Il desiderio che ci unisce tutti

Che l'oratorio sia per tutti coloro che lo vivranno un cammino di luce, che faccia ardere nel cuore il desiderio di Dio e lo sazi nella gioia della fede e nella bellezza dell'amicizia con Lui e con gli altri!

Il desiderio che ci unisce tutti

del 17 luglio 2017

Che l’oratorio sia per tutti coloro che lo vivranno un cammino di luce, che faccia ardere nel cuore il desiderio di Dio e lo sazi nella gioia della fede e nella bellezza dell’amicizia con Lui e con gli altri!

 

Cari amici dell’oratorio di san Franco!

Siamo tutti cercatori di senso, assetati della parola che vinca l’ultimo silenzio della morte e dia valore alle opere e ai giorni, offrendo dignità e bellezza al nostro cammino. Nessun abitatore del tempo è arrivato alla meta: siamo pellegrini verso la vita, mendicanti del cielo. Se tale è la condizione umana, la grande tentazione sarà quella di sentirsi arrivati, non più esuli in questo mondo, ma dominatori di un oggi che vorrebbe arrestare la fatica del viaggio. Ecco perché tener vivo in noi il desiderio vuol dire essere e volerci umani, vivi e capaci di contagiare la passione per la vita. Una tradizione ebraica racconta di alcuni giovani che chiesero a un vecchio rabbino quando fosse cominciato l’esilio di Israele. “L’esilio di Israele – rispose il Maestro – cominciò il giorno in cui Israele non soffrì più del fatto di essere in esilio”. L’esilio non comincia quando si lascia la patria, ma quando non c’è più nel cuore lo struggente desiderio di essa. L’esilio è di chi ha dimenticato la meta ultima, il desiderio del cielo. In questo senso, il dramma dell’uomo di oggi, specialmente nel nostro Occidente, non è la mancanza di Dio, ma il fatto di non soffrire più di questa mancanza. L’illusione di sentirsi arrivati, il pretendersi soddisfatti, compiuti nella propria vicenda, questa è la malattia mortale. Chi si fermasse, ritenendosi padrone e sazio della verità, chi ritenesse la verità non il Mistero da cui essere posseduto sempre più profondamente, ma qualcosa da possedere, avrebbe ucciso in se stesso non solo Dio, ma anche la propria dignità di persona.

La condizione umana è, insomma, una condizione esodale: l’uomo è in esodo, chiamato permanentemente a uscire da sé, a interrogarsi, a vivere in cerca di una meta che illumini il cammino. Vivere veramente, allora, vuol dire farsi cercatori del Mistero, tutti e sempre, nella forma della domanda, come in quella dell’invocazione. Tener vivo il desiderio è la condizione per riconoscere il dono della speranza: dove il desiderio attende, la speranza si affida alla promessa, e se questa è la promessa di Dio accende il desiderio di luce, lo colma di bellezza, lo fa sete dell’Amato:

“Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto” (Sal 26,8s).

È testimone di questo desiderio colmo di speranza un cercatore appassionato, che fu raggiunto dal dono della fede, uno dei pensatori fra i più grandi del Medio Evo: Anselmo d’Aosta. Egli apre il suo Proslogion, colloquio dell’anima assetata di Dio, fede che cerca l’intelletto, facendosi voce del desiderio presente in noi tutti con queste parole:

“Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cercarti, dove e come trovarti...

Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco:

non posso cercarti se tu non mi insegni, né trovarti se tu non ti mostri.

Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti,

che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti”.

Che l’oratorio sia per tutti coloro che lo vivranno un cammino di luce, che faccia ardere nel cuore il desiderio di Dio e lo sazi nella gioia della fede e nella bellezza dell’amicizia con Lui e con gli altri!

 

Bruno Forte

 

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