Guardando a San Francesco di Sales, San Filippo Neri, Sant'Alfonso Maria de' Liguori, San Vincenzo de' Paoli, comprendiamo meglio l'impegno educativo di San Giovanni Bosco.
del 28 gennaio 2013
La dolcezza riflesso della bontà di Dio
Colui che più di tutti ha influito sulla sua formazione sacerdotale e che ha ispirato la sua missione è stato San Francesco di Sales. Già dal Seminario ha potuto averlo come modello. Infatti alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, nel maggio del 1841, Don Bosco scriveva: «La carità e la dolcezza di San Francesco di Sales mi guidino in ogni cosa». La conoscenza di questo santo si sviluppa al Convitto Ecclesiastico e nell’ambito delle opere della Marchesa di Barolo, la quale aveva fatto dipingere l’immagine di San Francesco di Sales all’entrata dei locali destinati ai sacerdoti che lavoravano all’Opera Pia del Rifugio. Ella aveva in animo di fondare una congregazione di preti sotto questo titolo. Forse per questo Don Bosco dedicò l’Oratorio nascente a San Francesco di Sales, e scrisse, nel primo regolamento che conosciamo, risalente agli anni 1851- 1852: «L’Oratorio è posto sotto la protezione di San Francesco di Sales, perché coloro che intendono dedicarsi a questo genere di occupazione devono proporsi questo Santo per modello nella carità, nelle buone maniere, che sono le fonti da cui derivano i frutti che si sperano dall’Opera degli Oratori». L’insegnamento di San Francesco di Sales, che troviamo nelle sue opere più note, ha permeato l’animo di Don Bosco che da lui ha conosciuto la «vera devozione». Essa consiste nell’amore di Dio e nell’amore del prossimo, un obiettivo perseguibile da tutti i cristiani con l’assolvimento dei doveri del proprio stato.
Voglio farmi santo!
La famosa predica sulla santità, che contagiò Domenico Savio tanto da volersi fare santo, è legata alla convinzione di San Francesco di Sales, che la santità è raggiungibile in ogni stato di vita e che è facile farsi santi. L’unica condizione è che lo si voglia: «Di quante cose, dunque, abbiamo bisogno per farci santi? Di una cosa sola: bisogna volerlo. Sì: purché voi vogliate, potete essere santi. Non vi manca altro che il volere. Gli esempi dei santi, la cui vita ci accingiamo a porre sotto i vostri occhi, – scriveva San Francesco di Sales – sono di persone che hanno vissuto in condizione bassa, e tra i travagli di una vita attiva. Operai, agricoltori, artigiani, mercanti, servi e giovani, si sono santificati facendo bene tutto ciò che dovevano fare». Don Bosco era persuaso che con la bontà avrebbe condotto le anime a Dio. È significativo che abbia composto per la Marchesa di Barolo, allora penitente di Don Cafasso, L’Esercizio di divozione alla Misericordia di Dio (1847). Don Bosco parlava in quelle pagine dell’«amorevolezza» con cui Dio accoglie il peccatore e usava per la prima volta quella espressione che gli sarà carissima e che diventerà così salesiana. Dio è un «padre così amoroso» che perdona i peccati più gravi e fortifica l’uomo debole e peccatore col suo Corpo e col suo Sangue, preservandolo così dagli assalti del demonio. Colpisce in quest’opera giovanile di Don Bosco il rilievo accordato alla confessione e alla comunione, le colonne del suo edificio educativo.
La morale della misericordia
Il volto del Padre misericordioso, Don Bosco ha imparato a scoprirlo attraverso l’insegnamento della teologia morale mutuata da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, attraverso le lezioni di Don Cafasso e del Teologo Guala, Rettore del Convitto. Da loro imparò il modo di confessare, ne assimilò l’equilibrio morale, abbandonò quegli atteggiamenti rigoristi della teologia morale del suo tempo. Infatti Sant’Alfonso contrapponeva alle posizioni rigoriste in morale, centrate più su Dio giudice, il volto di Dio padre, orientandosi a una teologia più umana, marcata dal richiamo alla bontà e alla misericordia di Dio, alla confidenza in lui, alla speranza, adeguando la propria azione pastorale alle concrete situazioni di vita della povera gente. Ne risultarono addolcite anche le preghiere popolari che Don Bosco farà proprie, promuovendone alcune per i suoi giovani, quali la visita al SS. Sacramento, la Via Crucis, la devozione alla Madonna e all’Angelo Custode e altre, non indulgendo all’esuberanza devozionale tipica del suo tempo.
Una santità simpatica
La figura di San Filippo Neri, definito «il grande amico della gioventù», era per Don Bosco, un vero modello di cui già in Seminario ne aveva assimilato la spiritualità. Influenzato dai detti più conosciuti, che trovò nei Ricordi di San Filippo Neri alla gioventù, li valorizzò e li diffuse: «Figlioli, state allegramente: non voglio scrupoli né malinconie, mi basta che non facciate peccati »; «Fate tutto quello che volete: a me basta che non facciate peccati»; «Scrupoli e malinconia fuori di casa mia»; «Non vi caricate di troppe devozioni: ma siate perseveranti in quelle che avete preso». Sembra di risentire Domenico Savio che diceva: «Noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri nell’esatto adempimento dei nostri doveri». Nel panegirico di San Filippo Neri, pronunciato ad Alba nel maggio del 1868, Don Bosco presentava l’apostolo romano come colui che «ha imitato la dolcezza e la mansuetudine del Salvatore», che ha diffuso il «gran fuoco di divina carità» portato da Cristo sulla terra, che ha praticato «lo zelo per la salvezza delle anime che ha la sua radice nello zelo stesso di Cristo». Parlando di San Filippo Neri, Don Bosco parlava di se stesso e dell’ideale salesiano. Egli viveva la sua presenza tra i giovani come missione rivolta primariamente alla salvezza delle loro anime. Ma capiva che ai giovani si arriva solo attraverso la comprensione, la fiducia, l’amicizia, l’amorevolezza, facendo leva sulla gioia, sulla creatività, sulla valorizzazione delle realtà umane: il lavoro, lo studio, la musica, il teatro, il canto, i giochi, la ginnastica, le passeggiate...
Un cuore per i poveri
Altri santi orientarono la sua missione verso i giovani più poveri. San Vincenzo de’ Paoli che così ritrasse in una pagina delle sua Storia Ecclesiastica del 1845: «Animato dal vero spirito di carità, non vi fu genere di calamità a cui egli non accorresse; fedeli oppressi dalla schiavitù dei turchi, bambini esposti, giovani scostumati, zitelle pericolanti, religiose derelitte, donne cadute, galeotti, pellegrini, infermi, artisti inabili al lavoro, mentecatti e mendici, tutti provarono gli effetti della paterna carità di Vincenzo». Il Cottolengo che con la Piccola Casa della Divina Provvidenza, sorta nel 1832 sotto gli auspici di San Vincenzo de’ Paoli, accoglieva gli infermi rifiutati dagli altri ospedali per le loro deformità.
San Giuseppe Cafasso che si dedicava all’assistenza degli spazzacamini, scesi a Torino dalla Valle d’Aosta, e a consolare i carcerati, accompagnando alla forca i condannati a morte, coinvolgendo in quest’esperienza il giovane prete Giovanni Bosco, che ne uscì sconvolto davanti alla miseria di tanti giovani carcerati. L’influenza di questo gigante della carità, Don Bosco l’assimilò dal contesto di sensibilità al sociale del suo tempo verso i poveri, i carcerati, i sofferenti, A conclusione di queste riflessioni ci sembra di poter dire che Don Bosco non elaborò una spiritualità originale, ma colse i lineamenti più belli dei santi del suo tempo, finalizzandoli alla sua azione educativa verso i giovani più poveri, orientandoli così sulla via della santità. Ci auguriamo che sia anche per noi un maestro di vita spirituale, conoscendo meglio le sorgenti di santità che lo hanno ispirato e alimentato.
Immagine tratta da missionidonbosco.org
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