L'anniversario della ratifica della Convenzione di New York ci obbliga a ricordare le tante lacune ancora esistenti nel nostro Paese nella tutela di bambini e ragazzi
A trent’anni dalla ratifica della “Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia”, l’articolo mette in luce quante lacune esistono ancora nel nostro paese, ancor più aggravate dalle problematiche causate dalla pandemia. Vengono inoltre analizzati i cinque articoli fondamentali della Convenzione mettendoli in rapporto alla situazione nazionale.
La redazione
“Liberi di crescere”. Ecco lo slogan scelto dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza in occasione del trentennale della ratifica della Convenzione di New York da parte dell’Italia ( 27 maggio 1991). “È una responsabilità che impone a istituzioni, comunità e genitori di assicurare un futuro a bambini e ragazzi investiti dagli effetti della pandemia attraverso la tutela dei loro diritti: quelli alla salute, al gioco, all’istruzione, alla socialità, alla sicurezza e alla partecipazione nelle scelte che li riguardano”, ha detto Carla Garlatti.
La garante ha poi annunciato l’avvio di una serie di iniziative a tutela dei minorenni in questo periodo di pandemia. “Oggi il primo diritto è quello alla salute mentale dei minorenni: sono troppi i casi di autolesionismo e malessere registrati nei reparti ospedalieri. Si tratta di un fenomeno che richiede un’attenta analisi, per questo stiamo per avviare uno studio con l’Istituto superiore di sanità per capire quale sia stato il reale impatto dell’emergenza su bambini e ragazzi. Poi c’è il diritto all’istruzione, a proposito del quale l’Autorità ha appena insediato una commissione che svolgerà audizioni con esperti. L’obiettivo è quello di approfondire il tema della dispersione scolastica, perché si possano adottare contromisure. E sempre sul tema della scuola l’Autorità chiede di rafforzare l’educazione digitale, anche per arginare cyberbullismo e comportamenti scorretti in rete.
Richieste ineccepibili che lasciano comprendere come, a 30 anni dalla ratifica, i diritti dei bambini e dei ragazzi siano tutt’altro che tutelati nel nostro Paese. Per rendersene conto basta dare uno sguardo ai punti essenziali della Convenzione di New York adottata dall’assemblea generale dell’Oni il 20 novembre 1989. Nonostante sia il trattato con il maggior numero di ratifiche al mondo (192), ma gli Stati Uniti per esempio non l’hanno mai sottoscritto, è forse il più disatteso.
Cinque i diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione. Innanzi tutto il principio di uguaglianza, visto che i diritti sanciti nella convenzione devono essere garantiti a tutti i minori senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino/adolescente o dei genitori. Ma altrettanto importante il cosiddetto “superiore interesse del fanciullo” (art. 3) secondo cui in ogni decisione, azione legislativa, provvedimento giuridico, iniziativa pubblica o privata di assistenza sociale deve considerare preminente l'interesse superiore del bambino. Chi stabilisce però quale sia il “superiore interesse” del minore e come venga applicato questo principio è tema che non smette di essere dibattuto.
Quando poi andiamo all’articolo 12 che impone il dovere di ascoltare l’opinione del fanciullo in tutti i processi decisionali che lo riguardano e prevede il corrispondente dovere per gli adulti di tenere in adeguata considerazione le sue opinioni, cominciano i problemi. Il nostro diritto minorile infatti non prevede nessun obbligo in questo senso. È sempre il giudice che valuta quando e come sia opportuno – secondo la sua insindacabile valutazione – ascoltare un ragazzo durante un procedimento giudiziario.
E il diritto di vivere ed essere educato nella famiglia di origine previsto dall’articolo 5?
Se pensiamo che ogni giorno in Italia 23 minorenni vengono allontanati dalla propria famiglia con provvedimenti dell’autorità giudiziaria o dei servizi sociali che, nella maggior parte dei casi, finiscono per essere contestati e per scatenare confronti giudiziari lunghissimi e densi di sofferenza, appare evidente come anche in questo caso la Convenzione di New York rimanga troppo spesso un elenco di buone intenzioni.
Tanto più che lo stesso principio è sancito dall’articolo 9 che vieta di separare il minore dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione é necessaria nell'interesse preminente del fanciullo. E siamo alle solite. Chi decide qual è il “preminente interesse del fanciullo”? Se c’è un procedimento giudiziario, naturalmente un giudice? Chi decide se è opportuno o meno ascoltare il parere del minore? Naturalmente un giudice, come detto, con il parere spesso vincolante di perizie, controperizie e tutte le inevitabili contestazioni correlate. E i genitori? Molto spesso non hanno la possibilità di intervenire né di essere ascoltati, almeno finché il procedimento giudiziario non sia stato istruito. E, secondo i tempi della giustizia italiana, passano anche molti mesi.
La Convenzione parla anche di adozione, anzi del “diritto all’adozione” (articolo 20) nel caso in cui il fanciullo venga “temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare”. Ma anche questo diritto rimane nella maggior parte dei casi sulla carta se è vero che, secondo stime Unicef, sono almeno 150 milioni i bambini orfani nel mondo in attesa di una famiglia, E in Italia, come abbiamo più volte sottolineato, l’adozione internazionale rimane una scelta costosa e complessa, certamente non sostenuta né promossa dallo Stato.
D’altra parte per dare piena attuazione, 30 anni dopo, alla Convenzione di New York sarebbe necessario rivedere profondamente tutto il diritto minorile. Pochi esempi per mettere in luce questa urgenza. Non è ancora chiaro, a tanti anni dall’approvazione della legge che lo istituisce, quando sia il caso di procedere alla nomina del curatore speciale, come si debba procedere a tale nomina, come vada individuato il curatore speciale. Sarebbe auspicabile un intervento del legislatore in grado di superare i diversi orientamenti giurisprudenziali. Se è importante che il curatore ci sia – secondo appunto lo spirito della Convenzione - la sua nomina non può essere opinabile.
Come, a proposito dell’ascolto del minore – altro punto fermo della Convenzione – non esiste alcuna norma che prescriva quali “linee guida” adottare per fare in modo che la prassi sia rispettosa, prudente, non invasiva, attenta a non imporre domande suggestive o ingannevoli. Ecco perché quando si parla di “giusto processo” per le situazioni in cui sono coinvolti i minore e dell’impegno a salvaguardare “il superiore interesse” del fanciullo con la piena attuazione delle sue garanzie processuali, si fa riferimento a un auspicio ben lungi dall’essere realizzato.
D’altra parte se ne parla da solo trent’anni. Magari altrettanti saranno sufficienti per vedere concretizzato qualche punto tra i 54 articoli della Convenzione. Per ora, triste consolazione, limitiamoci a ricordare l’anniversario della ratifica.
di Luciano Moia
Testo tratto da avvenire.it
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