Il verbo "co-operare" descrive adeguatamente il compito della Chiesa nella nuova evangelizzazione. «All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».
Da cosa è caratterizzato il contesto sociale in cui siamo chiamati a trasmettere la fede in questo inizio del Terzo millennio? Durante l’Assemblea sinodale sono emerse molte osservazioni a questo proposito. Oggi, anche in forza del processo di secolarizzazione, dobbiamo fare i conti con una "società plurale", in cui convivono soggetti portatori di mondovisioni spesso assai differenti tra loro e potenzialmente in conflitto: il fenomeno dell’indifferenza sociale nei confronti delle differenze, della società della rete (in riferimento allo strabiliante sviluppo dei mezzi di comunicazione), del meticciato di civiltà e di culture, nonché quello dell’imponenza della capacità manipolatoria del reale da parte delle tecnoscienze caratterizzano le nostre società plurali. In tale contesto, la domanda religiosa, legata ultimamente al rapporto costitutivo dell’uomo con il reale e pertanto ultimamente inestirpabile, emerge come domanda di senso (significato e direzione), di libertà e di felicità, che chiede di essere intercettata ed interpretata.
Il Santo Padre ha indirizzato il nostro sguardo e il nostro pensiero a quello che possiamo chiamare l’antefatto fondante la Chiesa: «Dio ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato, ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi, affinché diventi salvezza? (...) Solo Dio stesso può creare la sua Chiesa, Dio è il primo agente: se Dio non agisce, le nostre cose sono solo le nostre e sono insufficienti; solo Dio può testimoniare che è Lui che parla e ha parlato. Pentecoste è la condizione della nascita della Chiesa (...) Dio è l’inizio sempre» (riflessione nel corso della prima congregazione, 8 ottobre). Così un’indicazione fondamentale per la nuova evangelizzazione all’inizio dei lavori sinodali può essere formulata in questo modo: la precedenza è sempre di Dio, Egli parla e opera. La Chiesa può solo co-operare.
Mi pare che proprio il verbo "co-operare" possa descrivere adeguatamente il compito della Chiesa nella nuova evangelizzazione, un compito che «risponde a un orientamento programmatico per la vita della Chiesa, di tutti i suoi membri, delle famiglie, delle comunità, delle sue istituzioni (...) La Chiesa esiste per evangelizzare» (Benedetto XVI, omelia per l’apertura del Sinodo, 7 ottobre). Possiamo ora entrare un poco nelle principali indicazioni che l’Assemblea sinodale ha fornito in merito all’argomento scelto: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. I criteri fondamentali per la nuova evangelizzazione li situiamo nell’orizzonte proposto da Benedetto XVI. Anzitutto la precedenza di Dio, descritta riferendosi all’avvenimento trinitario di Gesù Cristo in termini di "soggetto" e, nello stesso tempo, di "contenuto" della nuova evangelizzazione. I Padri hanno parlato in proposito della Santissima Trinità fonte della nuova evangelizzazione e della necessità di sottolineare la filiazione divina come il suo orizzonte compiuto. Anche il «Messaggio al popolo di Dio» è riferito al contenuto della nuova evangelizzazione in termini di incontro personale con Gesù Cristo nella Chiesa. Questo tema, di gran lunga il più citato dai Padri, fa riferimento al celebre esordio dell’enciclica Deus caritas est: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».
In secondo luogo il lavoro sinodale si è soffermato abbondantemente sulla Chiesa come "co-agonista" della nuova evangelizzazione. Questa, insieme alla missio ad gentes e alla cura pastorale del popolo cristiano, fa parte della dimensione missionaria della Chiesa che, sulla scia dell’insegnamento del Vaticano II, dev’essere riconosciuta come una dimensione essenziale e permanente del cammino storico della Chiesa. È significativo che i Padri abbiano declinato questo argomento insistendo sulla chiave che potremmo chiamare "antropologica" della Chiesa, e cioè mettendo in evidenza come la Chiesa vive questa sua natura missionaria proprio in quanto essa accade nella vita dei fedeli cristiani (Guardini). In questo senso si è ricordato con forza come la missione riguardi ogni cristiano in quanto tale, o per dirla in altro modo, come la missione scaturisca essenzialmente dall’iniziazione cristiana, dall’identità cristiana.
All’interno della prospettiva antropologica i Padri sinodali hanno insistito su due fattori che, a mio avviso, in modo acuto rivestono il valore di "bussola anche per il futuro" propria degli insegnamenti del Concilio Vaticano II: così sono stati definiti dal Papa nella catechesi dell’Udienza generale del 10 ottobre. Mi riferisco anzitutto all’insistenza sulla santità e sulla vocazione universale alla santità, che riprende l’insegnamento del capitolo V della costituzione dogmatica Lumen gentium. Con decisione i Padri hanno sottolineato che i santi sono i veri protagonisti dell’evangelizzazione. Ne consegue la seconda insistenza, e cioè la necessità di «conversione». Con tale termine si radicalizza la benefica dinamica di «aggiornamento» e «riforma» che caratterizzò l’ultima assisse ecumenica. Una conversione che dev’essere anche «pastorale», nel senso che deve cogliere i cambiamenti verificatisi nel nostro tempo e l’impossibilità di continuare ad agire dando per scontato un contesto cristiano che non è più quello di un tempo anche se conserva, almeno in taluni situazioni particolari, forti radici popolari.
La nuova evangelizzazione è anzitutto questione di "testimonianza" o, per meglio dire, di testimoni in un mondo secolarizzato. In quale forma i cristiani vivono in prima persona il loro essere testimoni? Possiamo evidenziare le indicazioni offerte dall’Assemblea a partire dal binomio confessio-caritas. La testimonianza è confessio perché Dio stesso è in un certo senso il contenuto della fede, Colui che ci chiede la disponibilità a consegnare la vita proprio nel renderGli testimonianza. In modo inscindibile la testimonianza è anche caritas. Questa dimensione non si giustappone a quella della confessio, ma ne costituisce la verifica: la carità legittima, per così dire, la verità, la rende credibile. La carità, come forma propria della vita cristiana, comunica in linguaggio accessibile a ogni uomo, qualunque sia la circostanza in cui si trova, la verità del Vangelo. (dal discorso al seminario di studio per i vescovi italiani sul Sinodo, il 13 novembre a Roma, Villa Aurelia)
Card. Angelo Scola
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