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Il nichilismo giovanile

«Come fanno professori e genitori a motivare i ragazzi? Con rapporti contrattuali e di mercato: studia e hai il bel voto, studia e ti regalo il motorino, prendi la laurea e ti prendo la macchina. Quando un genitore contratta con il proprio figlio, perde subito autorità».


Il nichilismo giovanile

da Quaderni Cannibali

del 14 dicembre 2010

 

IL FILOSOFO GALIMBERTI SU ALCUNI ASPETTI DELLA SOCIETÀ MODERNAQuel cattivo compagno di banco...           Il nichilismo è il male della gioventù di oggi. Ne devono tenere conto i genitori e gli insegnanti. La scuola deve tornare ad essere il luogo 'dove tutto accade'.          È il nichilismo il compagno di banco a scuola. La cultura occidentale ha chiuso il futuro davanti ai giovani che non lo percepiscono più come possibilità, ma come minaccia.          La fotografia di un presente inquietante viene da Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista intervenuto a Rovereto nel corso di un programma di incontri per genitori.          Lo studioso è partito da una constatazione: lo stato di sofferenza delle nuove generazioni è provato dal fatto che i giovani non sanno nemmeno nominare il disagio che provano. «Perché non hanno il vocabolario delle emozioni, non vedono futuro» dice Galimberti che parla di 'epoca delle passioni tristi'. In Francia il filosofo Miguel Benasayag ha aperto uno sportello di ascolto. «La filosofia, da che è sorta, serve per salvaguardare dal dolore» afferma il suo collega italiano. È dunque giunta l'epoca per capire Nietzsche, il quale profetizzò che sarebbe stato capito solo dopo cinquant'anni?          «In realtà ne sono passati 130: lo capiamo ora. Oggi mancano i valori, lo scopo, i perché. Questo è il nichilismo. Che i valori si svalutino non sarebbe una gran male perché la storia si evolve proprio nella svalutazione dei valori. Dalla monarchia la Rivoluzione francese conduce alla società egualitaria proprio per la svalutazione del valore della gerarchia, tanto per fare un esempio». Allora cosa sono i valori? Umberto Galimberti li definisce coefficienti sociali, modalità con cui una società decide la propria coesione. In una società in cui mancano, ecco la presenza (e lo spazio) per un ospite inquietante: il nichilismo. Tutto ciò deriva - secondo il filosofo - proprio dall'imprevedibilità del futuro.  Privati del futuro.           «Quando io studiavo filosofia, ero certo che l'avrei insegnata e questo mi motivava. Ora come fai a essere motivato quando sai che studiando filosofia nella più remota delle ipotesi andrai ad insegnarla?» afferma Galimberti. Ecco, dunque, il problema di questa società: mancano motivazioni auto-motivanti. E quando il futuro smette di promettere scatta la demotivazione.          «Come fanno professori e genitori a motivare i ragazzi? Con rapporti contrattuali e di mercato: studia e hai il bel voto, studia e ti regalo il motorino, prendi la laurea e ti prendo la macchina. Quando un genitore contratta con il proprio figlio, perde subito autorità. I giovani ne hanno una sete incredibile, un gran bisogno: solo che deve essere autorevole» dice Galimberti, che cita al proposito anche i dati relativi agli studi dell'apprendimento.          Secondo Freud, le mappe cognitive ed emotive del bambino si formano nei primi 6 anni di vita. Secondo studi più recenti, si è stabilito che invece tutto ciò accade nei primi 3 anni. «E dove stanno i nostri figli nei primi tre anni? Nelle mani di sostituti, delle baby sitter compresa la tv, che è la madre di tutte le baby sitter».          Ecco allora una verità tanto amara quanto cruda. «Prendiamo atto con amarezza di una prima evidenza: poiché oggi per vivere una famiglia ha bisogno di almeno due stipendi… può darsi che la nostra società sia incompatibile con l'educazione dei figli».          Compito del filosofo è quello di individuare le criticità e questa è certamente la prima: se l'organizzazione sociale è contraria ad ogni necessità educativa, non può produrre una società adulta. «Mi fanno ridere i genitori che, per autoassolversi di non stare molto con i propri figli, dicono che puntano sulla qualità del tempo, non sulla quantità. Una fesseria: la cura infantile chiede tanto tempo. Loro hanno bisogno di quantità e subito. Non gli si può dire 'ora non ho tempo, dopo' perché l'identità positiva del bambino è data dal riconoscimento che ricevono. Sentono che non sono importanti quando diciamo che non abbiamo tempo».          Un altro esempio è la nostra reazione alle loro domande che sono né più né meno domande 'filosofiche': perché la terra sta sotto e il cielo sopra, perché la luna sta in cielo… Anche in questo caso non si può rispondere che non abbiamo tempo o che risponderemo dopo. «Chiediamoci davvero se la nascita dei figli è compatibile con la nostra società dove i valori sono quelli dell'efficienza, del primato, del competere» afferma Galimberti, che pone un altro problema: la nostra idea che i bambini debbano essere stimolati. Niente di più falso.          Diamo spazio al desiderio. È una cosa della quale sono convinti molti genitori: far fare qualcosa ai figli che, in genere, si traduce nel sommergerli di attività. Li si iscrive a nuoto, pianoforte, danza, sci. «Il risultato è che si danno troppi stimoli a esseri che hanno poca capacità di contenimento. Risultato dell'iperattività? L'angoscia. Angoscia di non saper elaborare tutte le novità, la stessa che porta i vecchi a rifugiarsi nelle abitudini e a rinchiudersi nel perimetro di casa per paura di affrontare il nuovo. E l'angoscia produce come effetto quello di abbassare la risonanza psicologica agli stimoli. Ecco allora il fenomeno degli psico-apatici: non si percepisce la differenza tra bene e male che secondo Kant sarebbe innata. Ognuno di noi è strutturato per riconoscerli.           Invece con troppi stimoli si abbassa la soglia di reattività e così capita che Erica e Omar uccidano la madre e il fratellino e poi escano a bere la birra 'come al solito'. Se uccidere è fatto molto grave, lo è ancora di più che il passaggio all'atto successivo: rientrare nella norma, il che significa che sono saltati i confini tra bene e male!» afferma Galimberti, invitando i genitori a non avere paura della noia. «Il bambino deve anche potersi annoiare.           La noia stimola la creatività, bisogna imparare a desiderare e a non avere il giocattolo prima di averlo desiderato: avere senza desiderare non stimola».           La scuola? Tutta da ripensare. Nel rapporto scuola-famiglia si compiono i guasti maggiori. Parlare male degli insegnanti a casa è disastroso. I bambini sono innamorati della loro maestra e se a casa la si delegittima scatta una dissociazione schizofrenica: a chi devo dare ragione? «Con il risultato che, non sapendo a chi dare ragione, non la darò a nessuno».          Sapendo di dire qualcosa che può suonare blasfemo, Galimberti afferma che è meglio tra due mali optare per il minore. «Meglio sostenere la maestra scarsa per evitare dissociazioni in tuo figlio. In altre sedi lotterai per una scuola migliore» afferma Galimberti, la cui analisi è drammatica.           In una società multietnica la scuola dev'essere aperta. «I bambini non sono razzisti, però bisogna prepararli alle differenze. Il criterio dell'omogeneità è la palestra dell'integralismo. I bambini vanno preparati al diverso fin dalla tenera età» sostiene il filosofo che, anche se non cita mai la Gelmini e le proposte di riforma, con la sua autorevolezza fa intuire una valutazione critica alle classi con il tetto agli stranieri.          Bisogna tener conto di come avviene l'apprendimento e, attraverso esso, la maturazione. Nell'adolescenza, quando esplodono le dinamiche della sessualità e dell'aggressività, non avviene nulla che non sia già contenuto nell'economia della specie la quale ha bisogno da sempre di due forze: la sessualità (per riprodursi) e l'aggressività (per difendere la prole).          «Nell'adolescenza organi prima deputati ad altro acquistano valenza sessuale: il mondo diventa erotico, anche la pioggia nel pineto e il tramonto sono erotici. Sarà utile sapere che i giovani acquisiscono per canali emotivi, ma questo non è una novità, lo aveva detto anche Platone. Non si arriva alla conoscenza se non per amore. Nel ragazzo non passa nulla se non per via erotica e questo non è possibile nella nostra scuola. Se non riusciamo ad affascinarlo ad accendere le sue emozioni, non riusciremo mai ad educarlo! Non faremo operazioni educative, ma istruttive. E questo in classi di 35 ragazzi è impossibile, un disastro».           Maestro unico? Secondo Galimberti non si può dire che potrebbe funzionare perché… ha funzionato. «Perché ai nostri tempi non serviva sapere l'inglese e, di fatto, non lo sa nessuno oggi. Inoltre, non era necessario sapere di informatica, ma oggi tutto è cambiato. Oggi siamo nella tecnoscienza e come possiamo non investire nella conoscenza delle scienze? Come possiamo votare su cellule staminali e inseminazione eterologa se non abbiamo mai sentito parlare di scienze genetiche? Negli Usa si usano cartoni animati per spiegare i processi genetici per creare nei bambini la pre-condizione per capire domani». Con una battuta (amara), Galimberti congeda il resto. «Se all'inglese si preferisce il dialetto… siamo a posto».          Il mondo evolve. Ma cosa distingue le vecchie generazioni dal ragazzo d'oggi? «L'interdizione alla meta» risponde Galimberti. «Noi una ragazza la potevamo guardare, sognare, immaginare. Scrivevamo lettere che non spedivamo, poesie d'amore, e se potevamo parlarle lo facevamo dal telefono posizionato al centro della casa dove tutti sentivano e allora dovevamo usare un linguaggio simbolico. Facevamo cioè un lavoro psichico, che oggi il ragazzo non fa più perché saltano tutti i tempi e si deve andare a letto se non al primo al secondo incontro. Se io soddisfo prima di immaginare psichicamente sono fregato: il desiderio si estingue subito e una volta abbattuto il tabù ne servono altri. Uccidere il desiderio è repressivo. La pornografia è repressiva: reprime la struttura desiderante e uccidere il desiderio è uccidere la fonte della creatività che è potenzialmente rivoluzionaria».          E allora come facilitare l'apprendimento? «Insegnare è un'arte: i docenti, oltre che essere competenti, devono saper comunicare e avere capacità carismatiche. Suona fastidioso, ma lo dico come va detto: si impara per plagio. O per essere più morbido con Platone: si impara per imitazione. Si può affascinare anche con la matematica».          Quanto al rapporto genitori-scuola, oltre a non delegittimare gli insegnanti, secondo Galimberti i professori dovrebbero rifiutarsi di parlare con i genitori per parlare con i ragazzi. «Metà dei loro discorsi sono inutili e si aprono con ovvietà: suo figlio è intelligente - guai a dire che non lo è! - ma non ha volontà. Ma che è la volontà? Solo se un ragazzo viene interessato, si applica! È nella dinamica tra fascinazione dell'insegnante e narcisismo dello studente che vuole eccellere che scatta il risultato».          Quanto alla struttura scolastica, dovrebbe essere smontata e rimontata. Da vero filosofo Galimberti rompe gli schemi e dice che la scuola dovrebbe essere il luogo dove tutto accade, dove il giovane trova casa per prepararsi al futuro: e quindi lezioni ma anche eventi, discussioni, occasioni di confronto, musica, sperimentazioni di autogestione. «Dovrebbero essere aperte dalle 8 a mezzanotte se non all'una, allora sì che non servirebbero happy-hour e discoteche. Ne parlai molto tempo fa con l'allora ministro Berlinguer. Mi rispose che non aveva bidelli a sufficienza». 

Corona Perer

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