I parassiti dell’anima che ci fanno perdere la gioia

Non sono io con la mia forza di volontà a far andare avanti le cose…

I parassiti dell’anima che ci fanno perdere la gioia

 

padre Carlos Padilla, tratto da aleteia.org

 

Non sono io con la mia forza di volontà a far andare avanti le cose…

 

Perché se desidero essere totalmente libero finisco per cedere e divento schiavo? Come può essere che la mia vita, le mie azioni e i miei pensieri non siano perfetti come li sognavo? La vita che sostengo tra le dita è così debole…

Come può marcire la pianta che ho curato con tanto impegno? Troppa acqua, troppo poca? Una pianta muore raramente per il fatto di ricevere poca acqua. Spesso imputridisce quando ne ha troppa.

I miei peccati pesano forse di più, molto di più, delle mie buone azioni. Almeno mi sembra che pesino molto nell’anima, nel mio corpo, come una grande lastra che non riesco ad allontanare dai miei pensieri.

Com’è possibile che la mia volontà sia così debole e che non riesca a resistere alla tentazione che suscita in me?

La colpa si inoltra come una marea nell’anima. Come una nebbia grigia che nasconde tutto. Non riesco a vedere il passo successivo per l’oscurità della colpa che mi acceca.

 

Vorrei essere esente da ogni colpa, vivere privo di qualsiasi mancanza o peccato, come un uomo perfetto, saggio e immacolato.

Vorrei fare bene tutto ciò che provo a fare, controllare tutto. Il mio animo, i miei gesti, i miei movimenti, le mie parole, i miei silenzi. Anche quello che penso o sento. Non funziona.

Il silenzio che cerco non mette a tacere le mie grida. La pace che tanto desidero non placa la mia rabbia. Cado inesorabilmente nella corrente del peccato e della trascuratezza, della tiepidezza e della mediocrità, dell’oblio e della paura.

È come se venissi portato come un automa dove non voglio andare, dove mi sento così infelice da non riuscire a tenere dentro di me rabbia e tristezza.

Come riuscire a spezzare quella catena di dolori che mi imprigiona lentamente il corpo e l’anima? Dice la Bibbia: “Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev’essere manifestata a nostro riguardo”.

 

È la sofferenza dell’esperienza della propria debolezza, della corrosione che produce il peccato nella mia anima, della povertà che sperimento non essendo padrone della mia vita.

 

Tutta questa sofferenza che porto sulle spalle non è nulla se la paragono al Cielo, a quello che sogno alla fine del cammino, alla pace che avrò varcando la porta santa della vita. Leggevo giorni fa:

“Il peccato consiste fondamentalmente nell’autoaffermazione dell’essere umano, che si chiude nel proprio potere per assicurarsi contro Dio e di fronte al fratello”.

La mia debolezza mi porta ad autoaffermarmi. Valgo più di quel Dio che amo tanto. Valgo più dei sogni che ho nell’anima. Valgo di più, è più potente la terra che racchiudo nella mia anima.

Solo Dio ha l’ultima parola sulla mia vita. Non sono io con la forza di volontà a far crescere i miei semi, la vita che ho nell’anima, il cammino santo che voglio percorrere. No, devo lasciarmi “fare” da Dio.

 

“Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, affinché dia seme al seminatore e pane da mangiare, così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata”.

La Parola di Dio viene sulla terra della mia anima per renderla feconda.

Ma vedo tanta durezza, tante piante che offuscano la luce del sole, tanta secchezza e tanta povertà. Nulla di positivo sembra poter uscire dalla mia terra malata. Solo il peccato, e quella catena peccaminosa che si lega all’anima e la fa ammalare lentamente.

Giorni fa mi hanno parlato della piaga del vischio sugli alberi. Un albero del mio giardino lo aveva. Sembrava una pianta inoffensiva.

Gli uccelli si nutrono del frutto del vischio, e defecando depositano i semi sui rami. Il vischio germina sui rami e si sviluppa. Bisogna tagliare la pianta che sembra inoffensiva perché l’albero non muoia.

 

Succede anche nella mia vita. Qualcosa in me inizia a crescere con forza. Sembra inoffensivo. Faccio qualcosa che è positivo, non negativo. È bello, non brutto. Può essere un rapporto, un compito che mi sembra positivo.

Presto, però, comincio a vedere degli effetti negativi. Perdo la pace, o la forza. La mia energia si indebolisce. O è tossico quello che sembrava inoffensivo. A poco a poco mi toglie la vita, senza che me ne renda conto.

Può essere un rapporto che non mi fa bene, o un incarico che mi viene affidato e mi esaurisce senza che me ne renda conto. O un’esigenza che sembra legittima ma mi toglie la gioia e la pace.

Forse devo eliminare quello che non mi fa bene anche se è apparentemente buono e prezioso. Quelle piante sono parassiti che vivono della vita dell’albero. Posso avere dei parassiti che vivono della vita della mia anima, e questo mi indebolisce.

Il giardino interiore della mia anima si secca, si esaurisce, sotto il peso dei compiti che superano la mia capacità. E perdo la gioia e la speranza.

Credo di poter fare tutto, ma affogo nella notte delle mie paure e dei miei dolori. Quanto pesa il peccato, quanto pesa la trascuratezza in cui mi racchiudo!

Ho bisogno che Gesù sia il giardiniere della mia vita. La sua parola deve annidarsi nelle pieghe della mia anima.

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