I maestri e quel bene che rimane

Tre episodi apparentemente lontani per ricordare che la nostra vita può avere il dono di incontrare maestri.

Pochi giorni fa, per festeggiare gli 80 anni di una docente universitaria italo-canadese, alcuni amici ed ex colleghi di Toronto (dove ci sono ancora restrizioni nell’organizzazione di eventi) si sono presentati a casa sua, per farle gli auguri, per starle vicino (la professoressa è vedova da qualche anno), per donarle un Festschrift ˗ ossia un volume miscellaneo in onore di una personalità accademica ˗ a cui stanno lavorando da anni. Il libro in questione è in realtà composto da due volumi, poiché in tanti hanno risposto all’invito a collaborare come segno di amicizia per la destinataria. Nel momento della consegna, c’è stata una chiamata zoom con amici, colleghi, discepoli, qualche lontano parente, unendo Canada, Stati Uniti, Italia, Irlanda, Argentina, Inghilterra: più di 50 persone connesse, per salutare la professoressa, ringraziarla, esprimerle affetto e riconoscenza. Parole sentite e commosse si sono levate in quella conversazione online, insieme a gratitudine viva e sincera, in cui si riconosceva non solo il valore scientifico della ricerca e dell’insegnamento svolti per molti anni dalla docente in un’Università prestigiosa, ma soprattutto erano ricordati e confermati i suoi tratti di umanità, di disponibilità, di umiltà, di discrezione, di gentilezza. Doti unanimemente trovate in lei, sempre, facendone una vera Maestra, fino al racconto di episodi che, nel ricordare, erano ricorrenti, come quella volta in cui un allora giovane allievo chiese, dall’Inghilterra, delle fotocopie urgenti di un libro custodito a Toronto e l’Ordinaria, con grande e rara disponibilità, si era mossa subito per farle (stessa cosa capitata a me qualche anno dopo, dall’Italia).
Un momento di vicinanza e sincero affetto, che testimoniava quanto il bene fatto dalla docente fosse stato riconosciuto, senza dimenticanze, senza ipocrisie.

Pochi giorni prima, ad Asiago, partecipavo a un convegno dedicato a Mario Rigoni Stern, nel centenario dalla nascita. Oltre gli interventi accademici e le testimonianze dei relatori, mi ha colpito, pure in quel caso, l’affetto e la stima grata verso lo scrittore, testimoniato dai trecento partecipanti tra il pubblico del teatro dove si svolgeva il convegno, dai numerosi non ammessi per motivi di spazio e, soprattutto, dai ventimila contatti online che hanno seguito la diretta dei lavori per due giorni. Anche qui ho toccato con mano quanto la lealtà, l’onestà, l’umanità di un uomo, che trasparivano anche nei suoi scritti, venissero ricordate, apprezzate, muovendo le persone per centinaia di chilometri, quasi volendo esprimere anche fisicamente quel ‘grazie’ che tutti condividevano a un Maestro sobrio e appartato, ma da tanti ascoltato e apprezzato.

Ultimo episodio, più noto: a settembre Enzo Bianchi, su twitter, pubblica una foto con dei peperoncini ripieni, ammettendo la solitudine del momento e ‘invitando’ coloro che lo seguono ad andarlo a trovare, per condividere la tavola e il dialogo. Subito migliaia di persone, secondo quanto dichiarato dal fondatore di Bose, hanno risposto, dimostrandosi disponibili alla visita, pronti all’amicizia: anche in questo caso, un’onda di gratitudine verso un Maestro a cui, anche se indirettamente, molti devono molto.

Si ripete spesso che il nostro tempo registra la carenza di padri e madri, e quindi di maestri. Eppure, quando si incrocia un maestro o una maestra, per diretta conoscenza o da lontano, ancora il cuore si mette in marcia, ancora sa distinguere, ancora sa fermarsi e dare fiducia. È la dinamica dell’essere umano, che è (anche) costituito dagli incontri che fa. I maestri ci restituiscono a noi stessi con più profondità, più conoscenza, più umanità; ci rimettono sulla strada, infondono coraggio, seminano il bene, che rimane. Dovremmo avere sempre nel cuore spazi di gratitudine per i maestri.

Dai loro frutti li riconoscerete: da Toronto ad Asiago a Torino…


di Sergio Benedetto

tratto da vinonuovo.it

 

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