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Il bello tra Eros e Thanatos

Via preferenziale al mistero o condanna ad una spenta superficialità?«Solo se esci dal tuo io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro a lui» (Christos Yannaras, teologo greco-ortodosso)


Il bello tra Eros e Thanatos

da Quaderni Cannibali

del 05 maggio 2008

Due sono le principali esperienze estatiche che permettono all’uomo di aprirsi all’altro-da-sé: quella nata dall’incontro con il bello (esperienza estetica) e quella originata dal brutto – ovvero l’ingiusto, lo squallido, il meschino, il fanatico, il violento – (esperienza dello scandalo e dell’indignazione). In questo articolo mi concentrerò sulla prima, anche se, come ogni coppia di opposti, le due non sono facilmente separabili; approfondirò la seconda in un successivo intervento.

Nell’articolo precedente avevamo analizzato le dinamiche della relazione con l’altro-da-sé soffermandosi in particolar modo sull’amore in quanto relazione per antonomasia. Ora è importante addentrarci nei meandri più reconditi di questa dimensione amorosa, se veramente vogliamo cogliere i moti che agitano l’essere umano a partire soprattutto dall’adolescenza. La via più sicura e diretta attraverso cui passare è sicuramente la bellezza, in quanto inevitabilmente attraente, coinvolgente e sconvolgente e quindi con il potere di disarmare l’uomo dagli eccessivi orpelli razionali, ostacolo alla ricerca se usati solo per costruire un’immagine socialmente accettabile di sé e del mondo nascondendo le movenze più profonde e oscure dell’animo. L’amore non può prescindere dal bello ma, come spiega Socrate, l’amore non è bello: Eros, figlio di Poro e Penia, è simile a uno satiro, «è sempre povero e tutt’altro che delicato e bello; anzi grossolano, mezzo selvatico, sempre scalzo, vagabondo perché ha la natura della madre. Per parte di padre, invece, è fatto per insidiare ciò che è bello e buono, essendo di natura virile, audace, violento, gran cacciatore». L’amore è sempre mancante di qualcosa, vive del desiderio, dell’assenza e tende al bello, che è armonia, equilibrio, perfezione (i Romantici aggiungerebbero: tende al sublime, a una dimensione dinamica infinita che trascende l’equilibrio stesso della bellezza); ma amore non è questa armonia, questa bellezza, questa dimensione sublime, è tensione. Tensione tra la preservazione di sé e l’apertura all’altro, che rimarrà sempre mistero da continuare a scoprire – quando non lo considerassi più tale sancirei la fine del rapporto d’amore.

 

 

Il bello

 

L’amore tende al bello, abbiamo detto. Ma cos’è bello? Ad un primo livello possiamo dire è bello ciò che piace e piace perché appaga. Ma non sempre troviamo appagamento in ciò che si rivela per noi salutare, perché?

L’appagamento, dal latino a(d)-pacare ossia pacificare, tende alla pace dei sensi (nel suo significato etimologico), tende naturalmente al bello in quanto armonico; ma l’appagamento è per un attimo, non è una condizione durevole, almeno in questa vita caratterizzata, per credenti e non, da uno stato di tensione continua. Quando, per svariati motivi legati alla propria storia personale, si fa fatica a sedare temporaneamente e, almeno, parzialmente la tensione, più o meno consapevolmente si cercano oggetti forti, potenzialmente in grado di soddisfare la maggiore tensione interna ad un punto di equilibrio più alto. La posta in gioco sale e chi perde il controllo cade più rovinosamente. Vero è anche che le personalità più geniali e passionali si muovono a questa altitudine. Basti pensare a qualche adolescente particolarmente irrequieto di nostra conoscenza, ad artisti, filosofi, scienziati, mistici.

Tornando al bello: in linea generale vale il principio greco della kalokagathia, ossia della coincidenza di buono e bello; intuire e desiderare il bello significa intuire e desiderare la promessa buona della vita. Per quanto resti fondamentalmente una percezione soggettiva, la bellezza ha dei tratti oggettivamente riconoscibili rispondenti alla struttura armonica dell’umano. Un tramonto, un fiore, una bella donna, il volto di un bambino sono da tutti riconoscibili come belli. Spesso però i nostri sensi vengono sedotti da un altro tipo di bellezza, una bellezza vacua, talvolta deformata, che ci attira, che apparentemente ci soddisfa ma che ben presto ci abbandona in uno stato di insoddisfazione, di ansia e solitudine. Bellezza ammaliante ossia, etimologicamente, che conduce al male, nel senso che distoglie dalla verità di noi stessi e risulta così mortifera. È la bellezza di Circe e delle sirene che vorrebbero arrestare il viaggio di Ulisse; è la bellezza di un amore seducente senza storia e libertà reciproca che blocca la vita anziché potenziarla; è la bellezza dei modelli televisivi che, con la sua forza prorompente e sprezzante, induce inesorabilmente a cure (per non dire torture) estetiche costose e spesso pericolose; infine, è la bellezza immaginata e lasciata immaginare molto spesso nelle chat-line: ci si crea un’identità virtuale senza difetti e si cercano nuove relazioni e riconoscimenti in una vita parallela che mortifica quella reale. Si intravede già qui l’equilibrio instabile su cui poggia il bello, tra pienezza e svuotamento dell’io, tra vita e morte, apertura al mistero e ottundimento.

Ma facciamo un passo ulteriore: il bello, come l’amore, non è solo ciò che appaga. Lo è ad un primo livello, ma non ci si può fermare qui. Parlando di bellezza Gibran scrive:

 

«La bellezza non è bisogno, ma estasi. Non è una bocca riarsa, né una mano vuota e protesa, ma piuttosto un cuore che arde e un’anima incantata. Non è l’immagine che vorreste vedere, e neppure la canzone che vorreste sentire, ma un’immagine visibile anche ad occhi chiusi, e un canto che potete udire anche tappandovi le orecchie. Non è la linfa nella corteccia rugosa, né un’ala attaccata a un artiglio, ma piuttosto un giardino eternamente in fiore e uno stormo di angeli sempre in volo. Gente di Orfalese, la bellezza è la vita stessa, quando la vita rivela il suo sacro volto. Ma voi siete la vita e il velo. La bellezza è l’eternità che si guarda allo specchio. Ma voi siete l’eternità e lo specchio».

 

Per comprendere questo passaggio è sufficiente riflettere su due esperienze comunemente considerate agli antipodi ma di fatto molto simili: l’esperienza mistica e l’esperienza erotica.

 

 

Mistica ed eros

 

Mistica ed erotica sono due percorsi complementari che, spingendo con forza l’uomo fuori da se stesso verso un’anelata unione con l’altro-da-sé, conducono fondamentalmente verso l’autentica libertà dell’uomo, verso la sua verità più profonda perché, come dice Bobin,

 

«è sempre ciò che sei tu ad essere il vero, ma non è vero l’io nella sua pura apparenza. È vero l’io solo nel momento in cui raggiunge quella dimensione d’assenza che inerisce a tutti i momenti dell’esistenza. È vero ciò che si è, quando quello che si è, il nucleo originario della persona, è formato dall’io e dal tu, dall’amore e dall’assenza, dal tempo che scorre e dal tempo che rifluisce, dal Dio che tace e si attende scrivendo. Questo è l’io che è sempre vero e che è sempre mancante».

 

Con altro linguaggio Abraham Maslow, uno dei padri della psicologia transpersonale, ribadisce il concetto affermando che accanto ai bisogni che motivano la persona, quali il bisogno di sicurezza, possesso, potere, appartenenza ad un gruppo, riconoscimento, esistono alcuni metabisogni quali il bisogno di verità, bontà, ampliamento della coscienza, unità con se stessi, autotrascendenza e che «vale la pena vivere e morire per essi. La felicità più alta di cui l’uomo sia capace sta nell’immergersi in essi e con essi fondersi».

L’uomo, dunque, costitutivamente rimanda al altro da sé e, come tale, è vivificato da una costante tensione esogena. La mistica e l’erotica rappresentano le due esperienze limite di questa tensione e può risultare utile analizzarne le dinamiche di fondo anche per acquisire strumenti interpretativi delle tensioni che agitano i cuori di adolescenti e giovani del nostro tempo.

 

 

Mistica de eros, vita e morte

 

Spesso, cadendo in una facile semplificazione, si identifica la tensione erotica come una tensione verso la terra, la materia, il corpo, mentre la tensione mistica come un anelito a Dio e alla dimensione spirituale trascendente. Ma questa lettura è retaggio di un’interpretazione dualistica del reale secondo la quale corpo e spirito sono divisi e in lotta fra loro. Niente di più falso. La mistica, come spiega Anselm Grün in Mistica ed Eros, non ha nulla a che vedere con la sterile ascesi di chi rifugge la vita terrena, la corporeità, la sessualità perché incapace di integrarle nel proprio processo di crescita e di presa di coscienza. La mistica è un venire a contatto con la realtà più vera. «Non consiste tanto in visioni ed esperienze straordinarie. Ben più è un diventare una cosa sola con la realtà, con la mia propria realtà, immersione nel proprio corpo e nell’abisso dell’anima, un toccare il mio più intimo nucleo, il mio Sé». Dunque la mistica è fedeltà alla vita, è, per dirla con Nietzsche, fedeltà alla terra.

Anche l’eros, per altre vie, è fedeltà alla vita. «L’erotismo – per Georges Batailles – è l’approvazione della vita fin dentro la morte». L’erotismo è legato all’attività sessuale, che è costitutivamente canale e fonte di vita, ma non si riduce ad essa. L’erotismo, continua Batailles, è proprio solo dell’essere umano in quanto si tratta di una ricerca psicologica che si discosta dal fine naturale della riproduzione proprio dell’attività sessuale comune alle altre specie animali. Ma oltre ad essere legato alla vita, l’erotismo è legato alla morte, alla morte dell’io per raggiungere la fusione con l’altro e con la continuità dell’Essere, alla morte in quanto «rottura di quella discontinuità individuale a cui ci inchioda l’angoscia». Dunque l’erotismo è una tensione vertiginosa che nasce dalla nostalgia della continuità perduta e che mira ad una rinnovata fusione la quale si rende sensibile soprattutto nell’angoscia del perdersi nell’altro-da-sé. Questa dinamica non è poi così diversa da quella dell’esperienza mistica. Questo desiderio di naufragare, che travaglia intimamente ogni essere umano, è ambiguo: è senza dubbio desiderio di morire, ma in pari tempo desiderio di vivere, ai limiti del possibile e dell’impossibile, con un’intensità sempre maggiore. È il desiderio di vivere cessando di vivere o di morire senza cessare di vivere, il desiderio di uno stato estremo, che forse solo Santa Teresa ha descritto con sufficiente forza laddove dice ‘Muoio perché non muoio!’. Certo poi si devono fare i dovuti distinguo tra le due esperienze: l’erotica è subordinata ad un evento puntuale, parte dal rapporto corporeo per giungere ad un fusione meta-corporea; il rapimento mistico nasce dalla concentrazione e da un atto di volontà che porta all’indifferenza rispetto a quanto accade intorno, pur arrivando a coinvolgere anche il corpo. Ma attraverso entrambe si arriva, per un attimo, alla beatitudine inerte ossia al totale assorbimento nell’istante che si eterna.

Queste le esperienze estreme. Ma si tratta di dinamiche che ciascuno, con intensità maggiore o minore, ha provato a partire dalla sua giovinezza. Anche senza aprire l’ampio e articolato capitolo «l’innamoramento», basti pensare al desiderio di naufragio (come lo chiama Bataille) che si cerca attraverso la musica, il ballo, lo sport, talvolta il fumo, le esperienze estreme: tutti strumenti per stimolare l’istinto vitale e, nello stesso tempo, anestetizzare l’ansia, la paura della solitudine davanti al mistero della vita. La bellezza in tutto questo gioca un ruolo fondamentale: è contemporaneamente vela e timone per la barca di ciascuno: attira e spinge ad agire, nello stesso tempo può indicare la direzione più vera anche nel momento di maggior confusione. Questo a patto che ci si decida a giocare anche con i lati oscuri della vita, i quali purificano e approfondiscono la percezione stessa della bellezza, altrimenti destinata a rimanere semplice illusione ammaliante di un mondo che non c’è. Scrive De Roeck, monaco e terapista della Gestalt:

 

«Non si dà alcun anno sprecato. Il mio fallimento, le mie nevrosi, la mia solitaria masturbazione, la mia impotenza a costruire un rapporto, le mie confusioni, la mia avidità di cibo, la corazza che protegge il mio sentimento e che finisce per far tutt’uno con il mio corpo – tutto questo è la terra preziosa nel mio giardino, dove cresce la sapienza tra gioia e pace».

 

Anche Gibran, parlando del piacere quale strada che conduce all’amore e dunque alla pienezza della vita, suggerisce che il piacere e la bellezza autentici aderiscono alla vita:

 

«Cosa può recare offesa allo spirito? Spesso, negandovi il piacere, non fate altro che serbare il desiderio nei recessi del vostro essere. Chi non sa che ciò che viene precluso oggi aspetta il domani? Persino il vostro corpo conosce il suo retaggio e i sui legittimi bisogni e non si lascerà sconfiggere. E il vostro corpo è l’arpa della vostra anima, e sarà compito vostro trarne dolce musica o solo suoni confusi. E adesso in cuor vostro vi domandate: come potremo distinguere il piacere buono dal cattivo? Andate nei vostri campi e nei vostri giardini e così imparerete che il piacere dell’ape è raccogliere il miele dal fiore, ma anche che il piacere del fiore è offrire miele all’ape. Perché per l’ape un fiore è una fontana di vita e per il fiore l’ape è un messaggero d’amore e per entrambi, ape e fiore, dare e ricevere amore è una necessità e un’estasi. Popolo d’Orfalese, nei vostri piaceri siate come le api e i fiori».

 

Torniamo dunque alle parole di Yannaras: «Solo se esci dal tuo io, sia pure per gli occhi belli di una zingara, sai cosa domandi a Dio e perché corri dietro a lui». La bellezza apre alla meraviglia e la meraviglia, come lo scandalo, feconda ogni domanda sul senso dell’esistenza. Questa è la potenza dell’eros, dell’arte e della natura contemplata dall’occhio umano. Non è importante distinguere la bellezza conturbante o celestiale; c’è chi è più sensibile all’una e chi all’altra. Ciò che importa è l’effetto dilagante che entrambe possono causare nell’uomo che, disarmato, si apre al mistero. La bellezza ha dunque potere rivelante e salvifico per l’uomo, per qualsiasi uomo, credente o no.

 

 

Quale bellezza salverà il mondo?

 

Soprattutto nell’attuale società occidentale caratterizzata da un crescente relativismo, scetticismo e disinteresse per il trascendente, il vero e il buono non sono più categorie orientative significative. Il bello, invece, lo è ancora. Scrive il cardinale Danneels:

 

«Mi chiedo se il Bello non è la strada per eccellenza per trovare Dio. La verità appare come qualcosa di inaccessibile e quando qualcuno la trova è sospettato d’essere pretenzioso e arrogante. Ma se entriamo dalla porta del bello, ogni resistenza cade. Provate con i giovani. Parlate loro di Dio in quanto fonte del vero: tutti dormono. Parlate di Dio come esempio di moralità: tutti sono di cattivo umore.

Ma mostrate che Dio è bello nella sua Bibbia, nella sua creazione, nell’uomo, nella coppia, in Gesù, nelle opere d’arte, nelle icone… mostrate loro il bello in Dio dicendo che egli è la Bellezza stessa: non ci sarà resistenza» (in Carlo Maria Martini, La bellezza che salva).

 

«Quale bellezza salverà il mondo?» domanda l’ateo Ippolit al principe Myskin ne l’Idiota di Dostoevskij. Myskin non risponde al giovane Ippolit moribondo, proprio come Gesù non risponde a Pilato quando gli chiede «Che cos’è la verità?». Ma il silenzio pare indicare che la bellezza che salva il mondo è per lui l’amore che condivide il dolore.

La bellezza è quindi la manifestazione del vero e del bene e, in quanto tale, è pedagogica: suscita attrazione, entusiasmo, innamoramento, dedizione. È alla portata di tutti, è piacevole, è soggettiva ma, nello stesso tempo, universale. È, di fatto, l’unica risposta che si possa dare a chi ci chieda perché vivere anziché morire, perché il bene anziché il male. Lo afferma von Balthasar in modo chiaro:

 

«In un mondo senza bellezza, in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica».

 

È per questo che concludo con un poeta e non con un teologo, perché più facilmente di ogni altra forma scritta può condurre all’eterno indistinto e non frammentario, sia che lo si pensi come essere impersonale sia che ce lo si raffiguri come un Dio-persona.

 

«Ahimé! Ah vita! di queste domande che ricorrono, degli infiniti cortei di senza fede, di città piene di sciocchi, di me stesso che sempre mi rimprovero, (perché chi più sciocco di me, e chi più senza fede?) di occhi che invano bramano la luce, di meschini scopi, della battaglia sempre rinnovata, dei poveri risultati di tutto, della folla che vedo sordida camminare a fatica attorno a me, dei vuoti e inutili anni degli altri, io con gli altri legato in tanti nodi, la domanda, ahimé, la domanda così triste che ricorre – Che cosa c’è di buono in tutto questo, ahimé, ah vita? Risposta – Che tu sei qui, che esiste la vita e l’individuo, che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un tuo verso» (Walt Whitman).

 

 

PER UNA RIPRESA DI GRUPPO O CLASSE

• Tema principale dell’articolo è la bellezza in quanto canale preferenziale per poter giungere a percepire la presenza di un senso ulteriore rispetto alla quotidianità vissuta nel senso più superficiale del termine. Com’è presente la bellezza nella vita dei giovani di oggi? Che importanza ha? Che cosa reputano bello? La bellezza può salvare? In che senso?

• Mistica e erotica: due esperienze che partono dal bello e che procedono sul sottile crinale tra amore e morte, tra il desiderio di fusione e il terrore della disgregazione dell’io.

Individuate con i ragazzi due personaggi rappresentativi per i due tipi di esperienza e metteteli a confronto.

 

• La bellezza è soggettiva ma è anche influenzata dagli schemi culturali che ciascuno di noi ha naturalizzato dentro di sé, a seconda della propria storia e delle proprie esperienze. Inoltre esistono dei canoni di bellezza che si possono definire quasi universali.

 

Suggeriamo alcune attività da poter svolgere con i ragazzi:

– Dividerli in coppie o piccoli gruppi e chiedere di realizzare ciascuno un cartellone che illustri la loro idea di bellezza utilizzando ritagli di giornale, fotografie, illustrazioni, testi da loro scritti. Discuterne tutti insieme.

– Riflettere su come si siano modificati i canoni di bellezza delle donne (ad esempio) nel corso dei secoli e come si definiscano, oggi, in rapporto a culture diverse da quella occidentale.

– Leggere e commentare insieme il 4° capitolo del Cantico dei Cantici. Per arricchire l’analisi si può fare riferimento ai quadri di Marc Chagall che illustrano il Cantico. Perché un tale libro è stato riconosciuto come ispirato e quindi annoverato tra i libri della Bibbia?

– Il musical di Cocciante «Notre Dame de Paris» («Il Gobbo di Notre Dame» in versione italiana), tratto dall’omonimo romanzo di Victor Hugo, è emblematico in merito alla bellezza: analizzare con i ragazzi i diversi tipi di bellezza che i vari personaggi rappresentano e le relazioni che si instaurano tra loro.

 

Suggerimenti cinematografici:

– La settima stanza

– L’attimo fuggente

– La leggenda del pianista sull’oceano

– Shine

– L’ultimo bacio

– American beauy

– La vita è bella

– Don Juan De Marco, maestro d’amore

– Closer

 

Suggerimenti bibliografici:

– Alighieri Dante, Divina Commedia, 5° canto dell’Inferno.

– Bataille George, L’erotismo, Mondadori, Milano 1969.

– Dostoevskij Fëdor, l’Idiota, Einaudi,Torino 1941.

– Galimberti Umberto, Il corpo, Feltrinelli, Milano 1983.

– Gibran Kahlil Gibran, Il Profeta.

– Grün Anselm, Mistica ed Eros, Berti, Piacenza 2000.

– Hosseini Khaled, Mille splendidi soli, Piemme, Casale Monferrato 2007.

– Lacroix Xavier, Il corpo e lo spirito, Qiqajon, Magnano 1996.

– Martini Carlo Maria, La bellezza che salva, In dialogo, Milano 2000.

– Wilde Oscar, Il ritratto di Dorian Gray, Einaudi, Torino 2005.

Francesca Moratti

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