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I forzati del corpo

Ti guardi allo specchio e che cosa vedi? C'è chi vede il corpo e l'anima, insieme. Molti, moltissimi vedono appena il proprio corpo. E di quel corpo vedono quasi soltanto i difetti, le imperfezioni, le incongruenze rispetto al modello ritenuto vincente, all'unico corpo ideale capace di essere strumento per la conquista della felicità.


I forzati del corpo

da Attualità

del 17 maggio 2011

 

 

          Ti guardi allo specchio e che cosa vedi? C’è chi vede il corpo e l’anima, insieme. Molti, moltissimi vedono appena il proprio corpo. E di quel corpo vedono quasi soltanto i difetti, le imperfezioni, le incongruenze rispetto al modello ritenuto vincente, all’unico corpo ideale capace di essere strumento per la conquista della felicità. C’è poi chi si guarda allo specchio e inorridisce.           Sono i dismorfofobici, parola difficile che racchiude coloro che hanno il terrore di essere deformi. Al recente congresso della Società italiana di medicina estetica, Nicolò Scuderi, docente di Chirurgia estetica all’Università La Sapienza di Roma, ha affermato che i dismorfofobici sono il 10 per cento di chi si fa operare, ma essendo assai assidui rappresentano quasi il 30 per cento degli interventi totali.«Cominciano, e non riescono più a smettere».          Una nuova forma di dipendenza, dunque. Sono i tossici del lifting e del botulino, i drogati della liposuzione e del bisturi. Talmente concentrati sul proprio corpo, da non esserne mai pienamente soddisfatti. Loro sono gli estremisti. Ma dietro di loro avanza, o arranca, un esercito di uomini e donne – soprattutto giovani e femmine sono, per Scuderi, le dismorfofobiche – che nella propria legittima, avventurosa, esasperata ricerca della felicità si affidano solamente al corpo.          La tendenza ha origine remote. Nel 1983 il sociologo Sabino Acquaviva pubblicava uno studio esemplare, In principio era il corpo, nel quale spiegava: al tramonto delle ideologie, delle idee, dei valori, l’umanità orfana e incerta e insicura arretra e si affida a ciò che sicuramente possiede, il proprio corpo. A forza di arretrare accade che ti guardi allo specchio, sorridi e che cosa vedi? Alcuni, per fortuna, vedono un sorriso, un moto dell’anima, una traccia di gentilezza, un segnale di bontà. Altri, troppi, vedono delle pieghe nella carne. Da correggere. Rughe. Da eliminare. Imperfezioni. Da tagliare e gettare fino a rendere il proprio viso inespressivo come quello di una bambola di cera.          Il rischio, che nessuno osa denunciare, è che dai e dai assieme al volto diventi inespressiva pure l’anima. Il rischio è l’effetto gregge: uomini e donne che tendono spasmodicamente ad assomigliarsi, non solo esteriormente – stessi nasini affilati, stesse labbra carnose, stessi fianchi affusolati, stesso seno pietrificato che sfida la forza di gravità puntando irresistibilmente verso l’alto – uomini e donne con la stessa anima atrofizzata, inodore e insapore. Tanto pare non serva a nulla. Le idee? Quando sei inquadrato – da una telecamera o da un occhio umano poco importa – è il viso gommoso che conta, la smorfia con cui lo rivesti; e se non lascia trasparire l’anima, meglio… Così ci fan credere.          È tutto sbagliato. Un viso espressivo, un corpo armonioso magari proprio per la miscela di “imperfezioni” parlano di un’anima interessante, ricca, bella. Ma chi punta tutto e soltanto spasmodicamente sul corpo si condanna alla prigione di uno stato ansioso perenne. I dismorfofobici, avanguardia “screativa” ed emergente di un esercito di forzati dell’apparenza, sono controllabili, manovrabili, manipolabili, al contrario degli “immergenti” e creativi del corpo e dell’anima abbracciati e sereni. In principio era il corpo, ammoniva Acquaviva. Alla fine resteranno le maschere, le smorfie cristallizzate, i manichini. Non uomini interessanti per la loro unicità, ma un gregge di automi, di forzati felici di star dentro la galera, a remare al ritmo di un tamburo che non sono loro a battere. 

Umberto Folena

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