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Il corpo, le emozioni, il piacere

Attenzione al corpo e alle emozioni. Altrimenti sono guai, e lo saranno sempre di più. Adolescenti & disagio, giovani & disagio. Ma che vuol dire? E poi hanno fatto anche la rima, “l'agio & il disagio”. Sono etichette che dovrebbero separare i giovani «che stanno bene» da quelli «meno fortunati», ma poi, nella realtà, fanno acqua da tutte le parti.


Il corpo, le emozioni, il piacere

da Quaderni Cannibali

del 22 settembre 2011

 

          Attenzione al corpo e alle emozioni. Altrimenti sono guai, e lo saranno sempre di più. Parola di Roberto Merlo, psicoterapeuta, formatore ed esperto di progetti di prevenzione. Un Merlo appassionato e arrabbiato, politically incorrect, ma anche capace di fare proposte oltre che di criticare (vedi anche il box). Insomma, con Roberto Merlo si può non essere sempre d’accordo. Ma ci sembra che chi lavora con i ragazzi e con i giovani, dal gruppo dell’oratorio in su, dovrebbe almeno stare a sentire che cosa dice.

Dottor Merlo, di «disagio giovanile» parlano in tanti, anche a sproposito. Ma è in aumento?

          Purtroppo sì. Però cresce anche il disagio degli adulti, i quali adulti, in queste condizioni, sono sempre meno in grado di essere significativi dal punto di vista educativo nei confronti dei ragazzi. Per cui i ragazzi si ritrovano senza un mondo adulto che gli parli, se non quando arrivano a manifestare un “sintomo”: allora li mandano da questo o quello “specialista” (e, si sa, oggi ti trovano farmaci così efficaci e selettivi per sedare l’ansia, le angosce, ecc. ecc...). Quasi l’unica supplenza la fa la Chiesa, perché i servizi pubblici tendono a essere ridotti o smantellati per problemi di bilancio.

Lei insiste sull’attenzione al corpo. Vale a dire?

          La nostra cultura occidentale ha separato fin dall’antichità la mente e il corpo. È attraverso il corpo che passa la nostra percezione del mondo: vediamo con il corpo, gustiamo con il corpo, annusiamo, sentiamo, tocchiamo con il corpo, e poi ragioniamo. Ma questo linguaggio di contatto con la realtà lo abbiamo sottoposto a una specie di astrazione: la “mente”. Come se essa non fosse parte del corpo. E questa separazione ha creato danni enormi, cambiando in modo radicale il concetto di malattia: un tempo essere malati era un'esperienza della vita, adesso è un accidente che ti capita, perché il tuo corpo “non obbedisce” e va in tilt: fortuna che con altri accidenti, i farmaci, riesci a cacciare la malattia... Ma vige anche la regola che chi non è in salute, sano e forte deve essere, come dire, “abolito”. Il che significa abolire tutti noi, auto-abolirci: perché prima o poi passiamo tutti per la condizione di essere dei malati.

Concretamente, nella prevenzione giovanile che cosa può significare una maggiore attenzione al corpo?

          Prima di tutto, significa educare alle emozioni. Le emozioni passano per il corpo: la fame, la sete, la paura (le mani che sudano!), il piacere. Però nessuno più educa a gestirle, queste emozioni, pensando che basti la mente a governarle. Ma le emozioni sono devastanti, se dietro non c’è un processo educativo. Poi, credo che andrebbe ripreso un discorso serio intorno al contatto. Nelle nostre culture il contatto, la vicinanza, è sempre più artificiale, senza sentimento e senza sentire, tabù o alienazione. Per forza che poi emerge la paura dello zingaro, del “matto”, del diverso...

Mi viene in mente quel signore che una volta ha scritto a Famiglia cristiana proponendo di abolire la stretta di mano al segno della pace, a messa, per motivi di igiene... Ma cambiamo argomento e passiamo alla prevenzione delle dipendenze, dalle droghe o altro. Lei al convegno del progetto Traenti l’ha associata anche alla.... gastronomia. Può spiegare?

          Sì, credo che la prevenzione alle dipendenze passi anche per l’educazione a mangiare e bere bene. Il cibo è il primo oggetto di scambio fra gli esseri umani, è associato al provare sensazioni gradevoli, alla conversazione, alla relazione con gli altri, in una parola al piacere, a un piacere autentico. Ecco, vedo molto improbabile che chi è educato a questo piacere possa diventare un tossicodipendente.

Adolescenti & disagio, giovani & disagio. Ma che vuol dire?

E poi hanno fatto anche la rima, “l’agio & il disagio”. Sono etichette che dovrebbero separare i giovani «che stanno bene» da quelli «meno fortunati», ma poi, nella realtà, fanno acqua da tutte le parti. E spesso e volentieri portano a esagerazioni senza senso, tipo: «Ah, i giovani d’oggi, poveretti, una generazione a disagio, una generazione a rischio» e via dicendo. Così abbiamo provato a schiarirci un po’ le idee, con qualche dato di origine controllata.

          I giovani e le giovani di 15-34 anni che vivono in Italia sono 14.013.863 di cui 2.980.038 adolescenti di 15-19 anni (fonte Istat 2009). In genere si fanno “i fatti loro” (studio, università, lavoro, amici, ragazza/o, divertimenti e grattacapi...), ma:

nelle associazioni di volontariato sono giovani con meno di 30 anni il 22% di tutti i volontari: più di uno su cinque. a qualche forma associativa partecipa ben il 33% dei giovani (fonte Iard-Brambilla). In testa all’hit parade ci sono le associazioni sportive seguite dai gruppi parrocchiali, dalle associazioni culturali e dai gruppi di volontariato. In bassa classifica, invece, i partiti/movimenti politici e i centri sociali.

Una parte dei giovani, questo sì, ha comportamenti o vive situazioni «a rischio»:

nella vita di tutti i giorni ammettono di assumersi volontariamente dei rischi «almeno qualche volta» il 33% dei giovani di 15-29 anni per quanto riguarda il guidare in modo spericolato e il 17% per quanto riguarda il guidare dopo aver bevuto alcolici; il 16% per quanto riguarda i rapporti sessuali; il 28% praticando sport o attività pericolose; e il 19% per quanto riguarda i giochi e le scommesse (fonte Iard). il casco: ancora oggi circa il 17% degli studenti di 14-19 anni che vanno in moto non usano mai il casco in città (fonte Ist. Sup. di Sanità-Iss). le droghe legali. Sono fumatori il 33% dei giovani di 15-24 anni e il 27% delle coetanee, anche se le percentuali sono più alte fra i 25-44enni (fonte Doxa 2004). Quasi la metà degli studenti di 14-19 anni, soprattutto i maschi del Nord e del Centro, ammette di essersi ubriacato almeno una volta nel corso della propria vita (fonte Iss). ammette di aver consumato cocaina nell’ultimo anno circa il 3% dei giovani e il 2% delle giovani italiani di 15-24 anni (il trend è in crescita rispetto al 2001); per l’ecstasy, gli allucinogeni e le anfetamine le percentuali non superano l’1%. Ammette di aver consumato cocaina nell’ultimo anno circa l’11-12% dei maschi diciannovenni, ma “solo” il 5% delle diciannovenni (Fonte Rel. Governo sulle tossicodipendenze 2004).

Hanno una percezione tutto sommato positiva di sè tre quarti degli studenti di 14-19 anni: una bella maggioranza! Ma:

si sentono in sovrappeso una ragazza su due e un ragazzo su cinque. spesso “si sentono giù” il 12% delle ragazze e il 6% dei ragazzi. vorrebbero “essere diversi” l’11% delle ragazze e il 5% dei ragazzi.

Esperienze - E a Mantova l’operatore ti fa le carte

          In piscina, sotto il solleone, gli operatori si tuffavano vestiti di tutto punto, uscivano e si rituffavano, attirando irresistibilmente l’attenzione. In quell’angolo di discoteca, invece, c’era un tizio un po’ improbabile che faceva il mago e “leggeva le carte”, ma in realtà era un educatore, che così riusciva ad agganciare i ragazzi, al punto che alcuni, con lui, hanno iniziato a tirar fuori i loro problemi. Però ci sono stati anche i talk show organizzati nelle scuole, da far invidia a Maurizio Costanzo, e la tendopoli di tre giorni tirata su nella zona in cui i giovani si spinellavano...

          Scene dagli interventi di prevenzione messi in campo, nel Mantovano, da un gruppo di operatori pubblici (Provincia di Mantova, Asl, Prefettura). Questa esperienza viene raccontata da Roberto Merlo e Roberto Capuzzo nel volume Abitare le relazioni con i giovani (Franco Angeli). Però, dottor Merlo, che cosa c’entrano i tuffi con la prevenzione? Risposta: «Ecco, la piscina ci era sembrato un luogo ricco di significati. In piscina ci sono le percezioni forti e liberanti dell’acqua, del sole sulla pelle, della socialità (si sta quasi nudi e però, guarda caso, raramente vi capitano violenze sessuali di gruppo!). Così abbiamo provato a essere adulti che comunicavano con i giovani, non dietro a uno sportello, ma nel loro ambiente, perché potessero parlarci di ciò che sentivano e di ciò che vivevano». Conclude Merlo: «Ne abbiamo combinate di cotte e di crude, ma ne abbiamo ricavato comunicazione e aggancio. Perché anche loro, come tutti noi, cercano adulti significativi».

 

Giovanni Godio

http://www.dimensioni.org

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