I figli imparano più fuori casa che in famiglia, più dai coetanei che dai genitori. Insomma, i genitori conterebbero sempre meno: la crescita buona o meno buona dipenderebbe non già da essi, ma dal codice genetico dei figli e dai compagni. Che dire?
Alcuni anni fa la psicologa Judith Rich Harris ha messo in circolazione un libro (“Non è colpa dei genitori”, Mondadori, Milano, 2000) che continua a far discutere. In esso la psicologa americana sostiene che, ormai, i figli imparano più fuori casa che in famiglia, più dai coetanei che dai genitori. Insomma, i genitori conterebbero sempre meno: la crescita buona o meno buona dipenderebbe non già da essi, ma dal codice genetico dei figli e dai compagni. Che dire? Ha ragione la Harris?
Non c’è dubbio che nella formazione della persona umana intervengono più fattori: due di questi sono, appunto, il fattore ereditario e l’ambiente in cui ci si viene a trovare.
Nell’adolescenza, in particolare, il fattore ‘gruppo’ è fondamentale: in esso il ragazzo si sente protetto, deresponsabilizzato, fino a perdere, talora, la propria identità e ad assumere un ‘io’ collettivo.
Dunque il libro di cui stiamo parlando ha, indubbiamente, una funzione positiva: serve a liberare i genitori da sensi di colpa, quasi che un eventuale fallimento educativo dipenda totalmente da essi. Il che non è affatto vero: ogni essere umano dipende anche dalla propria libertà, dalla propria coscienza! Persino alla scuola del massimo educatore Gesù, vi è stato un Giuda!
Il cardinale Carlo Maria Martini si domanda:“è forse colpa della sorgente se il corso del torrente si perde nel pantano?”.
Fin qui, perciò, possiamo essere d’accordo con il libro“Non è colpa dei genitori”. Però in esso vi è un risvolto che può essere grave e pericoloso.
Può essere grave e pericoloso perché può portare i genitori a smettere di fare i genitori; può fornire un comodo alibi ai padri ed alle madri per cessare di riflettere sul loro ruolo. Secondo noi, ancor oggi, i genitori lasciano una traccia nella vita del figlio: i genitori formano o deformano il figlio che non può sottrarsi ad essi soprattutto nei primi anni della vita che impiantano lo zoccolo duro della nostra personalità.
Ripetiamo, è vero: la libertà, l’eredità e l’ambiente hanno una loro incidenza, ma il primo ambiente, il primo gruppo con cui il bambino viene a contatto è quello familiare: questo è il contatto-radice che ha il potere di costruire o demolire, in modo indelebile, l’io del bambino.
Dello stesso nostro parere era Marcello Bernardi, uno dei massimi competenti in materia del secolo scorso.
Bernardi metteva in guardia i genitori dal “cercare facili scappatoie” fornite da libri come quello della Harris che possono portare alla rinuncia dell’educazione stessa! Quale la conclusione del poco detto?
La più razionale sembra questa: ammesso pure che le dotazioni native e le influenze ambientali abbiano il loro peso, da parte nostra cerchiamo di fare tutto il possibile per educare al meglio i figli. Fino a questo momento non si è ancora trovata una strategia migliore per educare un uomo che una coppia di bravi genitori. Sono essi che – lo vogliano o non lo vogliano, lo sappiano o non lo sappiano – ‘firmano’ i figli. Anche il genitore che decide di non educare, lascia la sua impronta.
Insomma, all’educazione non si scappa!
Avere un figlio significa essere incastrati!
Ancor oggi continua ad avere ragione lo psicologo-pedagogista americano John Powell quando dice: “In certi casi può sembrare spaventoso, ma il nostro destino è nelle mani dei genitori”.
Nelle mani dei genitori perché (è ancora lo stesso studioso che prosegue): “Al termine dei primi sette anni di vita, il bambino è già formato in maniera pressoché definitiva”.
Altro che inutili i genitori!
I genitori patentati
Prima di parlare chiedono il permesso all’esempio.
Sono presenti, ma non pesanti.
Tacciono o setacciano.
Si divertono anche ad educare.
Non rigano l’anima del figlio con parole invalidanti.
Danno più calore che calorie.
Non mandano il bambino a letto: lo accompagnano.
Sono il 50% testa e il 50% cuore.
Non forzano mai la mano.
Sanno che il loro nervosismo aumenta il volume delle urla del bambino.
Citazioni d’autore
“I bambini d’oggi sembra sappiano tante cose, e le sanno, ma sotto il bambino tecnologico c’è quello eterno che non può vivere senza l’affetto e l’amore di qualcuno” (Mario Lodi, maestro).
“Un sorriso fa fare il doppio di strada di un brontolio” (Baden Powell, fondatore dello scautismo).
“Saper parlare è un dono di molti. Saper tacere è saggezza di pochi. Saper ascoltare è generosità di pochissimi” (Nino Salvaneschi, scrittore).
“La cosa più importante che un uomo possa fare per i suoi figli è amare la loro madre” (Winston Churchill, uomo politico inglese).
“Quando gli uomini smettono di dire cose belle, smettono anche di pensarle” (Oscar Wilde, scrittore inglese).
“I genitori troppo morbidi sono quelli che fanno le peggiori ingiustizie ai figli” (Gaspare Barbiellini Amidei, scrittore).
“Tutte le volte che fate al figlio una cosa che lui può fare da solo, gli rubate un pezzo di vita” (Jean Piaget, psicologo svizzero).
Ci guardano
I figli ci guardano quando predichiamo acqua e poi beviamo vino.
I figli ci guardano quando diciamo di essere pacifisti e poi, per una stupidaggine, litighiamo con il vicino.
I figli ci guardano quando diciamo di amare la loro madre e poi ci sentono urlare perché la bistecca è dura.
I figli ci guardano quando compriamo le riviste ecologiche e poi gettiamo a terra il pacchetto di sigarette vuoto.
I figli ci guardano quando esaltiamo la sincerità e poi ci vendiamo per la carriera.
I figli ci guardano andare in chiesa la domenica e poi ci sentono bestemmiare il lunedì.
I figli ci guardano quando diciamo che nella vita conta solo l’amore e poi viviamo per il sesso e il denaro.
Teniamo presente lo sguardo muto dei figli, il loro muto giudizio: ci può risparmiare tante nefandezze!
Pino Pellegrino
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