Voglio un Dio che mi sia prossimo; un Dio che si introduca e viva nella storia e nella mia vita; un Dio che sappia comprendermi dal di dentro della mia esperienza
del 13 dicembre 2016
Voglio un Dio che mi sia prossimo; un Dio che si introduca e viva nella storia e nella mia vita; un Dio che sappia comprendermi dal di dentro della mia esperienza
Non mi basta, non so che farmene di un Dio lontano, chiuso in se stesso, disinteressato dai miei problemi, incapace di commozione... Il «Dio dei filosofi» di cui parlava Pascal: la Causa incausata, il Motore immobile, l'Atto puro e indiveniente... Che me ne faccio di questo Dio che ha paura di contaminarsi?
Non lo contamino a mia volta. Lo imparo, al più; ma non mi sento di pregarlo e di amarlo. Non mi interessa, non mi attrae. Non mi mette neppure a disagio, tanto è astratto: faccia il suo mestiere se ne ha uno da fare; esista come gli va di esistere: un ossequio formale, e mi lasci in pace...
Voglio un Dio che mi sia prossimo; un Dio che si introduca e viva nella storia e nella mia vita; un Dio che sappia comprendermi non dalla finestra della sua aseità, ma dal di dentro della mia esperienza; un Dio che sappia sorridere e piangere e lavorare e riposarsi, la sera; un Dio che abbia mani, occhi, mente e cuore: il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; il Dio di Gesù Cristo. Questo è un Dio che mi atterrisce e mi affascina: un Dio che rimane l'Assoluto, il Trascendente, il Tutt'altro; eppure è uno come me, consostanziale alla mia vita; uno che posso incontrare per strada e salutare o urtare col gomito o evitare perché mi scomoda, o corrergli incontro perché finalmente l'ho trovato...
La realtà dell'Incarnazione che altro è?
Strana situazione, la nostra di uomini. Viviamo legati a meschinità deludenti, e tuttavia celiamo nell'intimo una inesprimibile aspirazione all'Infinito: ma ad un Infinito che ci raggiunga, che ci si metta al fianco, che diventi come noi, per renderci sopportabile l'esistenza e consentirci di superarla in una comunione che leghi il desiderio e il compimento, la domanda e la risposta, il Tutto e il nulla. L'attrazione degli opposti che si toccano e fanno unità.
Non finiremo mai di stupirci di fronte al mistero del Verbo che si fa carne.
Le prime generazioni cristiane han faticato ad accoglierlo e a comprenderlo un poco. Si son perfino ritratte incredule talvolta, indispettite quasi.
A noi l'annuncio appare meno ostico. Ci sembra, tutto sommato, normale, banale, che Dio si sia fatto uomo... Forse immaginiamo Gesù come una parvenza; un personaggio etereo; un bambino che piangeva, ma in fondo fingeva di piangere, che imparava a camminare, ma in fondo sapeva già camminare; una sorta di fantasma che si manifestava con l'aureola intorno al capo anche quando sedeva a tavola o discorreva con gli amici. No. E un censito alla nostra anagrafe. E se fosse vissuto al nostro tempo, tra noi, vestirebbe probabilmente con un abito normale comprato al supermercato, e di giorno indosserebbe la tuta...
Il motivo di stupore sta proprio qui: nel «come noi». Eppure è Dio. Dio che ci si è fatto collega d'ufficio, compagno di stabilimento, vicino di corsia, il signore dell'appartamento accanto, o dentro la nostra casa...
Ecco un Dio così mi urta, mi scandalizza; ma al tempo stesso mi attrae.
Ha compreso le tendenze più recondite che porto nel cuore: le tendenze che neppure riesco a chiarire a me stesso, ma che sento come insopprimibili. E viene a salvarmi dalle mie grettezze, dai miei tradimenti.
Dio diviene uomo perché l'uomo possa diventare Dio. Una vocazione stupenda.
Alessandro Maggiolini
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