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I still am. Sono ancora vivo.

Una compagnia di assicurazioni gli aveva dato da vivere quarantotto anni. Jeffrey Tate ha superato da tem¬≠po quella soglia fatale, nato sessantacinque anni fa a Salisbury, Inghilter¬≠ra.Non sarei nato se mia madre avesse detto: 'Non voglio questo bambino'. La mia disabilità è stata scoperta da loro sol¬≠tanto quando ho iniziato a camminare. Io ritengo l'aborto per bambini con spina bifida...


I still am. Sono ancora vivo.

da Quaderni Cannibali

del 15 aprile 2008

Una compagnia di assicurazioni gli aveva dato da vivere quarantotto anni.

Jeffrey Tate ha superato da tem­po quella soglia fatale, nato sessantacinque anni fa a Salisbury, Inghilter­ra. A tre anni la madre lo porta da uno specialista, Jeffrey aveva i piedi piat­ti e soffriva di una grave forma di disa­bilità spinale. In gergo medico si chia­ma spina bifida. Fin da piccolo mostra un talento e un amore innato per la musica, lui dice che forse deriva dal nonno materno che era un grande amante dell'opera. A cinque anni ini­zia a prendere lezioni di piano e a set­te entra nel coro della cappella di San Thomas a Bourne. Con la sua voce bel­lissima da soprano, Jeffrey diventa la stella del coro. C'è anche il teatro fra le sue passioni, predilige i ruoli fem­minili, 'così potevo nascondere il mio corpo sotto abiti lunghi'.

 

Con il tempo l'handicap si aggrava, la cifosi associata a scoliosi lo rende sempre più sofferente. A otto anni Tate viene operato per prevenire la paralisi, tre mesi costretto alla totale immobilità. 'In ospedale mi sentivo come in prigione, c'era un padiglio­ne, sembrava la terra promessa. Mi dissero che sarei riuscito a raggiun­gerlo. Così un giorno di pioggia ce la feci, fu un'indimenticabile sensazio­ne di successo'. In ospedale Jeffrey ci tornerà a dodici anni, per sottopor­si a un'operazione ortopedica che lo avrebbe salvato dalla carrozzina. Una volta a casa acquista il primo grammofono. Sapeva di avere un de­bito verso la professione medica. A diciotto anni viene ammesso alla ce­lebre facoltà di medicina dell'Uni­versità di Cambridge. Organizza il co­ro, legge Shakespeare e Ibsen, impara ad amare la vita. Ma vuole risolve­re il problema della sua gamba inuti­lizzabile. 'Un medico mi consigliò di amputarla sotto il ginocchio. Ero d'accordo ma non volevo svegliarmi nel cuore della notte e pentirmi. Ho avuto fortuna. Un tecnico dell'ospe­dale mi ha dato un sostegno'.

 

Il debutto come musicista arriva nel 1956, con una storica interpretazione di Gian Carlo Menotti. Il mae­stro, presente in sala, alla fine dello spettacolo va a salutarlo. Tate gli spiega che vuole fare il medico. 'Tu puoi medicare le anime con la musi­ca' gli dice Menotti. La carriera di Tate è costellata da un successo die­tro l'altro. Nel 1976 è assistente del grande Pierre Boulez a Bayreuth per il centenario del Ring di Wagner e nel 1978 ha esordito all'Opera di Gòteborg con la Carmen. Negli anni Ot­tanta è direttore al Covent Garden di Londra. Poi l'Orchestra Filarmonica di Berlino, la Filarmonica di Los Angeles, l'Orchestra di Israele, e le or­chestre sinfoniche di Boston, Cleveland, Toronto, Montreal.

 

Jeffrey Tate ha molti soprannomi. II migliore di tutti è 'eterno amateur'. E' un uomo vitale e fatale, la disabilità per lui è come un esilio che lo ha liberato, Orfeo impacciato ma rigoglioso, pieno di gioia di esistere e forte del 'sorriso che irride' di Samuel Beckett. Con Tate parliamo di arte e di handicap, di speranza e di finitudine. E anche di aborto, perché oggi con la sua disabilità avrebbe sol­tanto un dieci per cento di possibilità di scampare alla selezione prenatale.

 

'Non so cosa sia la disabilità in gene­rale, posso dirle cosa rappresenta per me. Ho sempre avuto una grande difficoltà a confrontarmi con i miei simili fin da piccolo, loro mi guarda­vano diversamente, per i miei arti, la mia schiena, la mia postura. Mi senti­vo messo da parte, non facevo sport, mi piaceva stare con gli adulti, ero come un bambino cinese in una classica scuola inglese per bianchi. Un bambino deforme era qualcosa da ri­fiutare. Da piccolo sono stato ricove­rato per sei mesi in ospedale, a quel­l'età sei mesi sono come sedici anni. Mi sono isolato dal resto del mondo, l'arte mi ha aiutato in questo. Perché l'arte mi ha insegnato a non essere fisicamente parte di questo mondo. So­no diventato meno convenzionale'.

 

Quando parla. Tate è puro amor fa­ti. 'Ho sempre avuto paura che la mia forza fisica potesse scomparire. In un certo senso questa paura è po­sitiva. Ho un desiderio frenetico di fare esperienza delle cose'. Il mae­stro sa che oggi il novanta per cento dei bambini con spina bifida non ve­de la luce. 'Io sono ateo, non ho con­vinzioni religiose né credo in una di­vinità, direi che sono un cinico. Sono un classico liberal englishman. Ma proprio per le mie convinzioni di li­beral sapere che non sarei qui forse se mia madre avesse avuto a disposi­zione le tecnologie neonatali di oggi è stato uno shock. Un vero shock. Non sarei nato se mia madre avesse detto: 'Non voglio questo bambino'. La mia disabilità è stata scoperta da loro sol­tanto quando ho iniziato a camminare. Io ritengo l'aborto per bambini con spina bifida assolutamente non necessario. Io alle donne che aspetta­no un bambino con spina bifida, che sono poste di fronte a questa grande responsabilità, cercherei di parlare, di spiegare a quelle madri in diffi­coltà che i loro bambini possono fare grandi cose nella vita, possono esse­re davvero significativi'.

 

Tate dirige Kasbah, che in Inghil­terra riunisce i malati di spina bifida. 'E' stato questo che mi ha spinto ad accettare la presidenza di una orga­nizzazione per malati di spina bifida in Inghilterra, volevo che loro sapes­sero che un uomo di grande successo era anche disabile. I still am. Io sono ancora qui. Anche se non ho mai per­so la sensazione di essere nel posto sbagliato. Il mio successo poteva esse­re di aiuto a persone nella mia stessa condizione. Dovevo offrire loro qual­cosa. Io non sono disabile come pos­sono esserlo altri, il mio trattamento medico è stato molto buono, sono sta­to fortunato e oggi non ho bisogno del­la carrozzina. Ma loro avrebbero pen­sato, 'abbiamo un presidente con que­sta malattia e che ha avuto un gran­dissimo successo nella vita''.

 

Un rapporto corre fra il Tate medi­co e il Tate musicista. 'Molto tempo fa decisi di fare il medico. La medicina per me è stato un modo per capire l'u­manità. Si diventa medici per aiutare le persone. Io dirigo ottanta persone oggi in un'orchestra e la medicina mi ha aiutato a capire l'essere umano. Sono passati quarant'anni, ma quegli studi mi sono serviti'. Difficile com­prendere dove Tate ricavi tanta ener­gia. 'La mia forza la traggo forse dai miei geni, la mia vitalità è genetica, i miei genitori erano persone forti, ro­buste, avevano una grande energia. Nei miei geni c'è parte della loro for­za'. Il grande critico letterario Geor­ge Steiner ha scritto che la musica ci riporta alla casa dell'origine dove non siamo mai stati. 'Bellissimo e ve­ro. Sono d'accordo con Claude Lévi-Strauss, la musica è il mistero supre­mo delle scienze dell'uomo. Io non ho imparato ad essere un direttore d'or­chestra. La musica non si impara, ac­cade, non mi chieda come né perché. La musica non è intrattenimento, è altro. Ha che fare con la filosofia, con la forma del mondo. Il senso di una creazione ordinata è inerente non soltanto alla musica, ma alla sua rea­lizzazione. Ad esempio, Gustav Màhler per me è un grande problema: il suo dolore è troppo evidente, e io penso invece che l'arte deve trasfor­mare tutto, non mostrarlo, cambiare il dolore in gioia, in luce. Una parola, una sentenza, un momento in musica può dissolvere la paura della morte'. Il grande direttore d'orchestra Ot­to Klemperer, emigrato negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali di Hitler, negli ultimi anni dirigeva se­duto a causa di una paralisi che lo aveva colpito nel 1939, in seguito ad un intervento chirurgico per un tu­more al cervello. 'Ricordo quando tornò a Londra per dirigere dopo l'in­cidente che lo aveva quasi inceneri­to. Fu la più galvanica performance della Nona di Mahler. Dimostrò che la carne non aveva potere su di lui. Non cercò di alleviare la propria con­dizione di tortura. Sono affine alla vi­sione di Klemperer. La musica ri­guarda anche la fine dell'esistenza. E' romantica e ottocentesca l'idea che vi sia una relazione fra musica e sofferenza, ma per me il dolore è stato molto fruttuoso, la disabilità ha agito come un fuoco raffinatore. La musica si occupa di rabbia, angoscia, dolore e sofferenza. Mi definisco una sorta di pessimista positivo. Fin da piccolo ho imparato a vedere il lato buio delle cose, quindi mi sorprende ogni volta che le cose vadano per il meglio. Ma nutro ancora una profon­da paura di non esserci più'.

 

A sentirlo parlare tornano in men­te le parole di Mozart morente: 'Gra­zie alla potenza del suono noi proce­diamo attraverso l'oscura notte della morte'. Tate ha impresso nella voce quel sigillo di solitudine che accom­pagna ogni grande musicista: 'E' straordinario ciò che può fare la mu­sica. Una volta ho avuto un attacco, il dolore era così forte che pensai che quella notte non sarei riuscito a con­durre il Flauto magico. Ma quando la musica ebbe inizio, dimenticai il dolore. Non avrei mai immaginato di poter condurre un'opera lunga come il Parsifal, che anche nei momenti di suprema castità è profondamente sensuale'.

 

Un anno fa il cuore di Tate aveva smesso di battere: 'I medici del Poli­clinico di Napoli mi hanno salvato per miracolo, mi hanno resuscitato. Ero collassato. Praticamente morto, non esistevo più. Sono stato venti giorni nel reparto di cure intensive. Ho sempre avuto paura di morire. Per il futuro adesso sogno soltanto di poter continuare a fare musica, vo­glio restare ancora un po' in questo mondo che amo. È meraviglioso sve­gliarsi ogni mattina. I still am'.

Giulio Meotti

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