In nome di Dio da Giovani per i Giovani

Ovvero quando un uso “ristretto” della ragione crea volutamente confusioni ed equivoci a scapito di una visione sensata, reale e “buona” dell'uomo e del suo mondo.

In nome di Dio da Giovani per i Giovani

da GxG Magazine

del 05 ottobre 2009

 

 

 

Tra barconi, angeli e demoni...

 

Mentre scriviamo, sulle pagine dei giornali rimbalzano le notizie di barconi carichi di migranti diretti verso l’Italia. Intercettati in acque internazionali da motovedette della guardia costiera italiana, sono stati rimorchiati nei presunti porti di partenza. Si accende ovunque il dibattito sull’Italia multietnica e soprattutto multi religiosa. A Nazareth, tra qualche giorno il papa ha celebrato una blindatissima eucaristia alla presenza di oltre cinquantamila pellegrini, in mezzo alle polemiche di un viaggio a cui qualcuno di riferisce già come “storico”. In Italia intanto chiunque pontifica sulla opportunità o meno dell’incontro tra culture e soprattutto religioni, oggi più che mai pensate come ostili retaggi lontani in lotta perenne contro la tolleranza e alla democrazia occidentale. Dopo la conferenza di Regesburg, il mite “papa teologo” della divinità dell’Amore (Deus est Charitas) viene osservato, commentato, criticato in ogni esternazione e gesto con una veemenza e toni da drammone hollywoodiano alla Angeli e Demoni.

 

Religioni: croce o delizia?

 

Siamo certi che quando verremo letti le nostre parole avranno un sapore di stantio e lontano nel tempo, tuttavia, pur non potendo vantare la freschezza, l’immediatezza e la tempestività di un blog telematico, crediamo sia doveroso offrire qualche strumento di riflessione in più su un argomento come quello del Dio unico di Ebrei, Cristiani e Mussulmani che fa parlare, sparlare e straparlare di sé e di propri fedeli chiunque, dalle veline ai conduttori di Tg. Lo facciamo offendo un denso contributo del filosofo francese Rémi Brague, docente di Filosofia araba e medievale alla Sorbona di Parigi e di Filosofia delle religioni europee all’Università Ludwig-Maximilian di Monaco. Il prof. Brague, autore tra l’altro di una decina di saggi tra cui Il futuro dell’Occidente (2005) tradotto in dodici lingue, ci propone un succoso materiale di riflessione, di cui proponiamo le pagine iniziali: RÉMI BRAGUE, Il Dio dei cristiani. L’unico Dio?, Raffaello Cortina, Milano 2009, pp. IX-23 (€ 18,00), lasciando ai più curiosi e volenterosi la lettura di un testo che non delude per la competenza e l’approccio filosofico. In un tempo in cui anche l’apologetica cattolica si fa veemente e a tratti eccessivamente combattiva la pacatezza di una analisi filosofica fa emerge con chiarezza tutta la forza e la pro positività del Dio cristiano davanti ai suoi presunti parenti: il Dio mussulmano e quello ebraico.  

 

 

Il Dio dei cristiani. L’unico Dio?

 

 

Iniziamo da due grandi verità lapalissiane: Dio è, in sé, lo stesso per tutti ed è al di là di ogni possibile rappresentazione. Ma dopo aver sfondato queste due porte aperte, passiamo alle cose serie. Perché la cosa interessante è che le immagini e i concetti di Dio (concetti che, in fondo, sono a loro volta immagini) variano a seconda degli uomini e dei gruppi che li uniscono, che si tratti di scuole filosofiche o di religioni. E se non possiamo cogliere direttamente che cosa sia (o meglio, chi sia) Dio in sé e per sé, tale incapacità ci rimanda proprio alla diversità delle sue rappresentazioni esistenti e ci impone di chiarire le sfumature o gli abissi che le separano.  

 

Dio è l’unico essere che possa essere ateo

 

Questo libro non si propone di avanzare una possibile “teoria di Dio”, ma solo di descrivere l’immagine che una determinata religione, il Cristianesimo, si fa di esso, considerando talvolta, di sfuggita, anche le immagini che se ne fanno le altre religioni, quelle del passato o quelle ancora esistenti. Mi occuperò, dunque, del Dio dei cristiani e non, come a volte si sente dire, del “Dio cristiano”. Formulazione assurda, dal momento che Dio è l’oggetto delle religioni e non un loro seguace. In fondo, Dio è l’unico essere che di diritto possa essere ateo. Spero di avere scritto un libro di filosofia o, comunque, il libro di qualcuno che si considera un filosofo e che guarda alla teologia con una certa invidia, come a una disciplina altrettanto critica della sua. La teologia, infatti, è l’unica disciplina che inizia interrogandosi su quello che gli altri saperi danno per presupposto, ossia l’esistenza stessa dell’oggetto studiato, e avanza solo perché cerca un significato sempre più puro per il sostantivo “Dio” e per il verbo “esistere”.

 

Il Dio dei Cristiani

 

Non ho intenzione di rendere più plausibile l’esistenza di Dio apportandone le “prove”, un termine, del resto, che i migliori teologi evitano o utilizzano solo con mille precauzioni. Vorrei semplicemente mostrare che una certa immagine di Dio, quella del Cristianesimo, ha alcuni tratti che la contraddistinguono da altre immagini. Per questo, inizierò da alcuni fraintendimenti molto diffusi e che è meglio evitare, se non si vuole partire con il piede sbagliato. Considererò poi che cosa possa significare “conoscere Dio”. Infine, analizzerò alcune caratteristiche di Dio: è uno, ma in un modo molto preciso; è padre, ma non di sesso maschile; ha parlato, ma non per chiederci qualcosa; perdona, ma senza ignorare la decisione della nostra libertà.

 

Un’immagine incompleta

 

Senza dubbio, l’immagine che fornisco del Cristianesimo è incompleta. Però, non ho mai preteso di parlare di tutto, né avrei potuto farlo. Ovviamente, non penso che tale immagine sia perfetta e invito tutti a migliorarla e a correggerla. Non ho nemmeno la pretesa di presentare in modo esaustivo l’immagine di Dio fornita dalle altre religioni di cui mi occupo. Vi accenno solo quando il paragone aiuta a far emergere la singolarità del Cristianesimo. Del resto, il titolo alquanto disinvolto del libro serve a sottolineare il carattere incompleto di questo lavoro. Invece, per quanto concerne il Dio che esso rappresenta in modo approssimativo, il lettore potrà accettarlo o rifiutarlo, senza che ci sia bisogno di una mia autorizzazione. Spero, comunque, che in entrambi i casi possa farlo con maggiore cognizione di causa.

 

Per finirla con i Tre

 

Da qualche anno, quando si parla di religione, sui media ricorrono incessantemente tre espressioni che fanno sempre riferimento al “tre”: “i tre monoteismi”, “le tre religioni di Abramo”, “le tre religioni del Libro”. Difficilmente si possono scorrere le pagine di un giornale, ascoltare trasmissioni radiofoniche o televisive, confessionali o laiche, senza leggere o sentirsi imporre come un’evidenza una di queste formulazioni, o addirittura tutte e tre insieme. A partire dagli anni Ottanta si sono moltiplicati anche i libri, talvolta di buona qualità, che riprendono una delle tre espressioni nei loro titoli.

 

 

Sarebbe interessante studiare la storia di queste espressioni, cosa che non ho avuto il coraggio di fare. In ogni caso, con beneficio d’inventario, penso che la loro genealogia possa essere fatta risalire al Medioevo: più precisamente, all’idea di associare l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam non a partire da una comune simpatia, ma da una comune denuncia. Così, l’espressione “le tre religioni” non sarebbe altro che l’ultima trasformazione di quello che un tempo si attribuiva ai “tre impostori”: Mosè, Gesù e Maometto (Muhammad), accusati di avere ingannato l’umanità!

 

Ma si può anche supporre che tali espressioni siano state coniate più di recente e che oggi le si continui a utilizzare per ragioni più nobili: indicherebbero un punto comune fra le tre religioni in questione, e forse un terreno di intesa per la pratica.

 

Voglio ora mostrare come tali espressioni siano al tempo stesso false e pericolose. False, nella misura in cui ognuna di esse implica un errore molto grave sulla natura delle tre religioni, che si pretende così di ricondurre a un denominatore comune. Pericolose, perché incoraggiano una pigrizia intellettuale che ci dispensa dall’analizzare più a fondo la realtà. Le analizzerò una alla volta, a cominciare dall’idea di “monoteismo”. [...]

 

Il “fatto” cristiano

 

Il Cristianesimo è anzitutto un fatto, un movimento, un evento legato a una precisa persona, quella di Gesù di Nazareth, mentre il libro è posteriore. Lo scopo degli evangelisti, quando cominciarono a raccontare la storia di Gesù, non era redigere una biografia, ma mostrare che la sua vita ri-dava senso alla storia di Israele, o addirittura alla vita umana nella sua interezza. L’inizio del Cristianesimo, quindi, è anzitutto un evento: la predicazione di Gesù e il messaggio dei suoi discepoli, che affermano che Gesù è resuscitato, che è apparso ad alcuni testimoni e che ritornerà in gloria. I primi cristiani pensavano probabilmente che questo ritorno fosse imminente, che Gesù si sarebbe manifestato immediatamente. Per questo, non avevano né il tempo né la necessità di scrivere tale messaggio. Potevano tutt’al più scrivere alla comunità cui loro stessi avevano predicato questo evento straordinario per chiederle di aspettare, di essere paziente. È questo il contenuto dei più antichi testi del Nuovo Testamento, le due lettere di Paolo ai cristiani di Tessalonica. Solo in un secondo momento i cristiani cominciarono a raccogliere i discorsi di Gesù, nei quali si trovano formulazioni davvero notevoli. Per quanto riguarda la redazione dei Vangeli, sembra che, dapprima, siano state messe a punto delle liste di discorsi o di miracoli di cui gli Evangelisti erano venuti a conoscenza e che poi questi ultimi abbiano lavorato seguendo uno schema storico fattuale. Ci troviamo, dunque, in presenza di un evento che viene poi raccontato in un libro; ma la cosa essenziale è l’evento, non il libro.

 

Rivelazioni diverse per le religioni del libro

 

Per terminare, anche il concetto di “religione rivelata” è ingannevole perché nelle tre religioni la rivelazione non ha lo stesso significato.

Nell’Ebraismo la rivelazione concerne la storia del popolo di Israele. Una storia che non è unicamente la cornice neutra all’interno della quale viene rivelato qualcosa di Dio, poiché gli eventi sono contemporaneamente il mezzo della rivelazione e il suo oggetto. I comandamenti contenuti nella Torah sono stati dati da Dio in un certo momento di questa storia. Ma quali sono stati rivelati direttamente? È questo un tema di discussione tra i rabbini: l’intera Torah? I dieci comandamenti? Il solo nome di Dio, mentre tutto il resto sarebbe stato detto da Mosè?

 

Per il Cristianesimo l’oggetto rivelato non è il Nuovo Testamento, ma Cristo stesso: il libro racconta semplicemente la sua storia e ricorda i suoi insegnamenti.

 

Nell’Islam l’oggetto rivelato è davvero il libro; la persona di Muhammad, per lo meno nell’Islam delle origini, ha poca importanza. Per questo si può affermare che l’unica religione del libro, in senso stretto, sia l’Islam: in essa, infatti, l’autore del Corano non è Muhammad, ma Dio stesso che l’ha dettato; Muhammad ne è solo lo scriba. Nello stesso modo, il vero autore del Paradiso perduto è Milton e non sua figlia, cui, diventato cieco, egli ha dettato il poema. Nell’Ebraismo e nel Cristianesimo il libro sacro è un libro ispirato, ossia scritto, composto, pensato da uomini “aiutati” da Dio, in modo che non contenga errori sulla Sua natura o sulla Sua volontà. Questo non significa, però, che la Bibbia non contenga errori, per esempio rispetto alla cronologia, o che non presupponga una visione dell’universo fisico oggi del tutto superata. Per l’Islam, invece, il Corano non può contenere errori, contraddizioni o disposizioni provvisorie. Ciò che può sembrare tale viene rettificato nei passaggi che si suppone siano stati rivelati posteriormente. Nel Corano tutto deve essere vero, e persino definitivo. Per questo, una letteratura abbondante e sempre rinnovata si sforza di mostrare, a ogni nuova scoperta scientifica, che essa era già contenuta nel Corano.

 

Ma oltre agli oggetti rivelati differiscono anche i contenuti trasmessi da tali oggetti. Per l’Ebraismo e il Cristianesimo la rivelazione è una manifestazione di Dio stesso. Manifestazione di un Dio che, proprio perché personale, resta necessariamente misterioso. Per l’Islam, invece, Dio non si manifesta in sé, ma detta la propria volontà promulgando alcuni comandamenti, e non entra nella storia umana stringendo un’alleanza con l’uomo.

 

Così, la presenza di un libro, comune alle tre religioni, rinvia a tre diversi modi di rapportarsi al libro stesso, i quali, a loro volta, derivano da tre rappresentazioni diverse del modo in cui i libri sacri sono stati comunicati agli uomini».  

 

don Lorenzo Teston

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