Il racconto di una servizio civilista sull'uscita formativa vissuta il 22-23 novembre nei luoghi salesiani
Ho trascorso, lo scorso 22/23 Novembre, due giorni a Torino insieme ad una sessantina di persone a cui mi accomunava solo una scelta fatta mesi prima: fare un anno di servizio civile con i Salesiani. Certo, con qualche ragazza avevo parlato agli incontri di formazione che avevamo già fatto, ma lo spirito con cui sono salita sul pullman, con la prospettiva di molte ore di viaggio e di due giorni interi con dei semi sconosciuti, ecco…non era dei più entusiasti.
Un barlume di speranza ha cominciato ad accendersi prima di tutto al tanto desiderato annuncio “siamo quasi arrivati” ma soprattutto dalla vista del Colle Don Bosco, la nostra meta, il luogo dove era cominciato tutto, dove era cominciato quel sogno di cui noi adesso facevamo parte. Mi sono sentita piccola in quello spazio che sembrava non avere una fine: il Santuarietto, la Basilica, ma ciò che più mi ha colpito era che il mio sguardo non aveva ostacoli, non c’era nulla di artificiale che nascondesse o deformasse, era tutto alla luce del sole.
Divisi in due gruppi, abbiamo visitato la casa di Don Bosco, era così strano pensare di trovarsi nel luogo esatto dove lui aveva fatto quel sogno che gli avrebbe cambiato la vita. Per me è sempre spiazzante realizzare che anche queste persone, che noi ora vediamo come dei punti di riferimento, sono state piene di dubbi e insicurezze, o hanno creduto di non potercela fare. Un po’ come mi sono sentita io in alcuni momenti del mio servizio civile, un po’ come tutti noi che eravamo lì…Abbiamo visto anche la Basilica, che a primo impatto ci ha un po’ intimorito, perché trovarsi davanti un enorme Cristo in legno che sembra possa cadere in avanti da un momento all’altro, beh, fa il suo effetto, la nostra guida ci ha poi spiegato il significato dei vari dipinti che si trovavano all’interno della chiesa, e dopo aver visto anche lo spazio dedicato a Domenico Savio ci siamo ricongiunti con l’altro gruppo.
Quando cerco di spiegare a qualcuno che cosa faccio di preciso a Servizio Civile non riesco mai ad esprimermi come vorrei, forse perché “di preciso” non c’è mai stato nulla, e per questo è stato ancora più rincuorante parlare con gli altri ragazzi di come stava andando finora la nostra esperienza, degli aneddoti divertenti, delle figuracce. Facciamo il nostro servizio in città diverse, in contesti diversi, ma è come se parlassimo la stessa lingua, la lingua di chi sta vivendo con i giovani, questi “giovani di oggi” tanto messi all’angolo, ma che per noi in pochi mesi sono diventati parte integrante delle nostre giornate.
Man mano che le ore passavano cresceva la nostra curiosità per quella che nel programma era stata indicata allusivamente come “serata allegra”, organizzata dai ragazzi di Mestre, e che si è rivelata uno dei momenti più belli, pur non essendo strettamente legata alla formazione. Era come se fossimo tornati ragazzi anche noi, e a posteriori mi sembra così strano l’essermi sentita totalmente a mio agio con tutte quelle persone che conoscevo appena, la maggior parte più grandi di me, eppure la serata è volata e si è concluso il primo giorno, non troppo malvolentieri in realtà, perché la sveglia per la mattina dopo era puntata per le sei e mezza. La direzione questa volta era Valdocco, dove si era concretizzato quel sogno che Don Bosco aveva fatto, e di nuovo ho provato quella sensazione di sicurezza quando mi sono trovata lì. Ho cercato di immaginare le stanze per cui stavamo passando risuonare delle risate dei ragazzi, delle loro voci squillanti, dei loro passi affrettati. Ho cercato di immaginare i “miei” ragazzi, quelli che da quasi tre mesi vedo ogni giorno, in quel luogo che aveva dato vita a tutto. Don Emanuele ha celebrato la messa, e forse proprio perché eravamo tutti insieme, solo noi, lo ricordo come uno dei momenti in cui mi sono sentita nel posto giusto.
Non era solo il fatto di aver visto di persona i luoghi della vita di Don Bosco o di conoscerne meglio la storia, c’era qualcosa di più, c’era un senso in quello che facevamo e che avremmo fatto già dal giorno dopo. Sì, perché nel viaggio di ritorno più di qualcuno ha detto scherzando che domani, invece di riposarci, ci sarebbe toccato tornare alle nostre mansioni, ma è stato lì che ho capito che non sarei tornata (nel mio caso al Ciofs di Padova) come ero partita.
Non so se è già arrivato il “tempo in cui tutto comprenderai”, a volte mi sento ancora alla deriva e non in grado di donare il mio tempo, la mia energia, la mia passione ai ragazzi come vorrei. Ma sento come di aver fatto ordine nella mia mente e nel mio cuore, riesco a vedere più lontano e a sentire vicine le altre persone che come me stanno intraprendendo questa esperienza di servizio civile che dicono cambi la vita. Se sia vero lo saprò dire a settembre, ma vorrei concludere con una frase che mi è rimasta impressa e in cui trovo il senso generale di ciò che ho fatto ieri e che farò domani: “l’educazione è cosa di cuore”.
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Iris Da Rold
Mercoledì 22 e giovedì 23 novembre ho avuto l'opportunità, insieme ad altri sessanta ragazzi tra i 18 e i 28 anni che quest'anno hanno scelto di vivere l'esperienza del servizio civile universale, di visitare i luoghi di Don Bosco. Personalmente non ero mai stato al Colle, mentre a Valdocco solo una volta, di passaggio, una decina di anni fa.
Ho sempre frequentato l'oratorio della mia parrocchia, in cui insieme alla mia ragazza sono educatore di un gruppo di adolescenti da ormai otto anni, ma non ho mai conosciuto la figura di Don Bosco o vissuto esperienze con i Salesiani. Per me è stato come entrare in un mondo nuovo, con la sua storia e il suo stile ben definito.
Appena arrivato al Colle sono stato colpito dalla grandezza della Basilica di Don Bosco e dalla pace che si respirava in quel luogo. La cornice delle Alpi all'orizzonte e i colori dei boschi attorno al Colle sembravano sposarsi perfettamente con l'ambiente. I luoghi come la casetta, la Chiesa e il piccolo Santuario mi hanno sorpreso per la loro semplicità e la loro bellezza. Il giorno dopo siamo partiti per Torino in direzione Valdocco dove abbiamo visitato la Chiesa intitolata a Maria Ausiliatrice e il primo oratorio. Giungere in quei luoghi per me che sogno di diventare un insegnante e di restare un educatore è stato un po' come arrivare a La Mecca.
Sono rimasto affascinato dalla figura di Don Bosco, dal suo amore per i ragazzi e dalla sua fede. Il suo stile mi è fin da subito parso buono e mite. Tutto questo si poteva percepire che non era rimasto nella storia, ma che era stato trasmesso ad altre persone e che aveva portato molto frutto. In poco tempo mi sono reso conto che avevo trovato un modello a cui rifarmi e uno stile che avrei voluto imitare nella mia esperienza educativa a scuola e in oratorio.
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Marco Guzzo
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