Però è proprio dal Calvario che si diparte la speranza. Il mondo può cambiare. E noi che siamo ammalati o che pure siamo vittime di tante sofferenze morali, noi possiamo contribuire a cambiare il mondo. Con grande fiducia, appoggiando il nostro capo sul capo di Gesù che rantola sulla croce.
del 01 gennaio 2002
Durante la quaresima, il venerdì Mons. Bello attraverso una emittente locale (Radio Christus) dal suo giaciglio condivideva la preghiera e le sue riflessioni con gli ammalati. Il testo riportato è la trascrizione (rivista poi dallo stesso don Tonino) di una meditazione quaresimale trasmessa il 19 marzo 1993 e apparsa su «Luce e Vita» il 4 aprile 1993.
Il Calvario è lo scrigno nel quale si concentra tutto l'amore di Dio
Quando io sento dire che la croce, manifestazione suprema dell' amore di Dio, è una crudeltà che ha inventato il Signore... quando sento dire che non deve il Signore far soffrire coloro che per amore ha creato... quando sento dire qualche volta che il Signore è duro con noi... io mi sento male, perché non è così.
La croce è la manifestazione, è l'epifania più alta dell' amore di Dio per noi. Ha mandato Suo Figlio sulla croce perché ci togliesse tutti i nostri peccati, ci redimesse, ci rendesse puri.
Anche noi, sulla nostra croce rendiamo più pura l'umanità e più buono il mondo. Anche il letto del nostro dolore dovrebbe essere fontana di carità. Ognuno dovrebbe dire: «Signore, io non soltanto mi affido a Te e sono felice di partecipare a questa operazione della carità in cooperativa con Te, ma Ti ringrazio di questo privilegio. Perché tra gli operai scelti, Tu hai preso proprio me. Mi hai chiamato per nome perché io collabori con la Tua opera di salvezza. Grazie perché il mio letto di dolore è fontana di carità, è sorgente di amore. Di amore per Te, ma anche di amore per tutti i fratelli».
Ecco perché noi dovremmo prendere coscienza dei valori di cui siamo portatori. La mulattiera del Calvario, cioè la strada che porta da Gerusalemme al Calvario è lunga, però finiremo di percorrerla. Non durerà per sempre. E sperimenteremo, come Cristo, l'agonia del patibolo, ma «per tre ore», non per molto. Coraggio! La nostra esistenza non è inutile. Il nostro dolore alimenta l'economia sommersa della grazia. Sì, ci sarà da qualche parte un immenso deposito della grazia. La nostra sofferenza alimenta, rigonfia l'otre della grazia perché poi si riversi sul mondo in un empito di carità.
E capiremo che il nostro martirio non è stato un assurdo, una crudeltà di Dio, una sua ingerenza nella nostra storia disturbata dal dolore. Invece il nostro martirio, la nostra sofferenza ha alimentato il fiume della redenzione raggiungendo i più remoti angoli della terra. Il nostro dolore è come un rigagnolo che va ad ingrossare il fiume del sangue di Cristo. Il Calvario non è soltanto la fontana della Carità, ma anche la sorgente della Speranza.
Quando pronuncio la parola «fontana» l'immagine che mi viene sapete qual'è?
Nel basso Salento ogni tre o quattro paesini, lungo la strada provinciale, si notano delle costruzioni, dei torrioni che si trovano sulla parte più alta del paese: raccolgono le acque che vengono dal Sinni che poi si diramano, attraverso canalizzazioni appropriate, verso tutta la città. Quando io penso al Calvario come fontana della speranza penso proprio a questi acquedotti, a queste torri da cui si diparte 1'ondata, il flusso della gioia, della luce, della speranza.
Che cosa è la Speranza?
Speranza significa forza di rinnovare il mondo.
Forza di cambiare le cose. Nonostante tutto. Nonostante la malattia, nonostante la sofferenza, nonostante il pianto di chi, come Corrado che è stato inutilmente operato al cervello o di Angela, di Giovinazzo, che alcuni anni fa ha avuto la prima Comunione da me in casa sua il giorno di Pasqua perché con le altre compagne in chiesa non ci sarebbe andata mai più. Nonostante le sofferenze di Nicola e di Annalisa che, dopo tre anni di matrimonio, dopo aver messo al mondo una creatura poi se ne sono andati ognuno per la sua strada perché non hanno più nulla da dirsi.
Quante sofferenze ci sono!
Però è proprio dal Calvario che si diparte la speranza. Il mondo può cambiare. E noi che siamo ammalati o che pure siamo vittime di tante sofferenze morali, noi possiamo contribuire a cambiare il mondo. Con grande fiducia, appoggiando il nostro capo sul capo di Gesù che rantola sulla croce. Io vorrei tanto che ognuno di noi sentisse questa vicinanza con Gesù Cristo, questa passione, questo rantolo del suo respiro nelle sue orecchie. Il mondo cambia, il mondo cambierà, il mondo sta cambiando. È incredibile quello che sto dicendo, però, vedete, le ragioni del nostro pianto non hanno più motivo per esistere. La risurrezione di Gesù ha disseccato tutte le sorgenti del pianto. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione nel mondo sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l'acquedotto. Le lacrime che gorgogliano ancora negli occhi degli uomini sono come quest'ultimo rimasuglio delle tubature.
Riconciliamoci con la speranza. Arriva la Pasqua: frantumi il nostro peccato, frantumi le nostre disperazioni. Ci faccia vedere le tristezze, le malattie, la nostra confusione, il nostro fallimento, il nostro smacco, il nostro buco (perché potrebbe sembrare che abbiamo bucato nella vita)... ci faccia vedere perfino la morte dal versante giusto, dal versante della risurrezione, che è il versante della speranza.
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Il Calvario non è soltanto la fontana della Carità. Non è solo l'acquedotto della Speranza, ma è anche la sorgente della Fede.
Per quale motivo?
Fede significa abbandono: «Padre mio mi abbandono a te».
Sul Golgota Gesù ha compiuto l'atto supremo di fede nei confronti del Padre. Sul Golgota risplende la fede di Maria che, quando Gesù emette l'ultimo sospiro, rimane l'unica a illuminare la terra per tutto il venerdì e il sabato santo. Bene, è il luogo della fede, il Calvario. Ma anche per noi il nostro piccolo calvario, quello che si racchiude nel perimetro di quattro pareti, deve essere il luogo della fede, della fiducia, del nostro abbandono in Dio.
C'è una preghiera molto bella di Charles de Foucault, che traduce questo abbandono. lo avevo paura quando, stando in buona salute, ogni sera la ripetevo. Adesso che sto ammalato la dico con gioia.
«Padre mio, io mi abbandono a Te. Fa' di me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa Tu faccia io Ti ringrazio! Sono pronto a tutto, purché la Tua volontà sia fatta in me e in tutte le tue creature. lo non desidero altro, mio Dio! Rimetto la mia anima nelle Tue mani, Te la dono, mio Dio, con tutto l'amore del mio cuore, perché Ti amo. Ed è per me una necessità di amore donarmi e rimettermi nelle Tue mani, senza misura, con infinita fiducia, perché Tu mi sei Padre».
È una preghiera che sa di gioia, di luce, di pace, di conforto non soltanto per noi, ma anche per coloro che stanno bene e non hanno problemi. Non rassegnamoci. Consegnamoci, se mai. Il Venerdì Santo è il giorno della consegna: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
Ed è anche il giorno in cui vogliamo fare un accaparramento grande di fede in modo da distribuirla a tutti coloro che ne hanno bisogno. E quando la gente viene da noi e ci dice, come le vergini stolte: «non abbiamo più olio», noi possiamo rispondere: «non vi preoccupate, venite nel nostro frantoio, ne abbiamo a quantità per voi e per tutti».
don Tonino Bello
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