Rubrica di Giacomo Poretti (del trio Aldo, Giovanni e Giacomo) sui dieci comandamenti.7.La volta in cui Mosè capì male.
Ma come si fa? Ci deve essere stato un errore di dettatura o Mosè ha capito male. È acclarato che il Dio dell’Antico Testamento era più burbero e severo, ma questo divieto rasenta la crudeltà bella e buona. Come può un Essere infinitamente misericordioso, che ha fondato tutta la creazione mosso dall’amore, che ha fatto dichiarare a profeti, santi e illuminati che Egli prova uno smisurato amore per le sue creature, quello stesso essere innominabile, potentissimo, infinitissimo, e chi più ne sa più ne racconti, pretendere da noi miseri esseri umani una prova così grande?
Avevamo già ammesso da queste colonne, quanto sia difficile rispettare i precedenti comandamenti, in particolare il divieto della fornicazione, ma, arrivati al settimo comandamento, la nostra fede vacilla come sotto le scosse di un terremoto: «Non rubare». Ma come gli è venuto in mente?
E pensare che la maggior parte di noi esseri umani - devo dire con una spiccata predilezione per chi si occupa di cose pubbliche - considera il rubare come un atto fisiologico alla stregua del respirare, del digerire, del camminare. Tuttavia, per evitare di cadere nella trappola di un banale qualunquismo, dovremmo aggiungere che quella particolare attitudine fisiologica ad accaparrarsi cose che appartengono ad altri è caratteristica estesa anche ad altri ambiti quali la finanza, lo sport, la sanità, e via via in un interminabile elenco che comprende tutte le attività umane.
Il problema è che ora, in piena epoca di relativismo e di incertezze teologiche, si stanno affacciando ipotesi a dir poco inquietanti. Pare che per le prossime elezioni europee si stiano allestendo alcune liste elettorali che hanno come principali argomenti del programma i seguenti punti: abolire l’euro, la Tasi, la Tarsu e il settimo comandamento. Altre formazioni politiche stanno mettendo a punto un disegno di legge che prevede la depenalizzazione del reato di furto, e al suo posto l’introduzione del reato di flatulenza, con la possibilità di modulare le pene e di comminarle più dure se il reato viene commesso in pubblico e più lievi se il reato viene commesso entro le pareti domestiche.
Del resto si vocifera che i sacerdoti di tutte le diocesi si stiano lamentando perché nel sacramento della riconciliazione il peccato di furto non viene più nominato: l’ultima volta che un fedele ha chiesto la remissione del peccato di furto risale al 1948.
Giacomo Poretti
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