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Indignados siamo noi

Un piano di sviluppo sportivo che coinvolge i privati.


Indignados siamo noi

da Quaderni Cannibali

del 31 agosto 2011

 

          Sarà anche “indignada” questa Spagna, i cui giovani invadono le piazze per manifestare a gran voce tutta la loro protesta contro un potere politico ed economico incapace di offrire chance, di vita e di lavoro, alle nuove generazioni.

          È certamente un Paese attanagliato da colossali problemi di disoccupazione, indebitamento collettivo e crack immobiliari a catena. Ma è nello stesso tempo un Paese che, crisi o non crisi, nello sport continua a vincere. Anzi, a stravincere. Dopo il lungo ciclo del Real Madrid, attualmente la Spagna stravince nel calcio con il Barcellona, la cui recente vittoria della Champions’ League ha innescato addirittura inni alla “squadra più forte di tutti i tempi”, e con la nazionale, favorita agli Europei del 2012 dopo essersi portata a casa il Mondiale sudafricano del 2010. Stravince nel tennis, dove dal 2000 a oggi quattro coppe Davis sono state vinte dalla Spagna, e dove il nome di Rafael Nadal, 25 anni, da Maiorca, campeggia in cima a un ranking mondiale in cui troviamo anche David Ferrer al settimo posto, Nicolas Almagro al dodicesimo e Fernando Verdasco al ventesimo (nessun’altra nazione va così forte). Stravince nel ciclismo, dove il nuovo cannibale delle corse a tappe ha l’eleganza e la ferocia tattica di Alberto Contador, 29 anni, da Madrid, attorniato da vecchi leoni come Oscar Freire e Joachim Rodriguez. Vince nei motori, dove quell’indiavolato talento di Jorge Lorenzo, 24 anni, da Palma di Maiorca, non dà scampo nemmeno a Valentino Rossi nella moto gp, e dove Fernando Alonso, 30 anni, da Oviedo, con la sua sola classe mantiene la Ferrari ai livelli competitivi che merita la storia del cavallino rosso. E vince nel basket, grazie a una nazionale campione mondiale ed europea nel giro di quattro anni, e ai club di Madrid e Barcellona notoriamente conquistatori di titoli e coppe.

La politica sportiva

          Per non parlare della grande scuola del mezzofondo in atletica leggera (da Firmin Cacho in avanti), dei titoli mondiali del calcio a cinque, dei vari successi conseguiti nel nuoto sincronizzato, dell’alta competitività della nazionale femminile di basket, dell’assoluta eccellenza di tutto l’hockey su pista iberico, del golf maschile e del tennis femminile dominati negli scorsi anni dallo scomparso, immenso Saveriano Ballesteros, e dall’ineffabile classe di una regina come Arantxa Sanchez.Questi citati sono solo i tanti vertici di un movimento nazionale che, a partire dagli anni ’90, ha pochi uguali nel pianeta. Un fenomeno che non si può spiegare limitandosi all’esuberante competitività tipica degli spagnoli, e a una passione popolare che da sempre riempie gli stadi e i palazzetti del Paese iberico. Esistono anche cause strutturali, soprattutto quella “politica sportiva” che viene giustamente compresa fra gli indicatori dello stato di salute di un Paese moderno. In tal senso la Spagna, una volta uscita dalla dittatura franchista durata fino al 1978, è diventata protagonista di un boom economico impetuoso e sorprendente, i cui effetti si sono prolungati fino a pochi anni fa. È seguito il brutale risveglio sotto gli occhi di tutti, come sovente succede quando lo sviluppo germina troppo sregolato e incontrollabile, ma è nello stesso tempo lampante che alcuni risultati, conseguiti durante gli anni di vacche grasse, sembrano destinati a restare. Compresa una vitalità politica che, portando milioni di ragazzi “indignados” a manifestare civilmente nelle piazze del Paese, fa ben sperare per le capacità di ricambio da affidare alle nuove generazioni.

Il piano vincente

          Quanto allo sport, i trionfi trovano ragione anche in una formula tutt’altro che magica chiamata “Piano Ado”. Il quale prende il nome dalla “Asociacion Deportes Olimpicos”, organismo che in Spagna mette assieme le federazioni olimpiche. E’ qui che nel 1988 si comincia ad assegnare borse di studio finalizzate a sostenere le attività dei migliori talenti del Paese. Anche in un anno di piena recessione come il 2010, il Piano Ado ha continuato a funzionare, erogando 10 milioni e 600mila euro suddivisi fra 357 atleti. Ciò è possibile grazie al ruolo determinante degli investitori privati. Di aziende che ottengono dallo Stato benefici fiscali in cambio del loro impegno a favore di uno sport nazionale che, imponendosi nel mondo, contribuisce a mantenere vive vincente l’immagine della Spagna.

          A Madrid ne sono talmente convinti che anche i finanziamenti statali concessi alle federazioni continuano a piovere in modo organizzato e copioso, con riflessi positivi nell’ambito della formazione di tecnici e insegnanti rivelatisi decisici nello spingere così in alto il movimento agonistico del loro Paese.

Rialzare l’Italia

          In Italia non è esattamente lo stesso. Anche se, a livello di sistema, segni di ripresa confortanti si intravedono in discipline come lo sci alpino e il pugilato dilettantistico, la politica sportiva del nostro Paese presenta tuttora i segni di un deficit pesante, soprattutto per quanto riguarda le strutture, la scuola dell’obbligo, i vivai, la formazione tecnica. Se nel 2012, alle Olimpiadi di Londra riusciremo a tenere alto l’onore del Paese, sarà con ogni probabilità grazie alle risorse infinite della gloriosissima scherma nazionale, e agli exploit che potranno ottenere singoli fuoriclasse come Federica Pellegrini nel nuoto e Tania Cagnotto nei tuffi. Con il rischio che lo scintillio di qualche medaglia più del previsto (perché, è noto, gli italiani sono sempre e comunque capaci di fare l’impresa) possa nuovamente offuscare le magagne di un Paese dove le palestre cadono a pezzi, le piccole società sono abbandonate al loro gramo destino economico, e le famiglie faticano sempre di più a garantire una formazione sportiva ai loro bambini. Servirebbe un Piano Ado anche da noi, con la possibilità di coinvolgere i privati nella crescita effettiva, e non solamente di immagine, di un’Italia che oggi sta meglio economicamente della Spagna, eppure continua a soffrire la schiacciante superiorità di uno sport spagnolo che alza coppe e taglia traguardi con irridente naturalezza. Il bello, anzi, il brutto è che, a giudicare da stadi e palasport sempre più vuoti, un pochino, o forse tanto “indignados”, lo siamo anche noi. Solo che, per ora, nessuno se ne accorge.

 

Stefano Ferrio

http://www.dimensioni.org

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