Intervista ad Andrea Zancanaro, che con il racconto "Ognuno ha il suo mostro" ha vinto il Premio Campiello Giovani. "Quando hai tante passioni non devi scegliere per forza, devi solo rimboccarti le maniche"...
del 18 dicembre 2017
Intervista ad Andrea Zancanaro, che con il racconto "Ognuno ha il suo mostro" ha vinto il Premio Campiello Giovani. "Quando hai tante passioni non devi scegliere per forza, devi solo rimboccarti le maniche"...
Tutti abbiamo un sogno nel cassetto e Andrea Zancanaro è riuscito a trovare la chiave giusta per aprire la serratura del suo quando ha deciso di partecipare al Campiello Giovani 2017, di cui poi si è aggiudicato la vittoria. Classe 1995, vive a Feltre (BL) e studia Medicina a Firenze.
Il suo racconto si intitola “Ognuno ha il suo mostro” ed è il dialogo tra un uomo, gestore di un negozio di animali, profondamente persuaso di essere una persona orribile e una donna che vive la sua vita fermamente convinta di essere perseguitata da un fantasma. I due si apriranno l’uno con l’altro, dimenticando momentaneamente le loro ossessioni, ma finendo per scoprire che non ci si può mai liberare veramente di se stessi.
Il Campiello Giovani è un concorso letterario promosso e organizzato dalla Fondazione il Campiello – Confindustria Veneto ed è rivolto a giovani aspiranti scrittori di età compresa fra i 15 e i 22 anni. Istituito nel 1994, si è proposto inizialmente come un’iniziativa provinciale e regionale per poi estendersi su tutto il territorio nazionale e negli ultimi anni anche all’estero. Il bando prevede la stesura di un racconto breve a tema libero ed è accompagnato da tre selezioni, l’ultima delle quali si svolge alla Fenice di Venezia. Al vincitore viene regalato un soggiorno di due settimane in un Paese Europeo a sua scelta.
Ciao Andrea, ti chiedo subito da dove nasce la tua passione per la scrittura e se oltre a questa ne hai altre.
La passione per la scrittura nasce con me, è qualcosa di innato: a tre-quattro anni dettavo storie a mia nonna e ai familiari e alle elementari ho iniziato a scrivere avventure di mio pugno. In terza media ho completato un romanzo fantasy e poi, crescendo, ho abbandonato questo genere e iniziato a partecipare a qualche concorso per racconti. Per quanto riguarda le altre passioni, una di queste è sicuramente la musica: canto nel coro “Francesco Sandi” da molti anni. Ultimamente mi sto dedicando anche alla pittura.
Hai detto che studi medicina. Come riesci a conciliare l’università, e quindi il dovere, con la scrittura, la passione? Sei riuscito a trovare un equilibrio o l’ago della tua bilancia tende più verso l’una o l’altro a seconda della situazione e del momento?
Ho una passione artistica, ma frequento un’università scientifica. Faccio del mio meglio per realizzarmi in entrambe le direzioni e non penso che una strada escluda l’altra, la storia della letteratura è piena di medici-scrittori. Quando hai tante passioni non devi scegliere per forza, devi solo rimboccarti le maniche il doppio e farti le spalle più larghe per riuscire ad abbracciare tutti i sogni. Ovviamente è impegnativo perché la facoltà di Medicina comporta un carico di studio notevole, quindi non resta molto tempo per dedicarsi ad altro, però fino ad ora sono riuscito abbastanza bene a conciliare le due cose; probabilmente perché mi sono dedicato specialmente alla stesura di racconti, genere che, pur nella sua complessità, è più immediato e meno impegnativo rispetto al romanzo.
Parliamo del tuo racconto, “Ognuno ha il suo Mostro”: come è nata l’idea di questo particolare dialogo tra due persone psicologicamente disturbate? Credi che ognuno di noi abbia un proprio mostro?
L’idea iniziale è nata leggendo un altro bando, infatti non ho scritto questo racconto per il Campiello Giovani: tre anni fa mi sono imbattuto in un concorso il cui tema imposto erano le ossessioni e ho riflettuto su come potevo trattare questo argomento secondo la mia sensibilità. Ne è uscita una prima bozza di “Ognuno ha il suo Mostro”, che quest’anno ho deciso di far uscire dal cassetto, dandogli una forma più strutturata ed eliminando il superfluo, per partecipare al Campiello. Ovviamente non avevo previsto tutto ciò che è accaduto dopo. Devo dire inoltre che, a prescindere da quel concorso a tema imposto, la mente umana e le sue zone d’ombra mi affascinano: sono attratto dal mondo della psichiatria e della psicologia e sono un appassionato di Jung (ndr. Carl Gustav Jung, 1875 – 1961 è stato uno psichiatra, psicoanalista, antropologo e filosofo svizzero).
Il racconto parla di disagio psichico e ha per protagonisti due personaggi imprigionati in una gabbia di ossessioni che limitano in modo importante la loro vita. Attraverso queste figure estremamente fragili, il mio scopo era però far emergere come ognuno di noi, pur senza cadere nel campo della nevrosi, possa nascondere insicurezze e paure che non mostra, ma che fanno comunque parte del carattere.
Quali sono gli autori che maggiormente hanno influenzato il tuo stile di scrittura?
Ultimamente l’autrice che mi sta influenzando di più è Donatella di Pietrantonio (ndr. vincitrice del Campiello 2017 con il romanzo l’Arminuta) di cui ammiro molto lo stile di scrittura asciutto, scolpito, “per sottrazione”. Prima invece ci sono stati Anton Checov, Raymond Carver, Donna Tartt, Alan Bennett e tanti altri.
Vincere il premio Campiello Giovani è sicuramente un importante traguardo: cosa ti ha insegnato questa esperienza? Quali sono i ricordi a cui rimarrai più legato?
Il Campiello è stata una grande iniezione di autostima: tre giurie composte da persone esperte e competenti arrivano a decretare che quest’anno, tra i partecipanti di tutta Italia, hai prodotto il racconto migliore. Non è un traguardo da poco, ma è soprattutto un’opportunità di crescita incredibile sul piano artistico: rileggendo ora il racconto con cui ho vinto trovo diversi aspetti che andrei a limare e modificare, è incredibile quanto questo percorso mi abbia fatto crescere in pochi mesi. Questa esperienza continua a insegnarmi molto anche per quanto riguarda il rapporto con il pubblico: improvvisamente vieni catapultato sul palco della Fenice, in Rai o davanti a una platea di duecento studenti. Si cresce molto anche come persone, oltre che come scrittori.
Di ricordi ne ho collezionati moltissimi: il Premio Campiello ti coinvolge per un periodo piuttosto lungo, a dispetto di ciò che può trasparire dai giornali e dai social, che spesso mostrano e raccontano soltanto le giornate conclusive. Tra i ricordi più belli ci sono sicuramente l’istante in cui ho scoperto di essere in semi-finale sul sito del Campiello e poi nella cinquina finalista al Teatro Nuovo di Verona. Ovviamente è stato magico anche il momento della vittoria, nonostante sia stato meno “scioccante” perché Ottavia Piccolo (ndr. Presidente della Giuria del Campiello Giovani) si è un po’ tradita con l’affermazione “…e ora passiamo ad annunciare IL premiato” quando le altre finaliste erano tutte ragazze.
Proiettandoci nel futuro, stai lavorando a qualche altro progetto di scrittura o sei in un momento di stand-by?
Dopo il Campiello ho scritto altri due racconti e l’incipit per un concorso di scrittura, organizzato dal Centro Italiano di Cultura di Stoccarda, rivolto ai ragazzi dei licei tedeschi che hanno l’italiano come seconda o terza lingua. Gli studenti dovranno continuare il mio testo e toccherà a me decretare il vincitore; a luglio andrò in Germania proprio per questo. Per il resto non c’è fretta, sono in fase di riflessione: sto leggendo molto perché un bravo scrittore deve esser prima di tutto un grande lettore.
Ed infine, un consiglio che ti sentiresti di dare a tutti gli aspiranti scrittori che parteciperanno al Campiello Giovani 2018.
Di essere loro stessi e scrivere qualcosa che sentano profondamente loro, senza pensare a cosa potrebbe farli vincere o andare avanti. Partecipare senza caricarsi di troppe aspettative e vivere un’esperienza che sarà bellissima in ogni caso. In bocca al lupo a tutti!
Elisabetta Ciavarella
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