Impresa

Sarebbe bene che, accanto alla classica e inevitabile domanda "Ci sarà un posto di lavoro anche per me, ora che ho finito gli studi?", alcuni giovani avessero il coraggio di porsi un'altra domanda: "Quanti posti di lavoro sarò capace di creare?"

Impresa

da Quaderni Cannibali

del 10 novembre 2009

 

 

Impresa, un «laboratorio» in cui si deve crescere

 

di Diego Motta

tratto da Avvenire

 

 

 

 

La sfida educativa si affronta a partire dal vissuto delle nuove generazioni, che è in rapida evoluzione ed è destinato a sfatare molti luoghi comuni ormai datati sui giovani e sulle loro scelte. Anche un mondo cruciale come l’impresa, messo a fuoco nel sesto capitolo del Rapporto-proposta, può diventare un laboratorio importante per capire come sta cambiando la situazione giovanile, in bilico tra precarietà e opportunità. Ci sono dei punti fermi, alcuni dei quali abbastanza sorprendenti, che meritano di essere considerati. Primo: le nostre imprese hanno sempre più bisogno dei giovani. Secondo: i giovani italiani entrano nel mercato del lavoro mediamente tre anni dopo i loro coetanei europei. Terzo: l’esperienza del lavoro rimotiva allo studio.

 

«La nostra è una società inospitale per i giovani – spiega Claudio Gentili, direttore del settore education di Confindustria –. Per questo, occorre ripartire dalla scuola, dall’università e dalla ricerca, senza dimenticare che la didattica da sola non basta. Ci sono ricerche pedagogiche che dimostrano come giovani studenti pluribocciati, incapaci in classe di trovare le giuste motivazioni, possono cambiare idea sull’importanza della formazione proprio grazie alla loro esperienza professionale». Maturare competenze nel mercato del lavoro fa crescere, dunque, e ciò che a tutti gli effetti può essere considerato un fallimento, cioé la conclusione prematura degli studi, in realtà può diventare l’occasione per un salutare salto di qualità.

 

«Sarebbe bene – sottolinea il rapporto – che, accanto alla classica e inevitabile domanda 'Ci sarà un posto di lavoro anche per me, ora che ho finito gli studi?', alcuni giovani avessero il coraggio di porsi un’altra domanda: 'Quanti posti di lavoro sarò capace di creare, con la mia intraprendenza, la mia competenza, il mio senso del rischio?'».

 

Come farsi carico di un cambiamento di prospettiva del genere, per di più in un contesto economico e sociale segnato dalla crisi? «Se si allarga lo sguardo sui tempi che stiamo vivendo – osserva Gentili – mi pare sia necessario cogliere l’occasione per rilanciare il forte bisogno di etica». Senza un approccio condiviso in nome delle regole, il mercato non può rispondere appieno alla sua funzione, l’impresa non riesce a essere a servizio della comunità e, viceversa, il territorio fatica a valorizzare i segnali di innovazione che arrivano dalle aziende.

 

Lo stesso vale per il dialogo tra le generazioni, in cui è chiesto agli adulti innanzitutto di rimettere in campo le proprie competenze e le proprie capacità. «È una sfida di tipo antropologico, che riguarda la società tutta – sintetizza Gentili – Al centro ci sono valori come l’identità, l’assunzione di responsabilità, l’innovazione e il contributo a uno sviluppo che sia finalmente sostenibile».

 

Impresa

 

Estratto da “La sfida educativa”

Rapporto-proposta sull’educazione

a cura del Comitato per il Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana

 

In base alla Carta Costituzionale, la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro. A taluni questa fondazione è apparsa gracile, in quanto il lavoro viene considerato dalle teorie economiche una merce. Ad altri è sembrata una affermazione imprecisa, in quanto l’indole italiana più che al lavoro è legata al posto di lavoro. Ad altri ancora è apparsa una eccessiva concessione al mito marxista del lavoratore.

 

In realtà a fondamento della nostra Costituzione c’è la libertà della persona che lavora, la persona che, grazie al lavoro, rende possibile il progresso economico, sociale e umano. In un modo o nell’altro, la nostra esistenza dipende dal lavoro, nostro o altrui, lavoro che ha costituito la struttura portante dell’evoluzione della civiltà.

 

Sul piano storico, il riconoscimento della dignità sociale della persona che lavora e la traduzione in realtà del principio della libera iniziativa dell’uomo sono state lunghe e faticose, ma hanno determinato una visione dello sviluppo economico e sociale che si sta affermando, a livello mondiale, con sempre più nazioni coinvolte nei meccanismi di mercato e il conseguente affrancamento dalla povertà di centinaia di milioni di persone.

 

 

 

Diego Motta, CPC, Conferenza Episcopale Italiana

http://http://www.cci.progettoculturale.it/http://www.avvenire.it/

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