«I diritti dei figli di tutti, prima di tutto»!

Al ritmo di «Love is love», la società cambia: nuove coppie, nuovi figli. «Padre» e «madre» nei documenti risultano due personaggi ingombranti, poco inclusivi e così... zacchete. Via loro, entrino i «genitori».

«I diritti dei figli di tutti, prima di tutto»!

 

Sic stantibus rebus…

Prossime mosse della Francia di Hollande, dopo la legge Taubira: ideologia di genere, fecondazione assistita per tutti, uteri in affitto, (ri)educazione politically correct. (Nessuno si scandalizzi: aspettate che in Italia passi la legge contro l’omofobia grazie all’inerzia di chi lascia fare, e l’escalation sarà uguale).

Intanto, al ritmo di «Love is love», la società cambia: nuove coppie, nuovi figli. «Padre» e «madre» nei documenti risultano due personaggi ingombranti, poco inclusivi e così… zacchete. Via loro, entrino i «genitori».

Etimologicamente non funziona, ma per la dittatura del relativismo, maestra nel distorcere la realtà, non è questo che conta: il termine è sufficientemente generico, indistinto, andrà benissimo. Dentro, ci puoi mettere solo una donna o magari due, o un maschio e una femmina sposati, conviventi, ognuno a casa propria. Oppure due maschi, perché no. Oggi questo, domani chissà che “genitori” si inventeranno…

«I diritti dei figli di tutti vengono prima di tutto» continua a ripetere Camilla Seibezzi, delegata per i diritti civili, le politiche contro le discriminazioni, la cultura Lgbtq al Comune di Venezia, balzata agli onori della cronaca per la proposta di rendere la modulistica in linea con il gender pensiero. «Le parole sono importanti perché diventano prassi e entrano nella vita di tutti i giorni», spiega. «Abbattere gli stereotipi e valorizzare i diritti civili si può e per farlo è necessario cominciare dal basso, con azioni politiche che incidano sulla pratica quotidiana». Cominciare dal basso, significa per caso iniziare dai bambini?

«Non so chi sono le mie due mezze mamme perché sono figlio di un ovulo e di un grembo di due donne diverse che mi hanno generato – loro sì –, ma che non finiranno mai nei miei documenti perché mi hanno fatto su commissione e poi mi hanno venduto. Altri si prenderanno cura di me: quelli che mi hanno ordinato, prenotato, acquistato e qualcosa si dovrà pur scrivere su questi moduli perché io sembri uguale ai miei coetanei…».

Pèso el tacòn del buso, si dice a Venezia. Per figli fabbricati così, la frittata è fatta. Cosa vuoi che se ne faccia, un bambino, di parole-matrioska, se a mancargli per tutta la vita è un pezzo di sé: una mamma o un papà di carne!?

 

Sic stantibus rebus…

Sta girando uno spot-cartoon dei radicali, per la liberalizzazione delle droghe leggere. Non mi addentro. Vorrei solo che qualcuno contasse le volte in cui si parla di soldi e le volte in cui si parla dei giovani. Fatelo. Un modo come un altro (e ce ne sono a bizzeffe) per capire quali sono oggi le priorità. Dei giovani, dei rischi che corrono, del loro bene (vero) non frega niente a nessuno.

 

Sic stantibus rebus…

La società cambia vorticosamente, disordinatamente, alla rincorsa di nuovi desideri da esaudire, di nuovi sballi da provare, di nuove frontiere da superare. E gli adulti che fanno?

Incapaci di dire se è bene o è male, i cambiamenti li fotografano, li registrano, li rendono norma. Come quando aumenta il tasso di inquinamento e anziché trovare soluzioni si alzano i parametri di guardia.

Non ci sono mai state generazioni come questa. Siamo la prima e non c’è da vantarsi.

I nostri genitori – i nonni dei nostri figli – ci dicevano che drogarsi è male, senza se e senza ma. Perché la strada della felicità è un’altra; perché ci sono altri modi per stare bene da soli e in compagnia, per affrontare le situazioni difficili, o il dolore, o lo stress. Lo dicevano e lo testimoniavano con la vita. E noi li seguivamo.

Si discuteva, si baruffava, ma non si metteva in discussione il ruolo dei genitori all’interno della famiglia: padri e madri, pur con i loro limiti e le loro fragilità, avevano la certezza della differenza e della complementarietà della loro funzione educativa.

I primi uteri “prestati” (la sorella che partorisce per la sorella ed è zia-madre del nipote-figlio… la madre che tiene in grembo il nipote-figlio che sarà fratello-figlio della figlia…) erano considerati aberrazioni dalla stragrande maggioranza della popolazione femminile e maschile. Come nei casi in cui la fecondazione artificiale ha soddisfatto i desideri letteralmente contro natura di donne sulla soglia dei sessant’anni. Il buon senso aveva la meglio perché – allora sì «i diritti dei figli di tutti, prima di tutto»! – il primo pensiero era per quei bambini trattati come robe: oggetti dei desideri capricciosi di adulti egoisti.

Anni fa era così. Come per un sapere antico non imparato sui libri ma scritto nel cuore. La catena delle generazioni è un filo che si dipana nel tempo e l’albero genealogico una sicurezza per chi entra nella vita come parte di una storia che conosce e che lo riconosce.

Mica si era perfetti, ma c’era la consapevolezza di ciò che è bene e di ciò che è male. Errori (peccati) tanti, ma si cercava di non perseverare. Si cadeva, ci si rialzava, ci si rimetteva fiduciosi in cammino riprendendo la strada.

Ora no.

Gli adulti hanno gettato la spugna e si adeguano. Paura di essere considerati retrogradi.

Anche certi pastori tentennano. Su questi argomenti glissano, non si pronunciano. Come a sottointendere che anche la Chiesa prima o poi dovrà decidersi a mettersi al passo coi tempi. Quando il popolo cristiano resta senza guide, segue la strada dell’imbonitore più bravo.

Crede che la legge contro l’omofobia sia per tutelare gli ultimi – come dice il Vangelo.

Crede che sostituire «madre» e «padre» con «genitore» sia per non fare soffrire i bambini che hanno perso la mamma o il papà.

Crede che un po’ di droga, in fondo, cosa vuoi che faccia: so’ ggiovani! E che, legalizzandola, ci saranno davvero, come dicono, più soldi per ospedali e asili nido…

 

Sic stantibus rebus…

Io lo so che è difficile educare; anche se stessi, figuriamoci i figli propri o quelli degli altri. Ma da sempre, per crescere, prima che di soldi, di istruzione, di lavoro, c’è stato bisogno di maestri e di testimoni. Di guide.

Questo son sempre stati gli adulti; questo vogliamo che continui ad essere la Chiesa. Non gente che pilatescamente si lava le mani di fronte alla storia, ai suoi cambiamenti, alle intemperanze degli esseri umani. Gente che le mani se le sporca, acanto a chi è in cammino. E le usa per indicare la strada.

 

 

Luisella Saro

http://www.culturacattolica.it

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