Appare veramente dura la vita delle comunità cristiane non riconosciute dal regime degli Ayatollah. Sono passati tre anni dall'arresto e dal processo di Behnam Irani, leader di una Chiesa domestica imprigionato per “attacchi alla sicurezza nazionale".
Qualche giorno fa è stato liberato – dopo più di 250 giorni trascorsi in prigione - Davoud Alijani, un cristiano protestante iraniano che è stato arresto con l’accusa di essersi convertito al cristianesimo dall’islam. Due pastori iraniani, Farhad Sabokrouh e Naser Zamen-Dezfuli, che erano stati imprigionati insieme a Davoud, erano sati rilasciati un mese fa. Ma resta in carcere un quarto esponente della Chiesa evangelica, la moglie del pastore Farhad, Shahnaz Jayzan. Ambienti vicini ai membri della Chiesa domestica sperano che possa essere liberata nei prossimi giorni.
Ma appare veramente dura la vita delle comunità cristiane non riconosciute dal regime degli Ayatollah. Pochi giorni fa – il 16 gennaio – sono passati tre anni dall’arresto e dal processo di Behnam Irani, un pastore dei 43 anni, leader di una Chiesa domestica imprigionato per “attacchi alla sicurezza nazionale”. Secondo le fonti delle chiese locali, Behnam è rinchiuso, in condizioni ambientali particolarmente dure nella prigione di Ghezal Hesar, è seriamente malato ma non pare che riceva cure adeguate al suo stato di salute. Soffre di un’ulcera sanguinosa e di un’ernia del disco. In prigione è stato picchiato e torturato; e la sua famiglia teme che possa morire in prigione.
Dalla reclusione Behnam ha redatto una lettera particolarmente toccante. “In prigione – scrive – ho compiuto nuove esperienze per quanto riguarda l’amore. Qui, vivo con compagni di celle di cui è difficile vedere qualche cosa di positivo sia nelle loro vite che nelle loro personalità. Non pensano ad altro che a valori negativi, atti tremendi, a imparare nuove esperienze in crimini e letteratura malvagia. Li guardo, e sussurro a me stesso: ‘Meritano davvero preghiere e intercessioni?’. Subito mi ricordo che Gesù Cristo fu sacrificato anche per i loro peccati. Sta espiando per i nostri peccati, e non solo per i nostri ma anche per i peccati dell’intero mondo”. Mentre Behnam è in carcere, la sua famiglia viene tenuta sotto pressione. Un mese fa le forze della sicurezza hanno perquisito la casa di sua moglie, Kristina, e quelle di altri tre cristiani, confiscando Bibbie, materiale cristiano e il laptop di Kristina.
Davoud Alijani e gli alti due pastori rilasciati erano stati arrestati il 23 dicembre 2011, quando la polizia aveva fatto irruzione nella loro chiesa – regolarmente registrata – durante una celebrazione natalizia, e aveva arrestato tutti quelli presenti, compresi i bambini. Parecchie ore più tardi la maggior parte dei presenti è stata rilasciata, fatta eccezione per Savoud, Farhad, Shanhnaz Jayzan e Naser Zamen-Dezfuli. Dieci mesi più tardi erano stati condannati tutti a un anno di prigione per “essersi convertiti al cristianesimo, avere invitato musulmani a convertirsi e agire contro la sicurezza dello Stato tramite attività evangeliche”.
Ma a dispetto delle liberazioni di cui parliamo, e di alcuni sforzi da parte del regime di apparire più tollerante, la situazione resta pesante. Nel settembre scorso il nuovo presidente iraniano Hassan Rouhani ha concesso la grazia a undici prigionieri per motivi di coscienza. Ma le fonti locali dicono che quasi contemporaneamente una ventina di cristiani, la maggior parte dei quali di origine islamica, sono stati arrestati a Teheran, Karaj, Isfahan e Tabriz. Il giorno dopo la grazia, concessa il 20 settembre 2013, i familiari del pastore Behnam Irani si sono recati dal giudice, a Karj, chiedendo che anche Behnam potesse godere del perdono presidenziale ed essere liberato. Ma il giudice ha negato questa possibilità, affermando che avrebbe dovuto scontare la pena di sei anni. Ai familiari è stato detto anche che l’unico modo in cui il pastore avrebbe potuto riottenere la libertà prima della scadenza sarebbe stato quello di tornare all’islam.
Marco Tosatti
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