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Il pranzo di Natale della Comunità di Sant'Egidio

Il pranzo di Natale con i poveri è una tradizione della Comunità di Sant'Egidio da quando, nel 1982, un piccolo gruppo di persone povere fu accolto attorno alla tavola della festa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere.


Il pranzo di Natale della Comunità di Sant'Egidio

da Attualità

del 11 dicembre 2006

'Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti'. 

(Luca 14,12-14)

 

Il pranzo di Natale con i poveri è una tradizione della Comunità di Sant'Egidio da quando, nel 1982, un piccolo gruppo di persone povere fu accolto attorno alla tavola della festa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. Erano circa 20 invitati: c'erano alcuni anziani del quartiere, di cui eravamo amici a tempo, che in quel giorno sarebbero rimasti soli, e alcune persone senza fissa dimora conosciute nelle strade di Roma.

Sono passati più di 20 anni da quel primo pranzo: da allora la tavola si è allargata di anno in anno e da Trastevere ha raggiunto tante parti del mondo, dovunque la Comunità è presente.

Un Natale straordinario che nel 2000 ha coinvolto decine di migliaia di persone in 52 paesi diversi: gente che vive nella strada, negli istituti, nelle carceri: tutti quei poveri che la Comunità aiuta durante l'anno e molti altri che si sono aggiunti per la festa.

 

Perché proprio a Natale la Comunità vuole ritrovarsi con i poveri attorno alla tavola della festa?

La Comunità è una famiglia raccolta dal Vangelo. Per questo a Natale, quando in tutto il mondo le famiglie si riuniscono attorno alla tavola, la comunità fa festa con i poveri, che sono i nostri parenti e i nostri amici.

San Francesco diceva del Natale che era la “festa delle feste”, cioè che doveva abbracciare tutti, nessuno escluso. Tommaso da Celano racconta che “Francesco voleva che in questo giorno i mendicanti fossero saziati dai ricchi e che i buoi e gli asini ricevessero una razione di cibo e di fieno più abbondante del solito..” 

A Greccio, il paese del Lazio dove aveva preparato per la prima volta il presepe, San Francesco si presentò al pasto dei frati che banchettavano, vestito come un povero, proprio per ricordare loro che tutti debbono partecipare alla festa, particolarmente chi è povero.

A Natale, in tutto il mondo, le famiglie si riuniscono, comprano regali da scambiarsi sotto l’albero, apparecchiano la tavola per la festa: per chi non ha nessuno questa festa, più di tutte le altre, diviene un giorno veramente triste. 

Per questo la Comunità desidera, proprio in questo giorno in cui Gesù nasce povero per la salvezza del mondo, ritrovarsi insieme come una grande famiglia, dove tutti si possano sentire a casa loro: è l’immagine più bella, che spiega in modo eloquente il suo modo particolare di stare tra la gente, soprattutto con chi è più povero.

 

Chi sono gli amici che partecipano a questa festa delle feste?

Sono soprattutto persone che vivono nella strada: i nostri amici barboni, profughi senza tetto, i bambini di strada. Ma anche mendicanti, stranieri, e ancora zingari, anziani soli, malati di AIDS, lebbrosi, malati psichici, carcerati di tante parti del mondo. 

Accanto ai poveri si raccoglie anche tanta gente comune alla ricerca di un senso vero del Natale, diventato spesso solo un rito vuoto, che chiede di dare una mano, aiuta a preparare, a raccogliere ciò che è necessario o a servire il pranzo.

Età diverse ma anche lingue, tradizioni, religioni diverse: non solo cristiani ma anche ebrei e musulmani: un grande popolo senza confini, quello che è oggi la Comunità nel mondo, e che in questa festa vive una profonda sintonia.

Nel 2000 il Natale cadeva nel penultimo giorno di Ramadan, il mese di digiuno per i musulmani. Per questo in molte città in Europa, in Africa, in Asia, la Comunità ha fatto festa insieme ai musulmani la sera, al momento dell’interruzione del digiuno. E’ particolarmente significativo che alla mensa di Via Dandolo a Roma gli stranieri di Genti di Pace musulmani abbiano servito a tavola gli altri stranieri cristiani mentre osservavano il digiuno e due giorni dopo, per la festa di fine del Ramadan, i cristiani abbiano ricambiato con la stessa amicizia i loro amici musulmani. 

I pranzi di Natale infatti sono l’immagine concreta che è possibile vivere insieme tra genti diverse con grande rispetto e amicizia: questo è il vero senso della festa.

 

Una festa larga come il mondo

La festa negli anni si è andata allargando, come per un benefico contagio, e ha raggiunto anche tanti paesi del Sud del mondo in tutti i continenti.

Feste belle, in molti casi organizzate con pochissimi mezzi e con un grande impegno da parte di giovani che vivono per lo più in situazioni di povertà e di conflitto.

In America circa 4000 persone hanno fatto festa in Salvador, Messico, Argentina, Guatemala e anche a Cuba, dove gli adolescenti del Paese dell’Arcobaleno hanno organizzato e animato un pranzo per gli anziani.

A Cochabamba, in Bolivia, alcune ragazze della Comunità si recano nel carcere femminile dove molti bambini sono detenuti insieme alle madri. Queste donne, povere e a volte analfabete, sono spesso sole e incapaci di farsi carico della crescita dei figli. Con loro quest’anno è stato fatto un pranzo in carcere a cui hanno partecipato tutte le 600 detenute.

In molte città dell’Indonesia, che è il più popoloso paese musulmano del mondo, l’invito della Comunità rappresenta un momento di festa e di amicizia tra le diverse comunità religiose.

Ma anche in tanti luoghi dell’Africa è arrivata la gioia della festa: nel solo Mozambico il Natale è stato festeggiato in ben 16 città, coinvolgendo bambini di strada, mendicanti, lebbrosi, ciechi, famiglie povere e tanti carcerati.

In Africa la povertà emerge con particolare durezza nelle carceri. Nella maggior parte dei casi non ci sono letti, non ci sono bagni e le celle sono affollatissime. Le condizioni igieniche sono pessime: ci si ammala facilmente e a volte si muore. Il vitto fornito dall'istituzione carceraria è insufficiente. Chi non ha parenti che portano il cibo, soffre per la fame. Per questo molte comunità africane, in Mozambico, Guinea Conakry, Burkina Faso, non solo visitano regolarmente i carcerati, ma nel giorno di Natale preparano un pasto che è per tanti l’unico vero pranzo di tutto l’anno. 

In Costa d’Avorio, in Cameroun, in Madagascar, in Tanzania, in Uganda si fa festa con i mendicanti ciechi e i bambini di strada.

In Congo, a Kinshasa, i bambini che hanno partecipato alla festa di Natale hanno ricevuto in dono un vestito cucito appositamente per loro dagli amici della comunità.

A Bujumbura nonostante la difficile situazione del Burundi, da anni in guerra, il Natale è stato festeggiato con un picnic sulle rive del lago Tanganica.

E’ significativo che, nonostante i pochi mezzi di cui dispongono queste comunità, siano state aggiunte anche qui decine di migliaia di persone, quante nella sola Europa.

 

Dove si fa la festa?

In ogni luogo soprattutto dove c’è dolore. Nelle chiese, nelle case, ma anche negli istituti per anziani, per bambini, per handicappati, nelle carceri, negli ospedali, perfino nelle strade. Perché il senso è proprio portare la festa anche negli angoli più bui, più freddi, più sperduti e dimenticati. 

La festa arriva dappertutto: si può, anzi si vuole, fare festa nei tanti luoghi tristi, di dolore del mondo: è per questo che la Comunità vuole festeggiare il Natale anche in strada, in carcere, negli istituti, dove vivono tante persone sole: bambini, anziani, malati, negli ospedali o nei lebbrosari, dove almeno per un giorno si può dimenticare il peso della malattia e della solitudine.

E’ l’esperienza delle tante cene nella strada la notte di Natale con chi non ha casa. Nelle città fredde del Nord, da Mosca a Barcellona, dove tra le luci e le insegne luminose, tanti poveri restano soli, o nelle città povere del Sud del mondo. 

Anche lì il cibo, un regalo semplice, un piccolo presepe, l’alberello di Natale, la musica, ma soprattutto l’amicizia, la gioia, l’attenzione ad ognuno, sono gli “ingredienti” di una festa bella perché piena di amore per chi soffre.

 

Il miracolo di Natale

Il Natale è un po’ un miracolo: è il miracolo dei volti sorridenti di tante persone oppresse dalla fatica della vita, è il miracolo di scoprirsi utili di tanti a cui non manca nulla ma che hanno perso il senso profondo della festa. Ma è anche il miracolo di risorse che sembrano non esserci e che invece si possono mobilitare, coinvolgendo attorno al Natale chiunque voglia fare qualcosa, anche un piccolo gesto per gli altri, almeno una volta l’anno.

E’ un miracolo per il quale vale la pena andare a bussare a tutte le porte per raccogliere quello che serve per la festa: i commercianti, i colleghi, gli amici, la gente per strada. In questo modo ogni anno si trova il necessario per apparecchiare questa grandissima tavola nel mondo.

Ma il miracolo è anche il fatto che credenti di tutte le religioni possano trovare un posto in questa festa: servire ed essere serviti in un movimento di cuori che credono nella salvezza del mondo attraverso la fede, la pace, la concordia tra gli uomini. 

http://www.santegidio.org

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