Continuano gli attacchi degli induisti alla minoranza con una media di quasi un raid al giorno. Non ci sono stati mai risarcimenti per le famiglie dei morti e per le vittime di abusi sessuali
La persecuzione contro i cristiani dell’Orissa, stato orientale dell’India noto anche per la varietà etnica, oltre che per un territorio non sempre di facile accesso, scoppiò improvvisa 13 anni fa, il 25 agosto 2008 con epicentro nel distretto di Kandhamal. Proprio qui, due giorni prima l’assassinio di un leader indù estremista, Swami Laxmanananda Saraswati, rivendicato anche in seguito dai ribelli maoisti ma attribuita ai cristiani messi alle strette dalla propaganda aggressiva di Saraswati, aveva fatto alzare la tensione tra una parte degli indù e i battezzati, quasi tutti di origine tribale o dalit (fuoricasta).
I pochi giorni di estrema violenza, che si estese poi in una sorta di pogrom anche ad altre aree dell’Orissa e dell’India, aprirono un tempo di pressione ancora in corso dell’estremismo induista sulle comunità di battezzati o verso istituzioni religiose, educative e sociali gestite dalla Chiesa cattolica.
Pesante il bilancio di allora: un centinaio i morti, decine le vittime di abusi sessuali e torture, 56mila gli sfollati in fuga da roghi e devastazioni che interessarono 6.000 abitazioni di cristiani e 300 chiese, conventi e ostelli. A dimostrare come le vicende dell’agosto 2008 non siano state dimenticate ma anzi abbiano acquistato valore di testimonianza e di monito, in preparazione dell’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale cattolica dell’India dello scorso febbraio con sede nel capoluogo dell’Orissa, Bhubaneswar, l’arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar mons. John Barwa e il vicesegretario della Conferenza episcopale, padre Stephen Alathara, hanno visitato il Kandhamal incontrando sacerdoti e suore per raccogliere informazioni di prima mano da condividere durante l’assemblea.
L’intento era di individuare azioni più incisive a favore di quanti, avendo perduto congiunti e beni, spesso costretti a vivere lontano dai villaggi d’origine, non hanno ancora ricevuto indennizzi adeguati. Anche però di arrivare alla piena assoluzione per «i sette del Kandhamal», cristiani di modeste origini accusati di avere partecipato all’assassinio di Saraswati e per questo detenuti per nove anni in condizioni di estrema severità. Solo nel 2019 hanno visto aprirsi le porte del carcere e riabbracciato le famiglie; rilasciati su cauzione per l’impegno dei loro congiunti, di attivisti, giornalisti e personalità religiose.
Il 30 agosto, la Chiesa dell’Orissa ricorderà per il quinto anno consecutivo la Giornata dei martiri ma non sarà l’unica a fare dei prossimi giorni un tempo di riflessione sulla condizione delle minoranze religiose in India. In vista di quelle che sono da alcuni anni indicate come «giornate della memoria per il Kandhamal» (25-29 agosto) quest’anno il National Solidarity Forum, coordinamento di oltre 70 organizzazioni per i diritti umani ha deciso, tra altre iniziative, anche di istituire due riconoscimenti in onore di vittime e sopravvissuti delle violenze.
Da parte sua l’Alliance Defending Freedom, nata per la determinazione di Tehmina Arora – nota per la sua attività di avvocato, di specialista di diritto costituzionale e per le sue campagne per i diritti delle minoranze – punterà a denunciare all’opinione pubblica una media annua (sicuramente parziale) di più di 300 atti persecutori (in media quasi uno al giorno) contro i cristiani emersi dall’omertà, dalla paura e dall’indifferenza.
di Stefano Vecchia
tratto da avvenire.it
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