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Il beato John Henry NewmanIII parte

Venti cartoline raccontano l'illustre filosofo e fondatore del Movimento di Oxford


Il beato John Henry NewmanIII parte

da Teologo Borèl

del 16 settembre 2010

 

          11 - Conducimi tu, luce gentile / conducimi nel buio che mi stringe; / la notte è buia e la casa è lontana, / conducimi tu, luce gentile. / Guida i miei passi, non chiedo di vedere / molto lontano; mi basta un passo soltanto”. L’ultimo verso di questo grande inno di Newman, che ho cantato in chiese anglicane, metodiste e presbiteriane, è stato scritto dopo che aveva rischiato di morire di tifo in Sicilia nel 1833.

          Newman credeva che Satana avesse fallito nel tentativo di fermare la sua missione. Ma in quale chiesa si sarebbe dovuta svolgere questa missione? O forse serviva a riunificare due chiese “cattoliche”? Dopo la condanna del Trattato 90 da parte dell’Università di Oxford, Newman aveva iniziato un cammino di sei anni “verso Roma”, “un passo alla volta”, per il disappunto sia della chiesa d’Inghilterra che di quella di Roma. I cattolici romani, l’uno per cento costante della popolazione inglese dal 1600, erano più che altro aristocratici che osservavano “la religione antica”.

          Ma ora l’immigrazione su larga scala dei cattolici irlandesi, forza lavoro a buon mercato, era stata accelerata dalla carestia delle patate del 1846, dando a Roma qualche speranza. I cattolici avevano cercato due scalpi importanti come il futuro cardinale Newman e Manning, due colpi pubblicitari. La cultura di San Pietro era venduta come alternativa a quella che nell’Esposizione internazionale del 1851 celebrava, nel suo Crystal Palace di vetro e acciaio, la Gran Bretagna come il “laboratorio del mondo” liberale, utilitarista, imperiale e “naturalmente” protestante.

          12 - In Francia c’è una sola religione e cento salse; in Inghilterra c’è una sola salsa e cento religioni”, scriveva Voltaire dopo il suo esilio a Londra tra il 1726 e il 1728. C’era una vasta scelta di confessioni tra cui scegliere, sebbene il cattolicesimo fosse probabilmente la più stravagante. Newman, che non era “mai tanto felice come quando stava solo”, non andava cercando un nuovo club ma seguiva la logica della sua ricerca spirituale.

          Anzi, per lui c’erano “due e soltanto due esseri supremi e autoevidenti, io e il mio Creatore”. Nel 1842 a Littlemore, fuori Oxford, si era sistemato in una stalla che lui solo poteva negare fosse una comunità monastica con mortificazione della carne, digiuno, breviario e pratica dei manuali di spiritualità scritti da Ignazio di Loyola e altri. Rimaneva però ancora nell’anglicanesimo.

          Per aggiungere la beffa al danno, Newman aveva sfruttato l’ultimo sermone ufficiale all’università – prima di dimettersi da vicario di Santa Maria nel 1843 – per minare il primato protestante dell’interpretazione individuale della Scrittura attraverso la figura di Maria: “Lei è il simbolo di tutti noi, non solo della fede degli ignoranti, ma anche dei dottori della chiesa che devono investigare, soppesare, definire oltre che professare il Vangelo; per tirare una linea tra la verità e l’eresia; per anticipare o rimediare alle varie aberrazioni della ragione distorta; per combattere l’orgoglio e l’imprudenza con le loro stesse mani; e perciò per trionfare sul sofista e sull’innovatore”.

          Secondo Gladstone, Newman “stava barcollando avanti e indietro come un ubriaco e tutta la sua perizia era svanita”.

          13 - Impaziente per la ritardata conversione di Newman al cattolicesimo romano, il futuro cardinale Nicholas Wiseman mandò padre Smith a Littlemore per indagare. Dopo cena Newman aveva cambiato i pantaloni neri da chierico anglicano con un paio grigio, senza dire niente. Smith si convinse che quello fosse un segno. Infatti, poco dopo l’amico Ambrose St John, anche Newman fu accolto nella chiesa cattolica da padre Domenico Barbieri, un missionario passionista italiano, a Littlemore l’8 ottobre 1845.

          Com’è tipico di Newman, era il frutto della scrittura di un libro: un saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana. “Mentre procedevo i miei problemi si chiarirono così tanto che cessai di parlare di ‘cattolici romani’ e cominciai, con coraggio, a chiamarli ‘cattolici’. Prima di arrivare alla fine mi decisi a essere accolto, e il libro è ancora nello stato in cui era allora, incompiuto”. Ironicamente, mentre stava studiando per diventare un prete cattolico a Roma, il libro venne accusato di eresia.

          Newman era finalmente “tornato a casa”, ma sarebbe anche partito per l’esilio – in particolare dalla amata Oxford. “C’erano molte bocche di leone che crescevano sui muri di fronte alle mie stanze da matricola, al Trinity College, e io le avevo prese per anni come l’emblema della mia residenza perpetua, fino alla morte, nella mia università. Non avevo mai visto Oxford prima della mia conversione, eccezion fatta per le sue guglie, così come si vedevano dalla ferrovia”. Gladstone aveva interpretato la reazione generale scrivendo che “non si è ancora riusciti a valutare appieno la portata della sua importanza calamitosa”. Chi avrebbe mai creduto che un anglo-cattolico non sarebbe diventato una quinta colonna!

          14 - Martin Lutero aveva lasciato la chiesa di Roma per lo stesso motivo per cui John Newman l’aveva abbracciata. Entrambi avevano seguito la logica delle loro ricerche teologiche, dovunque li portasse. Per Lutero era la Lettera ai Romani 1,17: “Il giusto vivrà mediante la fede”. Tutto a un tratto “opera di Dio” non significava le azioni compiute per cercare il perdono divino, nella direzione mediata dalla chiesa. Ora “opera di Dio” significava il lavoro che Dio fa attraverso il credente quando ha fede nel sacrificio redentore di Cristo in croce. Il sacrificio di Cristo, di per sé sufficiente, non era ripetibile nella messa, quindi nessuna banca dello Spirito Santo, nessuna preghiera d’intercessione – e quindi nessuna chiesa come intermediario tra Dio e il singolo peccatore. Invece, un “sacerdozio universale dei credenti”.

          Lutero era un agostiniano ed era proprio il “securus iudicat orbis terrarum” (il mondo intero non sbaglia nel giudicare) di Agostino che aveva colpito Newman “con una forza che non avevo mai sentito in nessuna parola prima d’ora… Il ‘tolle, lege’ (prendi e leggi) del fanciullo che convertì sant’Agostino”, attraverso la lettura di Romani 13,13-14. All’epoca della conversione, Newman non aveva amici tra i cattolici inglesi, trovava i cattolici italiani osceni e superstiziosi e non amava musica e architettura cattoliche. Il suo gusto e le sue emozioni erano legati al linguaggio della Bibbia inglese e alle tradizioni di Oxford.

          Ma aveva lasciato la chiesa d’Inghilterra guardandosi a malapena indietro, semplicemente perché i suoi studi di storia della chiesa lo avevano convinto che, al contrario della chiesa di Roma, non era in continuità con quella degli apostoli e dei padri. Come aveva detto Lutero a Carlo V: “Io resto qui. Non posso fare altro!”. Questi agostiniani!

          15 - Come Sherlock Holmes e il dottor Watson, Newman e il suo “angelo custode” dai capelli dorati, Ambrose St John, rientrarono in seminario insieme nel 1846 e nel 1847, per poi essere ordinati preti cattolici con Ambrose che impediva all’irrequieto e infastidito Newman di soffrire la stanchezza del mondo perché doveva pulire il pavimento, portare il brodo e servirlo a tavola, nonché per la “orribile crudeltà dei cattolici romani con gli animali, e anche la loro disonestà, quel mentire e rubare apparentemente senza alcun rimorso, e infine per la loro estrema sporcizia”.

          Tuttavia Newman era colpito dal trovare “ovunque una certezza semplice nella fede che per un protestante o un anglicano è davvero sorprendente”. Pensando a come convertire gli anglicani e i liberi pensatori, Newman scrisse il racconto “Perdita e guadagno”, la storia di un convertito; lo fece mentre era a Roma a studiare, avendo capito che la sua missione era in Inghilterra: “I sacerdoti italiani non sanno niente degli eretici in quanto esseri reali – vivono, almeno a Roma, in un posto che si vanta di non avere mai dato i natali all’eresia – e pensano di avere prove convincenti, quando in realtà non lo sono.

          Quindi sono abituati a parlare delle ragioni del cattolicesimo come fossero una dimostrazione, e non vedono alcuna forza nelle obiezioni e nessuna perplessità intellettuale che non sia direttamente e immediatamente maligna”. Per questo Newman divenne inizialmente il superiore di un Oratorio di sei preti secolari nella città industriale di Birmingham, con i suoi poveri immigrati irlandesi. Dickens in “Tempi difficili” l’aveva sarcasticamente definita “la città del carbone”: un bastione in ferro battuto dell’utilitarismo alla Jeremy Bentham. Dove Oxford aveva “guglie sognanti”, Birmingham aveva ciminiere fumanti. L’Oratorio era una distilleria di gin riconvertita.

Richard Newbury

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