Non si cancella la dualità genitoriale. Il numeretto, accidenti, ancora segno estremo, moncherino, neutro sì come è una cifra, ma pur sempre segno tenuissimo di una differenza che non è eliminabile: "genitore 1", "genitore 2". La riduzione a cifra del differente...
A chi fa paura la differenza? Quale potentissimo meccanismo mentale si mette in moto – bruciando secoli, tradizioni, usanze, parole, leggi - per raggiungere quel che in Francia e altrove stanno ottenendo, ovvero di far fuori la diversità, e persino i nomi che la indicano, tra madre e padre? Coprendo con “genitore 1” e “genitore 2” la differenza tra padre e madre, onde far posto a una realtà di in-differenza sessuale e affettiva, si dà il segno estremo di una più generale in-differenza che risale (va detto) al tentativo di eliminare ogni diversità tra il creante e la creatura, insomma tra il principio o comunque lo si voglia chiamare creante della realtà naturale e la volontà umana di poterla, lei natura, dominare e piegare. Perché sta lì, nucleare e principiante, il nodo, il fuoco di ogni “differenza”: esser la natura qualcos’altro dalla mia volontà.
Un uomo totipotente elimina ogni differenza tra il suo desiderio e la realtà. Insomma, proprio coloro che hanno alzato per decenni le bandiere della esibita differenza stanno facendo correre il mondo verso la grande indifferenza. Ma se il potere politico può far sparire le parole madre e padre, non siamo di fronte a qualcosa di ancora più grande delle già violentissime pretese totalitarie di cancellare il nome ebreo dalla storia o zingaro o nero? Non c’è qualcosa di spaventoso nel voler cancellare i nomi primari e antichi? Dove sono gli intellettuali attenti alla sorte delle parole, gli accademici delle Accademie e delle Crusche, i pacatissimi professori che dovrebbero difendere la lingua e con essa e dentro di essa i suoi nervi, borborigmi e arie, e dentro le sue musiche la realtà che si dà per differenze? Tacciono, lasciano che si faccia strame delle parole care, durissime di padre, madre, sostituite da un in-differente “genitore”. E però il numeretto, accidenti, ancora segno estremo, moncherino, neutro sì come è una cifra, ma pur sempre segno tenuissimo di una differenza che non è eliminabile: 1, 2… La riduzione a cifra del differente. Come avviene sempre nelle prigionie o code burocratiche: persone-numero, persone-niente. Ma lì, in quei numeri resta quasi come ombra o lontano lampeggiare il segno della differenza tra la nostra volontà di schiacciare quel che non le si adegua e lo spettacolo del mondo, in cui il generare – da cui genitore - è possibile solo entro una relazione tra un genitore uomo e un genitore donna, per quanto distante, persino aiutata da diversi tipi di protesi e esperimenti.
La violenza con cui si spazzano via le parole madre e padre è quasi più grave, per così dire, di quella dell’uragano Sandy. Ma gli intellettuali, conniventi, collusi e venduti a questo potere dell’indifferenza, paurosi, al soldo di potenti lobby, o semplicemente vili, non danno segno di accorgersene, e lasciano andare. Non sanno che una civiltà in cui il potere politico elimina delle parole è – di fatto - una dittatura? I portatori del pensiero che ama le differenze – e non le astrazioni – non insorgono contro la nuova dittatura della indifferenza (dittatura democratica, fondata su elezioni, come quasi tutte le novecentesche)? No, non insorgono, la loro viltà è compiuta. La loro intelligenza, nemmeno disposta a difendere le parole “madre”, “padre”, è ormai contratta a mente ghigno, in attesa dell’indifferente. Come per una strana – ma comprensibile - cupidità che prende sempre i troppo potenti (o coloro che immaginano di esserlo, come racconta bene Conrad): la cupidità della fine, della morte che è la Grande Indifferente, la suprema Indifferenza. Chi cerca il potere finisce per odiare la vita “differente”, la vita come è. Sgarbata, alternativa, viva.
Davide Rondoni
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