La frase riportata nel titolo è la prima della formula del consenso matrimoniale. Ma il matrimonio cristiano non può ridursi a una scelta prevalentemente civile; esso comporta le conseguenze dell'adesione a Cristo, propria della coppia che lo sceglie.
La frase riportata nel titolo è la prima della formula più nota del consenso matrimoniale: «Io, N., accolgo te, N., come mia sposa (mio sposo) e con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Nel rito romano, queste parole vengono subito dopo le cosiddette interrogazioni: le domande, alle quali gli sposi rispondono "sì", e che assicurano la validità del patto matrimoniale, in quanto celebrato senza alcuna costrizione, in piena libertà e consapevoli del significato della decisione presa.
Una scelta, non un obbligo
A volte, però, sembra sfuggire proprio l'elemento centrale del matrimonio cristiano e cioè il fatto che sia sempre e in ogni caso una scelta, non un obbligo. Questo significa che nessuno può imporre il matrimonio cristiano ad alcun uomo o donna che abbiano una relazione stabile: in altri termini, è preferibile che una relazione stabile non sfoci nel matrimonio cristiano se i futuri coniugi non abbiano piena libertà e profonda consapevolezza dell'impegno che vanno ad assumersi prima di tutto davanti a Dio. Sono infatti fermamente convinta che ai fini della serietà e del rispetto del patto matrimoniale, sia assolutamente sufficiente e decisamente nobile l'impegno richiesto dal matrimonio civile.
Il matrimonio cristiano, invece, richiede elementi in più, riguardanti esplicitamente le conseguenze dell'adesione a Cristo della coppia che lo sceglie: non ha alcun senso celebrarlo fra chi non ha idea di cosa significhi o addirittura fra chi vi si opponga dal punto di vista religioso. Il matrimonio cristiano non può ridursi a scelta prevalentemente civile per garantire la moralità e l'impegno degli sposi; perderebbe così il suo altissimo significato religioso, che richiede di essere condiviso consapevolmente affinché vi si aderisca.
La consapevolezza nell'assumersi queste responsabilità si traduce in uno stile pratico di vita insieme per il quale quando si fanno sentire la stanchezza e la fatica, quando le condizioni sono difficili, quando il proprio marito o la propria moglie sembra "non si riconoscano più", l'ultimo, ma davvero l'ultimo pensiero da consentirsi di coltivare dovrebbe essere quello sulla validità del matrimonio celebrato anni addietro, che non è stato solo un impegno preso fra persone, ma anche – e soprattutto – coinvolgente la potenza operante dello Spirito Santo. Pensieri del tipo «non so se ho fatto bene a sposarmi...» e simili dovrebbero essere ritenuti sterili e perciò irrilevanti e senza alcun credito a partire dal momento in cui diventa operante il sacramento del matrimonio. E anche questa, in realtà, è davvero una scelta.
Tornando all'espressione del consenso, è estremamente significativo che le prime parole che si pronunciano dopo aver detto "sì" alle interrogazioni che stabiliscono la validità dell'alleanza matrimoniale siano "Io accolgo te". Di più: è oltremodo significativo che la prima parola sia "io". Perché – merita di essere detto di nuovo – la decisione di contrarre matrimonio proprio con quella donna, proprio con quell'uomo è personale e lo rimane per sempre: sono io ad aver scelto di sposare mio marito con il rito cristiano e lui ha scelto di sposare me con rito cristiano. Nessun altro l'ha scelto al posto nostro, nemmeno l'altro coniuge: la scelta non è "della coppia", ma dell'uomo e della donna che la compongono.
Nell'"io" detto all'inizio e che mi rende sposa, sposo, non c'è solo l'amore che, crescendo, ha portato a desiderare di più dallo stare insieme, di quanto non consentisse il tempo passato fino a quel momento. Ma c'è tutta la mia storia, tutto il mio essere, tutte le mie qualità, tutta la mia intelligenza, tutto il mio sentire, tutta la mia indole, tutto il mio soffrire, tutto il mio gioire; c'è tutta la vita che trova alimento dentro di me, nel cuore, nella testa, nel corpo, c'è tutto quello che mi ha reso chi sono fino a quel momento. C'è tutta me, tutto me. Niente è fuori, nulla può essere escluso. E lo stesso "tutto" è anche nel "te" rivolto alla persona scelta per sempre. Se "io" sono tutta me, "tu" sei tutto te e viceversa.
Differenze caratterizzanti gli sposi
La serietà con cui si pronunciano l'"io" e il "tu" è ulteriormente approfondita dal fatto che al momento del consenso ciascuno pronuncia il nome di battesimo proprio e dell'altra persona. Questo indica una serie di aspetti fondamentali, che però si possono riassumere nella consapevolezza che proprio io scelgo proprio te per sempre e nessun altro, perché nessun altro, nessun'altra, ha il tuo nome.
D'altro canto a me è sempre sembrato molto bello il fatto che, nel momento esatto in cui si stabilisce l'eternità dell'alleanza matrimoniale, si affermi anche la sostanziale e inevitabile diversità delle persone coinvolte. Dicendo io e tu, infatti, si dice anche di molte differenze che caratterizzano gli sposi: se ne possono dire alcune, senza pretesa di esaurirne le caratteristiche.
La prima, la più evidente, è sessuale e questo porta con sé conseguenze importanti nel modo di pensare, di sentire, di credere, di agire: l'uomo e la donna che si sposano sono diversi semplicemente perché uno è maschio e l'altra è femmina. Mi rendo conto che questo non è affatto di moda da pensare e tantomeno da dire, ma negarlo è negare la bellezza irriducibile di chi si è. Ovviamente la questione richiederebbe ulteriori approfondimenti, ma non è questo il tema del presente contributo: potrà essere affrontato in seguito, anche perché ha delle implicazioni inevitabili sulla vita concreta della coppia.
Un'altra differenza è di "storia personale": gli sposi non sono "uguali", né mai lo saranno, ma sperimenteranno sempre quella sensazione di lontananza che nasce dall'aver vissuto vicende personali e familiari diverse, che li hanno dotati di un differente sguardo sulle persone e sulle situazioni, di un differente modo di ragionare e sentire, di un differente metodo di assegnare le priorità e di scegliere, di un differente criterio nell'agire.
Gli sposi sono diversi anche per i "lati oscuri" del proprio carattere: nella vita insieme si fa costantemente esperienza della differenza di reazione di fronte alle vicende che accadono nel quotidiano, alle espressioni che ci si rivolge, alle persone e ai loro comportamenti. Spesso si dovranno fare i conti con tristezze e incomprensioni emerse da situazioni di cui l'altra persona non comprende affatto l'origine, oppure, a volte, di cui non si rende onestamente conto di essere causa. E questo è vero anche quando non si riuscirà a capire in profondità il motivo per cui si è stati causa di felicità per la persona che si ama.
La conseguenza immediata di tutto questo è che non ci si può sposare se non si è in grado di camminare con le proprie gambe: non si contrae il matrimonio cristiano per essere salvati dall'altra persona. Questa prerogativa è solo di Gesù Cristo: per noi, uomini e donne, è decisamente fuori portata ed è folle sia assumersene la responsabilità, sia chiedere all'altro/altra di assumerla. Tuttavia si contrae il matrimonio cristiano per accogliersi e con la grazia di Cristo promettere... Rendere nella concretezza di tutti i giorni la bellezza di questi verbi è la sfida che fa la santità del vincolo matrimoniale sancito dagli sposi e sarà questo il tema del prossimo articolo.
Emilia Palladino
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