare di scacciarle. Mia sorella non riusciva a dormire, piangeva di continuo, soffriva di dolori lancinanti.

Mia madre, che era rimasta a casa, riportò delle ferite lievi sul viso. La mia sorella di 13 anni, che era malata e non era andata a scuola, rimase anche lei quasi illesa. Ma le sue compagne di scuola, che erano al lavoro nel centro della città quel giorno, morirono tutte. (In quei giorni, gli studenti delle medie, di 13 o 14 anni, erano stati mobilitati per demolire gli edifici ed impedire così la propagazione di eventuali incendi causati da bombardamenti. Molti rimasero uccisi o sono ancora considerati scomparsi.)

Una ragazzina, mia amica e vicina di casa, insieme ai suoi quattro fratelli, stava aspettando che sua madre tornasse a casa. Mi raccontò poi che vide entrare in casa una strana cosa nera. Pensò si trattasse di un cane, ma poi si rese conto che si trattava della mamma. La madre tornò a casa, dai propri figli, e morì davanti a loro. Cremarono ciò che rimaneva del corpo in giardino, nei giorni successivi.

A partire dal terzo giorno dopo il bombardamento, i cadaveri che giacevano nelle strade furono raccolti e portati per essere bruciati nel cortile della mia scuola. Ogni giorno, l’aria della città era appestata dall’odore acre di corpi che bruciavano. Tutte le famiglie avevano almeno una persona cara tornata a casa con ferite o ustioni, oppure che non era tornata affatto. Nel cortile della mia scuola furono cremati circa 1500 cadaveri.

La sconfitta del Giappone fu annunciata il 15 agosto, ma continuo a mancare il cibo. Nella mia scuola, nella primavera dell’anno successivo piantammo delle patate dolci nel cortile. Il giorno del raccolto, mentre zappavamo, insieme alle patate tiravamo su cappelli e ossa umane. In molti urlammo di raccapriccio. E a pranzo non riuscimmo quasi a mangiare le patate.

In totale, circa 600.000 persone nelle due città subirono il bombardamento atomico. Entro la fine del 1945 erano morte 140.000 persone a Hiroshima e 70.000 a Nagasaki. Il 64% dei morti non erano combattenti, erano cioè civili, per stragrande maggioranza donne, bambini e anziani. E del 42% non si è mai ricuperato il cadavere.

Coloro che morirono quel giorno furono uccisi dalle radiazioni termiche, oppure schiacciati sotto le macerie, o scaraventati dalla forza d’urto, o bruciati vivi mentre stavano intrappolati nelle macerie di un edificio.

Noi che siamo sopravvissuti siamo preda di gravi sofferenze psicologiche: le voci di quelle persone, le loro grida d’aiuto e la loro immagine, sono iscritte indelebilmente nei nostri ricordi. Non dimenticheremo mai. Molti di noi soffrono per le conseguenze delle radiazioni e in tanti siamo angosciati e viviamo costantemente una sensazione si paura.

Spero sinceramente che le persone di tutto il mondo riescano a capire che un’unica bomba atomica può distruggere una città tutta intera e distruggere in massa tante vite umane nell’arco di un secondo.

Noi Hibakusha abbiamo iniziato ad organizzarci in associazioni da 48 anni così da essere più efficaci nel nostro appello al mondo: chiediamo l’abolizione totale delle armi atomiche, che non ci siano più guerre. Mai più Hiroshima, mai più Nagasaki, in nessun altro paese del mondo.

E’ triste che il XXI secolo sia iniziato con degli eventi che impauriscono le persone e mettono a repentaglio la pace nel mondo. Le mie speranze sono riposte nelle Nazioni Unite: spero che riesca a mantenere la pace nel mondo e a sconfiggere il terrorismo.

 

 

Testimonianze degli Hibakusha

 

“Molti anni fa mi diagnosticarono un cancro e fui operato. Ma l’obiettivo di costruire un futuro finalmente libero dalle armi nucleari mi aiuta ad affrontare le conseguenze dell’intervento e anche la cardiopatia.”Koichi Yasui (vittima della bomba di Hiroshima)

 

“Mi vedo ancora là, immobile nell’impotenza. Eppure quell’immagine dell’inferno a Hiroshima è stampata nella mia mente e non la dimenticherò mai. Come sopravvissuto della bomba atomica, credo sia mio dovere parlare a più persone possibile della distruzione che causano le armi nucleari.” Ryuma Miyanaga (vittime della bomba di Hiroshima)

 

“Una sola esplosione ha ucciso così tante persone e anche 60 anni dopo gli Hibakusha soffrono ancora gli effetti delle radiazioni. Amici, impegniamoci insieme per impedire che un orrore del genere venga ripetuto, per creare un mondo di pace libero da armi nucleari.” Hisako Kimura (vittima della bomba atomica di Hiroshima)

 

“Nel 1998 ho iniziato un’azione legale contro il Governo della Prefettura di Osaka e contro il Governo giapponese, chiedendo che si giudicasse illegale il loro rifiuto di fornire assistenza sanitaria agli Hibakusha che non vivono in Giappone. Il tribunale mi ha dato ragione; grazie al sostegno di molte persone, il Governo ha anche rinunciato ad appellarsi contro la sentenza alla Corte Suprema.” Kwak Kwi Hoon (coreano, vittima della bomba atomica di Hiroshima)

 

“Spero davvero che le persone di tutto il mondo riescano a capire come una sola bomba ha distrutto una città, spezzando in una frazione di secondo decine di migliaia di vite umane. Noi Hibakusha abbiamo cominciato a costituirci in associazioni 47 anni fa, perché crediamo sia nostro dovere impegnarci per mettere al bando le armi nucleari, far sì che non ci sia mai più un’altra Hiroshima, mai più un’altra Nagasaki.” Reiko Yamada (vittima della bomba atomica di Hiroshima)

 

“Ci appelliamo alle Superpotenze nucleari affinché inizino immediatamente i negoziati che portino a un trattato internazionale per l’eliminazione delle armi nucleari. Con convinzione e determinazione continueremo, insieme agli altri Hibakusha, a lottare per questo obiettivo.” Takamitsu Nakayama (vittima della bomba atomica di Nagasaki)

 

“Ogni anno muoiono da 7 a 8000 Hibakusha. Tra poco ce ne saremo andati tutti. Ma la sofferenza degli Hibakusha non dovrà essere dimenticata. Cosa ne sarà dei nostri figli e dei nostri nipoti? Il nostro problema, che la medicina moderna non è in grado di risolvere, durerà per sempre.” Hirotami Yamada (vittima della bomba atomica a Nagasaki)

 

“Abbiamo motivo di sperare. La creazione della bomba atomica e l’ordine di usarla furono conseguenza di decisioni umane. Sappiamo che anche l’eliminazione delle armi nucleari sarà frutto di una decisione umana. Gli Hibakusha non chiedono rappresaglie, anzi siamo contrari a qualsiasi idea di vendetta. So bene che chiunque abbia visto il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki non potrebbe mai desiderare che qualcun altro debba vivere lo stesso orrore.” Sueichi Kido (vittima della bomba atomica a Nagasaki)

 

“Non cerco né compassione né pietà. Se le donne e gli uomini del mondo si dimenticheranno la storia del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, la stessa tragedia potrebbe ripetersi. Credo che la nostra missione sia di trasmettere le nostre esperienze durante la guerra, sotto il bombardamento. E questa convinzione mi ha sempre dato la forza di andare avanti.” Hidetaka Komine (vittima della bomba atomica a Nagasaki)

 

“Gli Hibakusha vivono nella paura che i loro figli e nipoti nascano con difetti genetici causati dalla radioattività a cui furono esposti loro. Per questo, tutti gli Hibakusha si impegnano così tanto per far mettere al bando le armi nucleari. Sono un Hibakusha di seconda generazione e voglio raccontare al maggior numero possibile di persone questo nostro sincero desiderio.” Fumie Kakita (sopravvissuto di seconda generazione della bomba atomica di Nagasaki)

 

 

Hiroshima, una delle mostruosità dei vincitori

 

Da 'Tristano muore' di Antonio Tabucchi - Feltrinelli Editore 

 

“...sai invece quando tutto gli fu chiaro? Quando tutto pareva gia’ chiaro ed era gia’ finito, il sei agosto del quarantacinque. Alle otto e un quarto del mattino, se vuoi sapere anche l’ora. Quel giorno Tristano capi’ che il mostro ormai vinto stava lasciando il posto alle mostruosita’ deivincitori... era il secondo crimine contro l’umanita’ di questo allegrosecolo che sta finendo... quel mattino la prima atomica utilizzata come armadi distruzione di massa cadde su una citta’ del nostro mondo annientandoloed incenerendo duecentomila persone. Dico duecentomila, e tralascio lemigliaia morte dopo, e quelle nate morte, e tutti i cancri... e non eranosoldati, erano cittadini inermi che avevano commesso il delitto di non aver nessuna colpa... C’e’ un luogo, a Hiroshima, si chiama Gembaku Dom, e’ un padiglione, vuol dire Cupola atomica, fu l’epicentro dell’esplosione, in quel luogo la temperatura al suolo raggiunse lo stesso calore della superficie solare, vicino al cenotafio con la fiamma della pace c’e’ un pezzo di pietra, e’ la soglia della porta di un edificio, una normale soglia della nostre case, dove mettiamo lo zerbino per pulirci le scarpe. Dentro quella pietra, di marmo, mi pare, assorbita come una carta assorbente succhia l’inchiostro, c’e’ l’impronta di un corpo umano a braccia spalancate. E’ quello che resta del corpo di un uomo che si liquefece sulla soglia di casa sua alle otto e un quarto di quel sei agosto del quarantacinque... Se puoi, fai un viaggio, valla a vedere, e’ una visita istruttiva... e’ stato detto che quelle vittime furono inutili, la testa del mondo era gia’ stata schiacciata a Dresda e a Berlino, e agli americani per piegare il Giappone sarebbero bastate le armi convenzionali. E’ un errore, non furono affatto inutili, ai vincitori furono utilissime, in quel modo fecero capire al mondo che i nuovi padroni erano loro... la Storia e’ una creatura glaciale, non ha pieta’ di niente e di nessuno, quel filosofo tedesco che si suicido’ in una pensioncina di confine fuggendo da Franco e da Hitler e da tutti e forse anche da se stesso aveva riflettuto troppo su questa dama priva di pieta’ che gli uomini corteggiano invano, non gli deve aver giovato... nelle sue riflessione scrisse che davanti al nemico, se vince, neanche i morti saranno al sicuro... di qualsiasi nemico si tratti, aggiungerei, anche il nemico dei cattivi, perche’ per essere nemici dei cattivi non si puo’ fare i buoni, tu che ne pensi?... Capisco la tua obiezione, sono stato troppo sintetico, certo che se vinceva il male non c’era piu’ rimedio... ma del bene volevo dire che... insomma... il bene, ecco che il bene ha vinto sul male, solo che c’e’ un po’ di male di troppo in quel bene, e un po’ troppa imperfezione in quella verita’... La verita’ e’ imperfetta...” .

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