Arriva il film che racconta il viaggio da Milano a Stoccolma di 5 siriani e una donna vestita da sposa. Gli autori che li hanno aiutati rischiano fino a 15 anni di carcere. "Un atto di disobbedienza civile”.
Un finto corteo nuziale, che parte da Milano e arriva a Stoccolma, sfidando le regole e i controlli della Fortezza Europa, per permettere a cinque ragazzi in fuga da un paese in guerra di avere un futuro migliore. Si chiama “Io sto con la sposa” il film documentario realizzato da Gabriele del Grande, giornalista e autore del blog Fortress Europe, Khaled Soliman Al Nassiry, poeta e scrittore palestinese siriano e Antonio Augugliaro, editor e regista televisivo, che racconta in presa diretta una storia fantastica, e al tempo stesso drammaticamente vera, accaduta tra il 14 e il 18 novembre 2013.
Protagonisti del film sono gli stessi autori che, dopo aver incontrato a Milano cinque palestinesi siriani sbarcati a Lampedusa, decidono di aiutarli a raggiungere la Svezia. Per evitare di essere arrestati come contrabbandieri, però, inscenano un finto matrimonio coinvolgendo un'amica palestinese (Tasnim) che si traveste da sposa, e una decina di amici italiani e siriani che fanno da invitati. Così mascherati, attraversano mezza Europa, in un viaggio di quattro giorni e tremila chilometri. Un viaggio, che oltre a raccontare le storie e i sogni dei cinque palestinesi in fuga e dei loro speciali contrabbandieri, mostra un'Europa sconosciuta. Un'Europa transnazionale, solidale e goliardica che riesce a farsi beffa delle leggi e dei controlli della Fortezza con una mascherata che ha dell'incredibile.
Gli autori rischiano fino a 15 anni di carcere
“Siamo convinti che Io sto con la sposa possa diventare un film manifesto per quella comunità di persone che credono che ‘il cielo è di tutti’ come dice la sposa in una delle parti più toccanti del film. Di chi crede cioè che viaggiare non sia un crimine e che criminale sia invece chiudere gli occhi di fronte ai morti di viaggio sulle nostre spiagge mediterranee e di fronte ai morti nella guerra di Siria” spiegano gli autori, che per realizzare il film hanno corso personalmente un grande rischio. “Al momento dell'uscita del film, potremmo essere condannati fino a 15 anni di carcere per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina – sottolineano – Ma abbiamo deciso di prenderci questa responsabilità, perché abbiamo visto la guerra in Siria con i nostri occhi. Gabriele come giornalista, Khaled, Tareq e Tasnim come siriani e palestinesi di Damasco. E aiutare anche una sola persona ad uscire da quel mare di sangue, ci fa sentire dalla parte del giusto”.
Obiettivo del film è infatti mostrare attraverso questo atto di disobbedienza civile che rispettare le regole della frontiera “non è più una virtù”
“Ventimila morti nel Mediterraneo sono abbastanza per dire basta. Non sono vittime del fato o della burrasca. Ma di leggi alle quali è arrivato il momento di disobbedire – aggiungono -. Per questo motivo ci siamo improvvisati trafficanti per una settimana. E abbiamo aiutato cinque siriani in fuga dalla guerra a proseguire il loro viaggio clandestino dentro la Fortezza Europa”. “Oggi ci autodenunciamo, è un rischio folle quello che ci stiamo prendendo – continuano -. Ma vogliamo credere che esista una comunità di persone, in Europa e nel Mediterraneo, che come noi sognano che un giorno questo mare smetta di ingoiare le vite dei suoi viaggiatori e torni ad essere un mare di pace, un mare dove tutti siano liberi di viaggiare, e dove nessuno divida più gli uomini e le donne in legali e illegali”.
"Quale poliziotto di frontiera fermerebbe mai un corteo di nozze per chiedere i documenti alla sposa?"
L’idea del film è nata da questa battuta, detta alla fine di una cena, mentre Gabriele, Antonio, Khaled e Tareq, stavano discutendo della situazione dei profughi che sempre più spesso arrivavano a Milano. Alcuni erano stati ospiti a casa loro prima di partire senza documenti per il nord Europa pagando cifre da capogiro ai contrabbandieri. Mentre pensavano a come aiutarli è venuta a Gabriele l’idea del finto matrimonio: nessuno avrebbe fermato alla frontiera una sposa e i suoi invitati. “Dopo 14 giorni ci incontriamo davanti alla stazione centrale di Milano – spiegano -. Siamo ventitré, tra ragazzi e ragazze. Tutti amici. Italiani, palestinesi e siriani. Chi coi documenti, chi senza, ma tutti vestiti eleganti come se stessimo davvero andando a un matrimonio. E’ davvero difficile spiegare come siamo riusciti in così poco tempo, e senza soldi, a individuare i personaggi del documentario, a scrivere il trattamento del film e a mettere in piedi una troupe cinematografica”.
Un crowdfunding per andare a Venezia
Gli autori non hanno alle spalle una casa di produzione ma si affidano alla rete e ai cittadini attivi per sostenere Io sto con la sposa. Per chiudere il film in tempo per iscriverlo al festival di Venezia a settembre e per essere distribuiti in sala il prossimo autunno, lanciano oggi un crowdfunding: obiettivo è raccogliere 75mila euro (la metà dei soldi per produzione e post produzione). Si potrà cosi acquistare in anticipo un biglietto del cinema, uno streaming, un download, un dvd o un libro, oppure di prenotare con sei mesi di anticipo una proiezione pubblica del film con gli autori. “In ballo c'è molto di più della produzione di un film – sottolineano - C'è la possibilità di dimostrare che questo amato Mediterraneo non è soltanto un cimitero, ma che può ancora essere il mare che ci unisce”.
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